Va dato atto alle donne dei consultori e alle associazioni di donne di Roma di avere per prime richiamato l’attenzione sulla pericolosità che la proposta di legge regionale per i consultori del Lazio può rappresentare sul piano nazionale per i suoi caratteri incostituzionali in materia di diritti sui temi della vita e dell’autodeterminazione della donna. Un test nazionale da riprendere in altre Regioni.Il riconoscimento è fatto da Emma Bonino, vicepresidente del Senato, in occasione della conferenza stampa organizzata da consiglieri/e d’opposizione della Regione Lazio per illustrare la “questione pregiudiziale di costituzionalità” (v. testo di seguito) che sarà presentata al Consiglio regionale.

In effetti, l’Assemblea permanente contro la proposta di legge regionale sui consultori familiari,si riunisce dal mese di luglio tutti i lunedì alle ore 18 presso la Casa Internazionale delle Donne. Dell’Assemblea fanno parte operatrici e operatori dei Consultori, associazioni, organizzazioni sindacali, collettivi di studentesse che hanno promosso una raccolta di firme, che ad oggi conta oltre 10 mila adesioni . L’assemblea è impegnata nei contatti con gli eletti e le elette delle diverse Istituzioni (Regione, Province, capoluoghi di provincia) ed ha richiesto audizioni alla commissione regionale per le politiche sociali, nelle quali ha espresso il parere nettamente contrario sulla proposta di legge e ha chiesto il ritiro della proposta stessa (ritenuta incostituzionale da più uffici legislativi a cominciare da quello del consiglio regionale) e la piena applicazione della legge oggi in vigore. Oltre al [No della provincia di Roma,->https://www.womenews.net/spip3/spip.php?article7010] anche il Consiglio provinciale di Frosinone e il comune di Latina hanno espresso critiche.

Ora, all’azione di denuncia dell’Assemblea delle donne e di richiesta di audizioni alla Commissione regionale Affari sociali da parte delle associazioni, si affianca l’azione specifica di consigliere/i regionali per contrastare l’iter legislativo. Tutti i partiti di opposizione presenteranno una loro proposta di legge, rafforzativa della legge attuale, in modo da rallentare l’esame da parte della Commissione affari sociali, e poi migliaia di emendamenti.

Emma Bonino richiama però più volte alla necessità di una mobilitazione nazionale su temi così importanti come quelli messi in campo da questa legge

{{
Atto C.R. Lazio n. 21
_ PROPOSTA DI QUESTIONE PREGIUDIZIALE}}

II Consiglio,

– premesso che:
la tutela del figlio concepito – di cui all’articolo 1 comma 3 – esorbita dalla competenza legislativa regionale in quanto, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere l), ed m), della Costituzione, {{incide su ambiti materiali di competenza legislativa statale esclusiva}}, quali l’ordinamento civile ed i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili che debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; nei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, infatti, sono ricompresi anche quelli afferenti alla disciplina di istituti e rapporti privatistici, che non può che essere uniforme sull’intero territorio nazionale, in ragione della esigenza di {{assicurare il rispetto del principio di uguaglianza}}. Esso risulterebbe vieppiù leso dal fatto che, nel solo Lazio, l’entrata in vigore della legge così proposta imporrebbe {{l’onere aggiuntivo,}} rispetto alle normative generalmente vincolanti per la donna in stato di gravidanza ai sensi della legge 22 maggio 1978, n. 194, di esperire il “primo procedimento” di cui all’articolo 13: procedimento che, in un momento particolarmente delicato, altererebbe la libertà di scelta della madre con la preconizzazione di “provvidenze economiche” (con quali fondi?) e che imporrebbe uno spatium deliberandi spesso defatigante, da concludere con un’apposita verbalizzazione di rifiuto del consenso alle proposte del Consultorio (per definizione, quindi, contrarie all’interruzione volontaria della gravidanza, visto che solo con il loro rifiuto si potrebbe procedere al “secondo procedimento”, già disciplinato dalla legge n. 194);

