“Aneu metròs/senza madre. L’anima perduta dell’Europa. Maria Zambrano e Simone Weil”. Il libro di Stefania Tarantino, filosofa e musicista, attraverso lo studio di Maria Zambrano e di Simone Weil, indaga che cosa è alla radice dell’Europa per cercare di dare una risposta alle domande che le due filosofe del Novecento si sono fatte nell’epoca più buia dell’Occidente: che cosa sta portando al declino dell’Europa? Da dove nascono le carneficine e le persecuzioni che hanno oscurato, forse per sempre, l’idea del progresso della storia verso il bene che, almeno fino alla Seconda Guerra Mondiale, ha sostenuto il Continente?
L’autrice, tuttavia, parte da una domanda attuale, politica: è possibile un’altra Europa? Stefania Tarantino ritiene, e in molti punti del libro vi fa cenno esplicitamente, che l’attuale crisi e le minacce che all’Europa vengono dall’interno e dall’esterno richiamano le condizioni storiche degli anni Trenta e Quaranta del Novecento. E si chiede se è possibile trovare una risposta in un’altra politica, fondata su altri presupposti che non siano la forza, lo strapotere dell’economia, la politica come ricerca/mantenimento del potere, l’imperialismo. Ma quanto sono connaturati all’Europa questi caratteri della politica?
E’ per dare una risposta a questa domanda che Stefania Tarantino attraversa la vita e gli scritti di Maria Zambrano e di Simone Weil e scopre, con loro, che la risposta, prima che politica, è filosofica. Non perché sia astratta, ma perché è proprio con la nascita della filosofia come oggi la intendiamo che qualcosa andò perduto. Irrimediabilmente? Su questo si può discutere. Quello che è certo è che la perdita è avvenuta drammaticamente, ad opera della violenza e della superbia della metafisica occidentale, quando la tradizione orfico-pitagorica, della quale solo in Platone si sente ancora l’eco, è stata soppiantata dalla filosofia “che ha fondato tutto sul pensiero, sulla matrice epistemica del conoscere”.
Non a caso, il titolo del libro richiama i versi della tragedia di Eschilo, Le Eumenidi, ed in particolare la difesa che Apollo pronuncia di Oreste, il matricida. Oreste non deve essere punito per l’assassinio di Clitennestra, e ciò perché ha agito secondo il comando dell’oracolo di Delfi: devi vendicare tuo padre Agamennone. Certo, è un matricida, ma la madre è il ricettacolo, è “custode che accoglie e custodisce il germoglio” gettato da colui che è il vero generatore, il Padre. La gerarchia è stabilita ormai, nella Grecia del 450 a.C. Tutti, dice Apollo, possiamo anche essere “senza madre”. L’essenza dell’uomo, ciò che lo caratterizza come uomo, non è quella di essere stato generato da donna, anzi, non è quello di essere stato generato. E ciò perché alla nascita naturale è stata sostituita la nascita spirituale. E’ dunque qui, in questo passaggio dell’uccisione simbolica della madre, che va cercata la radice del declino dell’Europa. Tutto il libro di Tarantino, attraverso le opere di Zambrano e Weil, si muove intorno a questo nocciolo duro. La tesi di fondo è che il declino dell’Europa ha le sue radici nella cancellazione violenta della madre – che è il corpo biologico della madre, ma anche la natura, e l’approccio sacro ad essa, la materia, weilianamente condizione dell’esistenza -, una cancellazione che ha configurato l’Occidente, attraverso il duplice passaggio del diritto romano e della religione cristiana, e della loro commistione, come un sistema violento, scisso, assolutista, segnato “dall’assolutismo del pensiero e dal totalitarismo politico”.
Molti filosofi e letterati, oltre che politici, si sono interrogati sul declino dell’Europa e dell’Occidente, un mondo che in fondo è sempre stato al tramonto, all’occidente, appunto, innanzitutto di se stesso. L’originalità dell’approccio di Stefania Tarantino, che con Zambrano e Weil scava “nel sottosuolo della storia”, è proprio nella risposta che trovano: il declino dell’Europa ha le proprie ragioni nell’assassinio simbolico della madre, un’ingiustizia che continua a correre come una vena sotterranea, dalle radici della storia occidentale, e che l’attraversa fino ai giorni nostri, giorni che sono ancora, a pieno titolo, questo mi sembra il pensiero di Tarantino, i giorni di un ordine patriarcale, un ordine in crisi ma non sconfitto.
Il libro di Stefania Tarantino si può leggere in vari modi, uno è certamente quello di approfondire, attraverso la sua scrittura precisa e documentata – c’è anche una ricca e intelligente bibliografia – il pensiero delle due filosofe e del legame tra vita, la loro stessa vita, e pensiero.
Un’altra lettura possibile è “a tema”, e consente di seguire la storia di parole e concetti che hanno attraversato la storia dell’Occidente: la natura e lo spirito, il diritto, il potere, l’identità e la persona, la forza, l’anima, il corpo, la soggettività, la poesia, la musica, il divino nella sua differenza con il sacro, il fare vuoto dei mistici, l’azione passiva e la via negativa, l’amore, l’alterità e l’estraneità.
E poi c’è la possibilità di una meta-lettura (questa per persone aduse a frequentare il pensiero della differenza sessuale): scoprire le tracce disseminate da Angela Putino e da Luisa Muraro, le due filosofe della differenza più citate, ma anche da Alessandra Bocchetti, meno citata ma ben presente nell’ispirazione di fondo, e da Luce Irigaray, colei che ha fondato il pensiero della differenza sessuale. Queste tracce Stefania Tarantino ha seguito, e sono riconoscibili nel testo e ci consentono di ricostruire il dibattito degli ultimi quaranta anni sul senso da dare all’essere donna. Perché, questo di dare un senso all’essere donna, è ancora un lavoro in corso, non compiuto. Occorre ancora rimediare alla disgrazia delle donne che, come ha efficacemente detto Alessandra Bocchetti lo scorso 10 marzo, nel corso della presentazione napoletana del libro, nasce soprattutto dall’essere state pensate da altri.

Stefania Tarantino, Aneu metròs/senza madre. L’anima perduta dell’Europa. Maria Zambrano e Simone Weil, Napoli, La scuola di Pitagora editrice, 2014, p. 272