Khalida Jarrar, deputata palestinese 

Con l’arresto della deputata palestinese Khalida Jarrar avvenuto ieri 2 luglio 2017 sale a tredici il numero dei membri del Consiglio legislativo palestinese internati nelle carceri israeliane.

Khalida Jarrar, eletta nel Consiglio in rappresentanza del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), era stata scarcerata appena un anno fa, dopo aver trascorso 14 mesi in prigione, in stato di detenzione amministrativa.

L’arresto di Khalida è stato motivato dalle autorità militari israeliane per la sua militanza nel FPLP, organizzazione che Israele considera terrorista, e con la sua attività nel gruppo di difesa dei diritti dei prigionieri politici palestinesi Addameer.

“La detenzione di Khalida Jarrar è un attacco contro i dirigenti politici palestinesi e tutta la società civile palestinese” ha denunciato Addameer in un comunicato.

Oltre a Jarrar sono tornati in carcere Ihab Masud, che era stato rilasciato appena cinque mesi fa dopo 16 anni di detenzione, e l’attivista Jitam al Saafin, presidente dell’Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi, reclusa a più riprese in diversi luoghi di detenzione.

Questi arresti fanno arretrare ulteriormente la condizione delle donne: le quote rose (20%) sono state recepite durante la campagna elettorale dello scorso ottobre  come una imposizione dal sistema patriarcale. Così pur inserendo delle donne nelle liste hanno imposto loro di essere identificate non con il loro nome  ma come mogli di… o sorelle  di…

«Dopo anni di lotta per tagliare traguardi mai raggiunti da gran parte del Paesi arabi, oggi le donne di Palestina si ritrovano a fare marcia indietro», dice con amarezza al giornnale Il Manifesto  Amal Kreisheh, storica attivista palestinese dei diritti delle donne. “Purtroppo  non c’è riconoscimento dei diritti fondamentali della donna da parte dei promotori di queste liste elettorali che hanno scelto di non pubblicare i nomi delle donne candidate. Al posto del nome c’è scritto «Moglie di… », «Sorella di…(ndr. elezioni di ottobre 2016)».  Kreisheh punta l’indice contro l’Anp e non manca di rivolgere critiche anche alla sinistra. «L’Anp ha un atteggiamento ambiguo – spiega – da un lato approva leggi per l’uguaglianza tra i sessi e poi non muove i passi necessari per farle applicare e per far rispettare i diritti conquistati dalle donne». La sinistra, aggiunge Kreisheh «si limita ad applicare al minimo le quote rosa e non avvia una campagna ampia e incisiva a favore dei diritti delle donne». Le proteste non mancano e non giungono solo dalle organizzazioni di donne. Qualcuno denuncia «l’islamizzazione della società palestinese» e fa riferimento alla “awra” il principio religioso che stabilisce che siano coperte determinate parti del corpo umano. A ben vedere però la sostituzione dei nomi delle donne candidate è figlia più di comportamenti imposti dalla società tribale che domina soprattutto nelle zone rurali. Se è vero che tra i giuristi islamici prevale il principio che la donna sia tenuta coprire tutto il suo corpo, compresi i capelli, ad eccezione del viso, delle mani e dei piedi (alcuni, soprattutto i salafiti e wahhabiti, invocano una copertura completa), allo stesso tempo la tradizione religiosa non presenta un divieto esplicito della pubblicazione dei nomi delle donne. «La società patriarcale e tribale ci mostra ancora tutta la sua forza», commenta Amal Kreisheh avvertendo che le donne palestinesi non resteranno a guardare e continueranno a lottare per i loro diritti.(da Il Manifesto del 7 settembre 2016)

 Khalida Jarrar  –  Nasce nel 1963 in palestina. Si sposa ancora studente con Ghassan Jarrar che dopo essere stato arrestato 14 volte, trascorrendo 11 anni senza processo, non si è più impegnato attivamente in politica, costruisce mobili per bambin*. lei invece continua l’impegno civile e politico. La coppia ha due figlie, Yafa e Suha, che si trovano in Canada come studenti di dottorato. Tutte e due sono cresciute con la paura dei soldati che bussavano alla porta, con la paura degli arresti e della prigionia dei genitori. La coppia vive in al-Bireh, Ramallah.

 Jarrar si è sempre impegnata  per i diritti umani. È stata  attiva nel sostenere i  prigionieri palestinesi e ha lavorato come direttrice di Addameer, un’associazione che si occupa dei detenuti e si impegna per garantire i diritti umani a Ramallah. Grande il suo impegno per promuovere anche i diritti delle donne. Dal 1998 a Jarrar è stato vietato di viaggiare fuori dai territori palestinesi occupati dopo aver partecipato al vertice dei difensori dei diritti umani a Parigi di quell’anno. Nel 2005 le autorità israeliane le hanno impedito di lasciare il paese ( il 6 ° rifiuto dal 2000) per  partecipare a una conferenza sui diritti umani in Irlanda organizzata da Frontline, anche se non era mai stata acusata di alcun reato penale dalle autorità israeliane. Dal marzo 2006 è stata dirigente del PFLP, dopo che il segretario generale del gruppo Ahmad Sa’adat è stato arrestato e messo in isolamento.

Il 20 agosto 2014, dopo che 50 soldati israeliani hanno circondato la casa di Jarrar a Ramallah, le viene consegnato un ordine  di espulsione con il quale si dichiara che Jarrar è una minaccia per la sicurezza della regione. Dovrebbe lasciare la sua residenza di Ramallah e trasferirsi  al distretto di Jericho. L’ordine doveva essere considerato immediatamente efficace. Ma, Jarrar rifiuta l’ordine, dichiarando: “è l’occupazione che deve lasciare la nostra patria”.  Ramallah, secondo gli Accordi di Oslo, si trova nell’Area A e sotto la giurisdizione completa della Palestina. Jarrar rifiutò di firmare l’ordine. ·

Il 2 luglio 2017 Khalida Jarrar è stata nuovamente arrestata dalla polizia israeliana  per un presunto reato relativo alla sicurezza nazionale.