L’esternazione del Presidente Napoletano sulle “pattuglie” di rappresentanza parlamentare femminile, e la sottolineatura dei doveri costituzionale di abbattere gli ostacoli, qualsiasi, al raggiungimento di una piena realizzazione dei diritti e dei doveri costituzionali senza discriminazioni, anche di sesso, ha dato un buon contributo a questo 8 marzo 2007, che cade in un momento di grande crisi della politica e della rappresentanza e ha evidenziato fino in fondo, con l’assenza delle parlamentari dalle recenti consultazioni del Colle, ruolo ed esiguità della presenza femminile parlamentare. Dopo più di mezzo secolo di parola costituzionale incompiuta, è legittimo dubitare che alle migliori intenzioni e alle più autorevoli indicazioni, segua veramente qualcosa capace di mutare il presente desolante scenario.
_ Che l’attuale Presidente constati un regime di democrazia insufficiente, non paritaria, e ricordi il mandato costituzionale, non depone che a suo favore ma pone sotto gli occhi di tutte la gravità della situazione italiana quale di legislazione in legislazione partiti e sistemi elettorali e parte maggioritaria della società civile hanno reso sorda alle istanze più attente delle donne, alla pluridecennale denuncia femminista di uno scarto profondo, pericoloso, discriminante tra popolazione femminile e popolazione maschile del paese.
_ La seconda ha il diritto di rappresentare l’elettorato tutto, la prima, seppure biologicamente maggioritaria, formalmente sì, sostanzialmente no e la sua rappresentanza è giocata in prevalenza all’interno del proprio sesso.

Campagne “Donna vota Donna”, campagne per le “quote”, campagne di riassetto della presentazione nelle liste, presenza di politiche di pari opportunità, non hanno portato che a queste “pattuglie”; dato biologico, neppure politico. E neppure il semplice biologismo ha funzionato. Perché mai, vetro domanda, l’elettorato femminile vota rappresentanti maschi e quello maschile non vota rappresentanti femmine? Perché (anche questa vetro-constatazione), non volessero le donne tutte votare altre donne, quante donne affollerebbero il Parlamento se gli uomini, e neanche tutti, volessero votare delle donne?

Il grande quesito della rappresentanza biologica giocata anche su criteri di genere non è quello che ha desertificato il Parlamento dalla rappresentanza femminile. Il diserbante è il potere. Chi lo ha non lo cede, né alle donne né ai maschi. Siamo un paese guidato da una gerontocrazia maschile in tutti i luoghi di potere. Neppure il meccanismo biologico dell’alternanza delle generazioni può aiutarci, a uomo anziano succede “un giovane” quasi anziano quanto lui e maggiormente frustrato dalla lunga secondarietà, dall’attesa. È evidente che in Italia neppure l’opportunismo politico ha finora prevalso, nel perseguire democraticità, nelle logiche di potere tra maschi.

A ragione, nella Conferenza stampa indetta dall’Associazione Federativa Femminista Internazionale, il 7 marzo, nella Casa internazionale delle donne, in merito alle due proposte di riforma elettorale per il riequilibro della rappresentanza – l’articolato dell’Udi che sarà presentato ai primi di Aprile e avvierà una raccolta di firme a livello nazionale, e l’articolato del Laboratorio 50&50 della Casa internazionale delle donne – è emerso che neppure l’opportunismo politico ha finora innovato le logiche di potere tra maschi e tra le generazioni maschili al potere.

A ragione, {{Francesca Braschi}}, co-presidente dell’Affi, ha ricordato “la volgarità” dell’ultimo dibattito sulle quote, parola che Irene Giacobbe (Laboratorio 50&50) che pure ne è stata fautrice, ha definito obsoleta. Francesca Braschi ha ben sottolineato come l’occasione sia diventata un “alto e approfondito piccolo seminario sull’analisi delle regole vigenti a fronte di un’emergenza democratica che richiede un nuovo patto politico” e come il grande assente dal dibattito sulla riforma elettorale, ad esclusione degli articolati predetti, è “la priorità della garanzia rappresentativa per donne e uomini”.

