L’associazione degli ex parlamentari, promosse il 22 e 23 marzo1988, a Roma, uno dei primi convegni riguardanti l’inizio della Repubblica italiana, durante un periodo che stava già ripensando la storia italiana della seconda metà del Novecento e che rifletteva anche sulla presenza e sugli apporti delle parlamentari, nell’onda lunga di un femminismo che aveva evidenziato e messo al centro il soggetto donna.

In quell’occasione, {{Nilde Jotti}}, apportò un {{tassello alla memoria
collettiva:}}
“Le donne si trovarono a dover votare per la prima volta il 2 Giugno del
’46. Fu difficile insegnare loro a votare per i partiti, soprattutto per noi
donne di sinistra. Bisognava affrontare questo problema; per le
democristiane era più facile, poichè le donne andando in chiesa erano
abituate a parlare con il sacerdote. Decidemmo così di creare le cellule
femminili nelle sezioni di partito per far parlare le donne che invece non
parlavano mai in pubblico o nei luoghi della politica.
Ci trovammo così ad educare la popolazione femminile!”

Tutto l’associazionismo femminile, ricostruito dopo lo scioglimento
imposto dal fascismo o di nuova costituzione, all’indomani della
Liberazione s’impegnò nei Comitati pro-voto, specialmente le due
principali aggregazioni, il {{Centro italiano femminile (Cif) e l’Unione
Donne Italiane (Udi)}}, eredi dell’allargata partecipazione femminile
all’antifascismo e alla Resistenza, il primo delle cattoliche e il secondo
delle socialiste e comuniste.

Cif e Udi, agendo nell’Italia dilaniata dalla guerra e dominata dai
conflitti ideologici, s’impegnarono nel sociale e seguirono attentamente
il processo costitutivo,{{ la stesura della Costituzione}}.

{{Il diritto di voto}} {{era stato conquistato con il decreto luogo-tenenziale
del 1 febbraio 1945,}} composto da quattro articoli:

{{art. 1}}- il diritto di voto è esteso alle donen chesi trovino nelle
condizioni previste dagli articoli 1 e 2 del testo unico della legge
elettorale politica, approvato con regio decreto 2 settembre 1919, n.
1495:

{{art. 2}} – è ordinata la compilazione delle liste elettorali femminili in
tutti i Comuni. Per la compilazione di tali liste, che saranno tenute
distinte da quelle maschili, si applicano le disposizioni del decreto
legislativo luogotenenziale 28 settembre 1944 n. 247, le relative norme di
attuazione approvate con decreto del Ministro per l’Interno in data 24
ottobre 1944.

{{art. 3}} – oltre quanto stabilito dall’art. 2 del decreto del Ministro per
l’Interno in data 24 ottobre 1944, non possono essere iscritte nelle liste
elettorali le donne indicate nell’art. 354 del Regolamento per l’esecuzione
del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio
decreto 6 maggio 1940, n. 635.

{{Art. 4}} – Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello
della sua pubblicazione nella Gazzetta del Regno.

Dopo le prime consultazioni amministrative (parziali, perché per i
consigli comunali e provinciali le elezioni si tennero in due tornate,
nella primavera e nell’autunno del 1946), alla {{votazione simultanea del 2
giugno 1946, per il Referendum istituzionale tra monarchia e repubblica e
per le}} {{elezioni all’Assemblea costituente}}, la presenza delle elettrici fu altissima, con interessanti differenziazioni:

Nord: 91,3% uomini e 90,3% donne;

Centro: 89,7 % uomini e 88,0% donne;

Sud 84,8% uomini e 86,2% donne; Sicilia: 84.8% uomini e 86,2% donne;
Sardegna: 84,4% uomini e 87,3% donne.

Ne risulta che{{ al Sud e nelle Isole l’elettorato femminile fu più numeroso di quello maschile}}.
A rendere, al Sud e nelle Isole, maggioritario l’elettorato femminile,
concorse il grande esodo migratorio postbellico che impedì a molti uomini
di tornare subito indietro, per il 2 giugno, ma ciò rende ancora più
significativa la massiccia partecipazione, in quelle zone, dell’elettorato
femminile, che andava volontariamente e con entusiasmo al voto, come
ovunque, senza alcuna pressione, anzi dimostrando una grande maturità
d’esordio.