-essendo previsto dall’articolo 7 tutto un complesso di funzioni dei consultori “finalizzati alla risoluzione delle problematiche giuridiche”, {{risulta lesa dalla proposta di legge anche la potestà legislativa statale in materia di giurisdizione, norme processuali e giustizia amministrativa}}, restando riservato il potere di disciplinare l’esercizio della giurisdizione alla competenza del legislatore statale (cfr. sentenza della Corte costituzionale n. 115 del 1972; e v. oggi l’art. 117, secondo comma, lettera l, della Costituzione, come sostituito dalla legge costituzionale n. 3 del 2001), il quale “ovviamente lo esercita nei limiti e secondo le norme della Costituzione” (cfr. sentenza della Corte costituzionale n. 29 del 2003). La lettera c) del comma 2 dell’articolo 7 addirittura esplicita che la consulenza ed assistenza in ordine ai conflitti tra i coniugi si esplica “anche in sede giudiziaria”, né è tranquillizzante che l’articolo 12 precisi che la cooperazione con le autorità giudiziarie competenti avvenga “se da queste richiesti”: anzi, l’elencazione delle procedure in cui i consultori avrebbero capacità di incidere (autorizzazione del minore a contrarre matrimonio; mediazione e separazione; scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, sua impugnativa e nullità; riconoscimento dei figli naturali; adozione ed affidamento; tutela e patrimonio di minori, disabili, anziani ed incapaci naturali) estende la violazione all’articolo 117, secondo comma, lettera i) della Costituzione, in quanto incide sullo stato civile, anch’esso ambito materiale di competenza legislativa statale esclusiva;

– considerata l’evidente violazione anche dell’articolo 117, primo comma della Costituzione, in quanto lede gli obblighi convenzionali assunti dall’Italia, tenuta al rispetto del {{principio di non ingerenza nella vita privata e familiare sanci}}{{to}} dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Nel caso X c. Regno Unito del 1980, poi, la Commissione europea dei diritti umani osservò che il bambino non nato non è una “persona” alla luce del significato che viene generalmente attribuito a questo termine e del contesto nel quale esso è impiegato nella disposizione Convenzionale, e che l’articolo 2 della Convenzione non deve essere interpretato nel senso che esso riconosce al feto un “diritto alla vita” di carattere assoluto: «se si dichiarasse che la portata dell’articolo 2 si estende al feto e che la protezione accordata da questo articolo dovrebbe essere considerata come assoluta, bisognerebbe dedurne che un aborto sarebbe da vietare anche allorché il proseguimento della gravidanza potrebbe mettere gravemente in pericolo la vita della futura madre. Ciò significherebbe che la vita nascitura del feto sarebbe considerata più preziosa di quella della donna incinta». In riferimento all’Italia – riconfermando la pronuncia resa nel 1992 nel caso H. c. Norvegia, anch’esso riferito alla decisione di abortire da parte di una donna con opposizione del padre – la Corte ha osservato che anche a voler ammettere che, in determinate circostanze, il feto possa essere considerato come titolare di diritti garantiti dall’articolo 2 della Convenzione, nel caso di specie l’interruzione di gravidanza era stata praticata conformemente all’articolo 5 della legge n. 194 del 1978, che assicura un giusto equilibrio tra gli interessi della donna e la necessità di assicurare la protezione del feto (Bosa c. Italia, decisione di irricevibilità del 5 settembre 2002). Ecco quindi che l’aggravio rappresentato dal “primo procedimento” di cui all’articolo 13 altera l’equilibrio consacrato dal giudice strasburghese, esponendo lo Stato italiano alle conseguenze dell’inadempimento prodotto dalla decisione che assumerebbe la regione Lazio. Poichè poi la Corte costituzionale, con le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, ha rilevato che l’art. 117, primo comma, Cost., ed in particolare l’espressione “obblighi internazionali” in esso contenuta, si riferisce alle norme internazionali convenzionali anche diverse da quelle comprese nella previsione degli artt. 10 e 11 Cost.; la conseguenza è che il contrasto di una norma nazionale con una norma convenzionale, in particolare della CEDU, si traduce in una violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.. La Corte costituzionale ha, inoltre, precisato nelle predette pronunce che al giudice nazionale, in quanto giudice comune della Convenzione, spetta il compito di applicare le relative norme, nell’interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo, alla quale questa competenza è stata espressamente attribuita dagli Stati contraenti: ciò rende assai probabile che al primo contenzioso applicativo la proposta Tarzia non abbia alcuna chance di essere attuata, riducendosi ad un mero manifesto ideologico inidoneo a produrre alcun effetto, se non quello di portare nella regione Lazio gli steccati confessionali che a livello nazionale non si è riusciti ad imporre;

{{delibera}}

{{di non passare all’esame della proposta di legge, che versa in evidente condizione di incostituzionalità. }}