Articolo di Ghisi Grütter su DeA segnalato dal Coordinamento donne di Trieste

Serena Rossi nel film Amore e malavira

— Un’amica – spesso mia partner di cinema – che ha visto Ammore e malavita prima di me, mi aveva detto che all’uscita tutti discutevano su quanti dei 134 minuti si sarebbero potuti tagliare e molti sostenevano persino una ventina. In effetti, un’accelerata sulla vendetta di Ciro e sui vari balletti del finale, gli avrebbe sicuramento giovato. Per il resto il film è notevole, divertente, ben recitato (Claudia Gerini è fantastica in Donna Maria) e ben cantato (non proprio tutti, però, hanno una bella voce) specialmente dalla splendida Serena Rossi nella parte di Fatima, ex fidanzatina di Ciro adolescente quando vivevano a Torre Annunziata.

La storia è la messa in scena della morte (per finta) del boss malavitoso Don Vincenzo Strozzalone (Carlo Buccirosso) detto “il re del pesce”, e di tutta una serie di equivoci che finiscono poi per scatenare una guerra interna tra “chi ha tradito chi”, con i soliti stereotipi dei gangsters fedelissimi che danno la parola (Rosario interpretato da Raiz), o di quelli che se ne fregano, o ancora di quelli che ingannano. Nonostante ciò, o forse proprio per questo, Ammore e malavita fa ridere. Lo stereotipo dà il vantaggio di conoscere già in anticipo cosa possa succedere e si è in attesa fino a quando ciò avviene e diventa divertente. Alcune trovate nuove sono geniali, come ad esempio Donna Maria che passa tutto il tempo a vedere film in DVD, infatti li sa a memoria, ha sempre una serie di idee ispirate da questi e la sua conoscenza della realtà è filtrata dal cinema. Divertenti anche alcune battute, destinate a essere prese in prestito in molti casi, come quella di Ciro (Giampaolo Morelli) che afferma: «…è comm’a pummarola n’coppa ai spaghetti a vongole: non vale un cazzo».

Ciò che mi piace di questo film è il suo coraggioso eclettismo, in senso positivo, cioè di «tendenza a ispirarsi a diverse fonti culturali operando una scelta degli elementi ritenuti migliori», come recita lo Zanichelli. All’interno dei loro riferimenti, i registi da un lato fanno il verso a Grease, il film musical di Randal Kleiser del 1978, dall’altra riescono a rovesciare la cupezza di Gomorra di Matteo Garrone del 2008.

I Manetti Bros., con il loro musical/sceneggiata napoletana, fanno un omaggio alle donne, che risultano essere più geniali e più furbe dei loro uomini, anche se questi sono boss camorristi. Ma il vero omaggio dei fratelli registi è nei confronti di Napoli, la città amata nel bene e nel male. Nel film le vele di Scampia sono oggetto di visite turistiche (un simpatico business), e poi sono mostrati Pozzuoli, Posillipo e lo storico rione Sanità dove nacque Antonio de Curtis, in arte Totò, il principe nobile nel cuore e nell’anima. Il rione è stato anche immortalato da Eduardo De Filippo che vi ha ambientato la commedia Il Sindaco del Rione Sanità, dove lui stesso impersona il boss del quartiere che muore per difendere la verità. Inoltre è sempre lì che Vittorio de Sica ha girato sia L’Oro di Napoli del 1954, sia uno degli episodi di Ieri oggi e domani del 1963. A proposito della scelta del genere cinematografico, così scrive Lorenzo Rossi in Cineforum.it: «I brani musicali esplorano generi e stili differenti, sono funzionali alla trama e anzi, raggiungono la perfezione proprio quando si sostituiscono all’azione. Raccontando non solo gli stati d’animo e i sentimenti dei personaggi, ma anche i risvolti narrativi».

Presentato quest’anno alla Mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia, Ammore e malavita ha ottenuto il premio Pasinetti per il miglior film e miglior cast e una menzione speciale al Premio “Soundtrack Stars” per le musiche di Pivio e Aldo De Scalzi, bravissimi nel mescolare la musica tradizionale napoletana con il R&B e il pop-rock.

 AMMORE E MALAVITA di Antonio e Marco Manetti. Con Giampaolo Morelli, Serena Rossi, Claudia Gerini, Carlo Buccirosso, Raiz, Franco Ricciardi, Antonio Buonomo, Italia 2017. Scenografia di Noemi Marchica, costumi di Daniela Salertina, fotografia di Francesca Amitrano, musiche di Pivio e Aldo De Scalzi –