È da sottolineare che a questa grande partecipazione femminile al diritto
attivo di eleggere, corrispose, fin dalla compilazione delle liste
elettorali, {{la scarsezza delle candidature femminili}}, basti pensare che Dc, Psiup e Pci presentarono, complessivamente, 110 candidate, pari al 6,5%.
Rispetto agli stessi tre partiti, l’esame del rapporto tra eletti ed
elette, indica il 4,6%.
{{Le deputate costituenti erano quindi in esigua minoranza}}!

La {{Consulta Nazionale}}, primo organismo governativo dell’Italia liberata
dal fascismo, contò 21 donne su 510 rappresentanti:

Comuniste: {{Adele Bej,
Nadia Gallico Spano, Nilde Jotti, Teresa Mattei, Angiola Minella, Rita
Montagnana, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi}}
(cinque di loro erano dell’Udi);

Socialiste: {{Bianca Bianchi, Angelina
Merlin;}}

Democratiche cristiane: {{Laura Bianchini, Elisabetta Conci,
Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici,
Angela Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Maria Nicotra, Vittoria
Titomanlio;}}

Fronte dell’Uomo qualunque: {{Ottavia Penna.}}

Una delle consultrici, {{Bastianina Musu Martini}}, del Partito d’Azione, già
malata, morì senza mai partecipare all’Assemblea Costituente.

{{La prima consultrice – la prima italiana – a parlare in un’assemblea
democratica, da eletta, fu Angela Guidi Cingolani}}, che condivideva con le
altre storie di prigioni e di confini. Tutte furono molto attente a che le
decisioni assembleari non inficiassero le speranze delle italiane, non
deludessero le migliaia di “staffette”, “collegatrici”, donne che in mille
modi, nei tanti momenti di una quotidianità travolta dalla guerra e, per
una parte d’Italia, dalla guerra civile, avevano permesso all’antifascismo
di raggiungere i suoi obiettivi liberatari.

{{Le consultrici, il 25 luglio 1946, chiesero e ottennero d’estendere il
premio della Repubblica, di £ 3000, alle vedove di guerra e alle mogli dei
prigionieri}}:

“[…] come manifestazione di solidarietà per le durissime condizioni di
vita in cui versano queste donne con le loro famiglie e che le pongono fra
le più colpite e misere categorie della nazione”.

Tutte s’impegnarono per {{la parità, compresa quella salariale}}, denunciando
alla Commissione dei 75 qualsiasi tentativo discriminatorio volto ad
escludere le donne dal lavoro extradomestico, come quello che introduceva
le parole essenziale funzione familiare nell’articolo riguardante la
tutela della maternità (legge del 10/5/1947) o quello che limitava
l’accesso delle donne alle carriere pubbliche .

Tutte sorvegliarono particolarmente {{la codificazione dei poteri
all’interno della famiglia}}, né tralasciarono di celebrare l’8 marzo,
ottenendo tutte insieme l’estensione alle donne del diritto di voto che
portò per la prima volta le italiane alle urne nel 1946, per il Referendum
tra monarchia e repubblica .

In occasione della {{prima elezione alla Presidenza della Repubblica}}, il
Gruppo dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini candidò e votò Ottavia
Penna Buscemi, definita unica donna qualunque esistente a Montecitorio .

La prima legislatura contò quarantatre parlamentari (4,7%), scese a
trentaquattro nella seconda (4,1%) e a ventidue nella terza (2,6%), mentre
nelle elezioni amministrative le 2.140 elette del 1956 scesero a 1.890 nel
1960.

La {{corsa alla cancellazione del femminile}} continuò: l’unica senatrice
eletta nella legislatura dal 1953 al 1958, fu {{Angelina Merlin}} (del PSI e
tra le fondatrici dell’UDI), che rispondendo alle istanze
dell’associazionismo femminile italiano e del contesto internazionale,
firmò leggi con importanti innovazioni, di grande valore sociale specie per le
donne: quella che impedì il licenziamento delle donne causa matrimonio;
quella che cancellò l’infamante “N.N.” dai documenti anagrafici ; quella
che equiparò i diritti della prole adottiva con quella legittima agli
effetti di natura fiscale ; quella che cancellò il decreto di Cavour che
agli esordi del Regno d’Italia aveva istituito le “case chiuse”, seminate
dal fascismo su tutto il territorio italiano e coloniale.