In merito al ripristino, o meglio all’esordio, della democrazia paritaria le due proposte dell’Udi nazionale e del Laboratorio 50&50, entrambe con più che documentata lunga storia alle spalle, non sembrano, a chi scrive, che potenziarsi.

Esposte, rispettivamente, da {{Pina Nuzzo}} (Udi nazionale) e da {{Irene Giacobbe}} e {{Agnese Canevari}} (Laboratorio 50&50), e rintracciabili sui rispettivi siti dell’Udi e della Casa internazionale delle donne, le due proposte, mi si perdoni l’approssimazione non avendo competenze specifiche, mi pare garantiscano, la prima l’avvio di una pratica virtuosa, dalla base, di una democrazia paritaria e la seconda l’esito.

Ferma e determinata,{{ Pina Nuzzo}}, ritiene “la forma politica, sostanza politica” e finita la mezzosecolare “pazienza” ed espletate tutte le scorciatoie, accomodamenti, cordate e quant’altro l’elettorato femminile ha subito in questo paese, ha chiarito che il Comitato promotore per la proposta di legge dell’Udi “non ha valenza politica, conta su donne operativamente fattive”, che “non cerca patti, autofinanzia la campagna basandosi su sottoscrizioni”, e che per “smontare il meccanismo odierno dalle origini e mettere, in partenza, il 50 e 50 di presenza dei due sessi nelle liste” si vuole tornare a “fare opinione fra quella popolazione che ha un senso comune molto più avanzato” del senso comune ritenuto dal Palazzo e anche del senso delle politiche delle donne che oggi è spesso schierato”.

“L’Udi sta cercando di passare da una forma di rappresentanza assembleare a forme più visibili di rappresentanza”, ha detto Pina Nuzzo, parlando del 50 e 50 per evidenziare la dualità, in senso biologico, non rispetto alla “rappresentanza di genere” in cui ha dichiarato di non credere”, e ha sottolineato come la campagna, che si rivolge a donne e uomini, possa diventare anche un’occasione “per reimparare a tener testa alle donne e agli uomini”.

Presenti alla Conferenza Stampa, sia {{Rita Capponi}} (presidente del Comitato di pressione Leggi Paritarie), che nel profetizzare un successo per la raccolta di firme, ha introdotto il dato della mediazione con i/le parlamentari, “perché nessuna vince da sola”, e del coinvolgere alcuni parlamentari “sensibili”, nonché di trovare il modo di “obbligare i partiti a essere garanti del dettato costituzionale”, sia {{Mirella Monaco}} (Forum di Rc), che, auspicando un’apertura d’orizzonti sul mondo, vitale epoca di globalizzazione, e pur ritenendo ineludibile la mediazione parlamentare, ha puntualizzato come l’elettorato femminile fugga davanti a proposte di riequilibrio, di ogni livello, che siano in partenza mediazioni; bisogna “sparigliare”, ha detto, con prestiti linguistici dal gioco delle carte, e “farlo ovunque”.

Quanto è esasperato l’elettorato femminile, tutto, e in special modo quello che da decenni propone riforme? {{Rosanna Oliva}}, di “Aspettare stanca”, associazione “il cui percorso si è intrecciato a quello del Laboratorio 50%50” si è detta disposta ad “appoggiare tutte le iniziative” combattano le attuali disfunzioni della rappresentanza, mentre {{Agnese Canevari}} (Laboratorio 50&50), che ha descritto vari scenari “simulati” di riforme della legge elettorale che non tenga conto di un giusto riequilibrio della rappresentanza, ha ricordato che solo la Regione Sardegna ha introdotto nello statuto della Giunta la rappresentanza al 50%.

Quali le diversità tra la proposta dell’Udi e quella del Laboratorio 50&50, “nato dopo la modifica della legge elettorale e finalizzato a elaborare una proposta che non riequilibri solo la rappresentanza parlamentare ma realizzi la democrazia paritaria ovunque esistano luoghi di potere”?