Lo scorso 26 gennaio si è svolto il Convegno nazionale sulla violenza di genere Stupro e violenza coniugale. Gli aspetti psicologici, legali, criminologici organizzato da C.E.P.I.C (Centro europeo psicologia investigazione criminologi)Secondo i dati il {{50%}} delle donne subisce percosse durante la vita coniugale. La violenza domestica è la prima causa di morte delle donne tra i 6 e i 46 anni. Il {{52%}} di loro viene uccisa dal partner (compagno o marito). Il {{48%}} viene uccisa con un’arma da fuoco, il {{27%}} con un’arma da taglio e il {{25%}} con un corpo contundente. L’omicidio rappresenta sempre l’ultimo, fatale episodio di violenza subito da una donna tra le mura domestiche. Non è mai la conseguenza di un gesto folle e imprevedibile scaturito da una lite banale come riportano spesso i media nelle cronache.

{{Come si rende una donna vittima?}}

Il processo di vittimizzazione – spiega il Dottor Massimo Cannivicci – è inizia con un {{primo episodio critico di violenza di tipo emotivo}} seguito da volontà di riconciliazione. La vittima e l’aggressore assumono comportamenti affettuosi reciproci, vivono una sorta di seconda “luna di miele” che però non risolve il conflitto.
_ La tensione tenderà a ricostruirsi fino ad arrivare ad un secondo episodio di violenza e abuso, e poi ancora un altro e un altro ancora. Nel corso del tempo {{gli episodi di violenza divengono sempre più brutali}}, si manifestano ad {{intervalli sempre più riavvicinati}} e sparisce la volontà di riconciliazione.

Gli effetti della violenza sono fisici (ferite, lesioni e contusioni a diversi stadi di guarigione) e psicologici (disistima di sé, depressione, abuso di alcolici e di sostanze psicoattive come il fumo e la cioccolata, e ideazione suicidaria). Ma {{solo il 7% delle donne denuncia gli abusi}}, solo il 25% riceve cure mediche e {{solo il 5% viene riconosciuta vittima di violenza}}.

Non esiste un profilo particolare di uomo violento da cui rifuggire. Solo il 10% è affetto da psicopatologie, nella stragrande maggioranza dei casi sono cause psicologiche normali come frustrazione o stress cronico a generare violenza. Non esistono fattori protettivi o favorenti come l’età, il gruppo (etnico, religioso, socioeconomico) o la professione.

Il profilo è universale (labilità emotiva e difficoltà nel controllo degli impulsi), chiunque non sappia contenere le frustrazioni può infliggere violenza. Le frustrazioni represse si cronicizzano fino a raggiungere un culmine in cui si supera la soglia, si libera la violenza. E’ la discrepanza tra le aspettative prematrimoniali e la realtà della vita vissuta a generare aggressività (la moglie è¨ diversa dalla madre, non le viene riconosciuto il valore sociale acquisito). Nelle famiglie spesso convivono persone (genitori, figli e nonni) che hanno personalità e aspettative differenti. Si creano così conflitti relazionali e dissidi generazionali che richiedono competenze psicologiche generalmente assenti: saper litigare (focalizzare il problema e non rinvangare anche conflitti passati), saper gestire i conflitti, saper negoziare.

{{La devittimizzazione inizia nei centri antiviolenza}}

La Dottoressa {{Oria Gargano}} di Differenza Donna racconta che tutte le donne arrivano nei centri antiviolenza solo dopo aver subito ripetuti maltrattamenti. L’omicidio – ribadisce – è solo l’ultimo gradino di comportamenti aggressivi e di stalking.

Nelle favole sono sempre i principi, i padri a salvare le donne ma nella realtà è nei centri antiviolenza che le vittime di reati legati all’amore riscoprono i propri diritti e le proprie risorse.

{{La spirale della violenza è caratterizzata da 7 tappe}} che minano fino a distruggere l’autostima delle donne:
– intimidazione
– isolamento
– svalorizzazione
– segregazione
– aggressione fisica e sessuale
– false riappacificazioni
– ricatto dei figli.

Inizialmente sono proprio i figli il motivo per cui non denunciano le violenze ma successivamente è proprio attraverso i figli che acquisiscono consapevolezza. Nei centri antiviolenza le donne, che generalmente faticano a percepirsi come vittime, devono poter liberarsi degli stereotipi socioculturali acquisiti che legittimano la violenza, ritrovare l’autostima e intraprendere un processo di devitimizzazione, sperimentare solidarietà , rafforzare le competenze personali e materne, accedere ai lori diritti di cittadinanza.

E’ per queste ragioni che {I centri antiviolenza debbono essere gestiti da associazioni di donne dalla prospettiva femminista e improntati al criterio donne che aiutano le donne} (raccomandazione del Foro delle esperte della Conferenza UE sulla violenza di genere).

{{Le operatrici di questi centri devono astenersi dal giudicare il vissuto di queste donne}}, devono credere loro perché di solito le donne non sono credute, devono sostenerle e incoraggiarle nei loro progetti, manifestare solidarietà e empatia. Per ogni donna la fine di un rapporto significa una destrutturazione, il crollo di un assetto psicologico che aveva lentamente costruito.

{{E’ necessario quindi dimostrare che quello non era un rapporto}}. La violenza contro le donne è un fenomeno sociale causato ancora oggi dalla forte subalternità delle donne rispetto agli uomini. Sono necessari cambiamenti strutturali concreti.
{Veniamo interpellate come prefiche ogni volta che viene uccisa una donna, ma mai come esperte quando si discutono le politiche del Welfare} – dichiara la Gargano – condividere è ciò che noi operatrici femministe facciamo partendo da noi stesse. Smantelliamo tasselli, modifichiamo la cultura, favoriamo il benessere sociale, perché, come diciamo sempre, noi siamo volontarie di noi stesse .