Nel ricordato convegno dell’Associazione degli ex-parlamentari, Gabriella
Fanello Marcucci, in una relazione di ampio respiro sui singoli apporti
delle consultrici al dibattito politico in generale e tra di loro, ricordò
che dall’esame complessivo degli Atti della Costituente “emerge un dato
negativo riguardante la presenza delle donne e che era senz’altro il
riflesso di un dato di costume. {{Quell’assegnazione di temi particolari,
riservata alle donne, come quelli della famiglia, dell’istruzione o della
parità nel lavoro, divenne di fatto un’attenzione pressoché esclusiva}}.
Tanto che solo alcuni sporadici esempi si possono citare circa interventi
di donne che non avessero come tema, esplicito o implicito, le donne
stesse”.

Caratteristica che non si perse mai, a fronte di una sempre più scarsa
rappresentanza femminile, tuttavia questo non inficia la riconoscenza che
tutte le italiane devono loro, per essere giunte al Parlamento grazie al
coraggio e alla lotta per i diritti e le libertà e per avervi realizzato,
con ulteriore lotta, conquiste costituzionali imprescindibili per i
diritti e le libertà delle coeve e successive generazioni femminili.

Riportiamo {{stralci del discorso inaugurale alla Consulta Nazionale
(1/10/1945) di}} {{Angela Guidi Cingolani}} (antifascista, Consultrice, deputata
D. C.).

“Colleghi Consultori, nel vostro applauso ravviso un saluto per la donna
che per la prima volta parla in quest’aula.
Non un applauso dunque per la mia persona ma per me quale rappresentante
delle donne italiane che ora, per la prima volta, partecipano alla vita
politica del paese.

Ardisco pensare, pur parlando col cuore di democratica cristiana, di
poter esprimere il sentimento, i propositi e le speranze di tanta parte di
donne italiane; credo proprio di interpretare il pensiero di tutte noi
Consultrici invitandovi a considerarci non come rappresentanti del solito
sesso debole e gentile, oggetto di formali galanterie e di cavalleria di
altri tempi, ma pregandovi di valutarci come espressione rappresentativa
di quella metà del popolo italiano che ha pur qualcosa da dire, che ha
lavorato con voi, con voi ha sofferto, ha resistito, ha combattuto, con
voi ha vinto con armi talvolta diverse ma talvolta simili alle vostre e
che ora con voi lotta per una democrazia che sia libertà politica,
giustizia sociale, elevazione morale. È mia convinzione che se non ci
fossero stati questi 20 anni di mezzo, la partecipazione della donna alla
vita politica avrebbe già una storia. Comunque, ci contentiamo oggi di
entrare nella cronaca, sperando, attraverso le nostre opere, di essere
ricordate nella storia del secondo risorgimento del nostro paese.

Tutti oggi siamo preoccupati dalla catastrofe morale che ha accompagnato
la rovina materiale del nostro Paese: le cifre spaventose, indici del
dilagare della prostituzione minorile, dell’intensificarsi della tratta
delle bianche, della precoce iniziazione al male di migliaia di fanciulli,
ci rendono pensose del domani così pauroso per le conseguenze di tanto
disastro morale. È vero, la guerra porta sempre con sé devastazioni
morali: ma credo che mai nel passato se ne sia verificata una così
spaventosa, nella distruzione di tanta innocenza, di tanta promessa,
invano sbocciata, di una nuova migliore generazione. Allargate le funzioni
degli enti di assistenza e della maternità e infanzia; fateci essere madri
rieducatrici di chi mai di un sorriso di madre ha goduto non si tema, per
questo nostro intervento quasi un ritorno a un rinnovato matriarcato,
seppure mai esistito! Abbiamo troppo fiuto politico per aspirare a ciò;
comunque peggio di quel che nel passato hanno saputo fare gli uomini noi
certo non riusciremo mai a fare!

Il fascismo ha tentato di abbruttirci con la cosiddetta politica
demografica considerandoci unicamente come fattrici di servi e di sgherri.

La nostra lotta contro la tirannide tramontata nel fango e nel sangue, ha
avuto un movente eminentemente morale, poiché la malavita politica che
faceva mostra di sé nelle adunate oceaniche, fatalmente sboccava nella
malavita privata. Per la stessa dignità di donne noi siamo contro la
tirannide di ieri come contro qualunque possibile ritorno ad una tirannide
di domani. Non so se proprio risponda a verità la definizione che della
donna militante nella vita sociale e politica è stata data: “la donna è un
istinto in marcia”. Ma anche così fosse, è l’istinto che ci rende capaci di
far incontrare il buon senso comune, che fa essere tutrici di Pace”.