“Habemus Papam”, ultimo lavoro di Nanni Moretti, è bellissimo e tragicamente grandioso là dove racconta {{lo smarrimento}} del pontefice designato: l’improvviso affiorare del senso di inadeguatezza per questo incarico rende assai commovente la vicenda umana ed efficace la storia che si vuole raccontare. Quando la paura attanaglia il protagonista così come quando la consapevolezza definitiva lo conduce alla rinuncia “coram populo” e senza l’atto benedicente, lo spettatore vive in piena sintonia ed emozione quei momenti.

Oltre a questo aspetto – diremmo così – sentimentale, si possono individuare {{altri piani di lettura}}: la partita di volleyball rinvia forse all’assunto che le regole – ove si applicano e vengono fatte osservare – annullano l’eccezionalità dell’evento e rendono “normata” una situazione drammatica che la psicanalisi, individualmente, non riesce a normalizzare?

E la bugia del segretario-portavoce, nel mentre coinvolge in una funzione scenica una guardia svizzera-figurante, impermeabile al dramma che si sta consumando, permette invece al papa nel suo “altrove” romano di dare voce ad un personaggio cechoviano.
Si ripropone forse {{la poetica pirandelliana}} del teatro come strumento indispensabile per dar vita a ciò che altrimenti non potrebbe essere rappresentato?

Resta da dire del ruolo di Moretti: per la prima volta {{il regista-interprete appare defilato}}, quasi estraneo alla vicenda mentre sembra suggerire, beffardamente, che la materia del suo racconto – pur se maneggiata con maestria – non è affar suo; così apparendo stridente rispetto al contesto straordinariamente emotivo.

Se è stato voluto, c’è riuscito perfettamente, lasciando però a noi {{un motivo in più di pessimismo e di solitudine.}}