Affermare che è sconcertante quanto si e’ visto e sentito in questi ultimi giorni sulle donne e la democrazia paritaria è una preterizione: un modo gentile per nascondere l’indignazione. Per settimane infatti parlamentari e giornalisti maschi hanno dissertato sulle “quote rosa”, come se la richiesta delle associazioni femminili aderenti all’ACCORDO di AZIONE COMUNE per la DEMOCRAZIA PARITARIA e delle deputate dei diversi schieramenti politici che, alla Camera, avevano presentato unitariamente emendamenti alla proposta di legge elettorale, detta {{Italicum}}, fosse una rivendicazione di posti riservati.

E’ chiaro che così si è cercato di rendere ridicola tutta la discussione. Insomma si sono brandite{{ le quote rosa come arma contro le donne}}. Vano ogni tentativo di spiegare che le quote (rosa o azzurre che siano) sono {{uno strumento a tutela di gruppi minoritari svantaggiati }} (quali, ad esempio, gli invalidi o gli orfani di guerra); che le donne invece sono più della metà dei cittadini elettori e non chiedevano quote, ma il rispetto degli articoli 3 e 51 della Costituzione e cioè la parità nelle candidature e nella possibilità di essere elette, non nell’interesse delle donne, ma della democrazia italiana: la democrazia non è tale se non offre a tutti eguaglianza di opportunità, la democrazia è tale solo se è paritaria..

Non è credibile che ciò si debba a ignoranza. E’ legittimo {{il sospetto}} che derivi piuttosto dal deliberato proposito di {{sfuggire a un serio confronto sul tema del riequilibrio di genere}} e della persistente sottorappresentaziorne delle donne nelle assemblee elettive.

Niente da fare: dell’uso del termine “quote rosa” non si è riuscite a sbarazzarsi. Il risultato del battage sulle quote rosa è stato che tutti gli emendamenti presentati dalle deputate (50% di donne nelle liste e tra i capilista, alternanza di genere uno a uno) sono statti respinti, opportunamente per gli uomini, a voto segreto (richiesto da deputati di Forza Italia): insomma tirare il sasso e nascondere le mano.

Viene fatto di chiedersi se anche questo facesse {{parte dell’accordo sui problemi istituzionali tra il PD e Forza Italia.}}

Ma non si era ancora toccato il fondo: quel che si è verificato al Senato durante {{la discussione della legge elettorale per le elezioni europee}} è ancora peggio. Una senatrice che si batteva per l’eguale presenza delle donne nelle liste è stata accusata di essere “affetta da {{gravidanza isterica}} visto che ha denunciato in Italia un grave problema culturale di discriminazione”; le senatrici del PD sono state in blocco definite “codarde”, senza che purtroppo la Presidente di turno, donna, abbia richiamato all’ordine il parlamentare che si era avvalso di tali espressioni: questo è purtroppo il triste risultato quando la fedeltà al proprio campo o al proprio capo politico prevale sulla solidarietà femminile.

Il risultato è stato che sulla legge elettorale per le elezioni europee non si è raggiunta un’intesa sulla doppia preferenza di genere, (quale quella già contenuta nella legge Amici/Lorenzin sulle elezioni amministrative), e che si prevedano tre preferenze con una sola obbligatoriamente di genere diverso, il che inevitabilmente danneggerà le candidate donne. E soprattutto dispiace che si sia dovuto ricorrere a un compromesso rinviando l’applicazione delle norme sulla rappresentanza di genere al 2019. (!)

L’ACCORDO di AZIONE COMUNE per la Democrazia Paritaria ha espresso viva solidarietà alle senatrici che nel corso del dibattito sono state oggetto di commenti volgari e ingiuriosi e ha condiviso la lettera che la senatrice Emilia de Biase e un folto gruppo di senatrici ha inviato al Presidente del Senato per deplorare l’accaduto.

L’ACCORDO ha ribadito la sua convinzione che soltanto da {{una stretta intesa tra le parlamentari di gruppi politici diversi e tra esse e le associazioni di donne }} che operano nella società civile possano scaturire norme di legge a garanzia della democrazia paritaria.

E’ una convinzione che tutte dobbiamo condividere.