Dal 1985, promuoviamo la libertà femminile, le culture e le politiche autonome, democratiche e non violente delle donne.  Quest’anno festeggiamo il trentesimo dell’Associazione Il Paese delle Donne formalizzata nel 1987 dopo due anni d’autogestione di una redazione di donne formatasi nel quotidiano “Paese Sera” per volontà di Marina Pivetta, nostra direttora, e di Maura Vagli.

 Nel tempo, in molte hanno intersecato e arricchito il nostro percorso. In più di duecento sono diventate giornaliste pubbliciste. A molte ancora abbiamo offerto spazi e visibilità.

 A tutte dobbiamo riconoscenza per l’impegno costante e gratuito, per la qualità degli apporti, per le innovazioni effettuate, per gli eventi creati, per le stagioni di dibattito redazionale e di confronto di pensiero politico che ci ha contrassegnato.

 Ci siamo dette un “portico”, un “arcipelago”, guardando alle diversità come valore e riconoscendoci reciprocamente nella diversità delle scelte.

l’Associazione edita:  Il Foglio de il Paese delle donne (cartaceo, settimanale dal 1987 al 2000, poi con periodicità variabile e oggi quadrimestrale monografico)   –   paesedelledonne–on line (dal 1995, con referente Cristina Papa) diventato nel 2017 paesedelledonne-on line-rivista  (sito: www.womenews.net)  –  piccola editoria (poesie, novelle, atti di convegno)

 Dal 2000 editiamo il Premio di scrittura femminile il Paese delle Donne & Donna e Poesia

La nostra sede legale è in Via della Lungara 19, nella Casa internazionale delle donne  di cui abbiamo partecipato all’iter costitutivo e di cui sostiene il progetto e le finalità.   Siamo socie fondatrici dell’Associazione federativa femminista internazionale (Affi)   Siamo socie fondatrici di Archivia-Archivi, biblioteche e centri di documentazione delle donne.

 Il nostro materiale redazionale e quello personale di molte redattrici, nonché quello del Premio è confluito in due Fondi bibliografici e archivistici:  Archivia (dichiarato Patrimonio storico dalla Soprintendenza Archivistica del Lazio)  –  Biblioteca dell’Area Umanistica dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale

 Abbiamo prodotto il video “La città della dea Perenna” con la storia della Casa internazionale delle donne da noi rintracciata e pubblicata nell’omonimo libro (Anomaly Press, 1995).  Abbiamo curato  trasmissioni radiofoniche e televisive, mostre e presentazioni librarie.  Associazione senza fini di lucro, vivivamo dell’impegno gratuito delle Socie

Alla giuria del Premio fanno parte: Gabriella Anselmi, Donatella Artese, Edda Billi, Amelia Broccoli, Monica Grasso,Teresa Mangiacapra, Beatrice Pisa, Marina Pivetta, Lucilla Ricasoli, Maria Teresa Santilli, Alba Ungaro, Consuelo Valenzuela

Il Premio Paese delle Donne è dedicato a Maria Teresa Guerrero, detta Maitè  –  Rifugiata politica in Italia negli anni della dittatura cilena, è mancata a Roma (1991) all’affetto della figlia e dei tanti e tante che ne hanno apprezzato la generosità, l’impegno e la positività nella vita travagliata, dedicata all’arte, all’insegnamento, alle politiche di pace e delle donne, al sostenere democrazia,  promozione sociale e culturale e libertà individuali e collettive, in ultimo abbracciando il buddismo.

Redattrice de il Foglio de Il Paese delle donne, ha partecipato all’iter costitutivo della Casa internazionale delle donne, è definita da Silvana Turco «Maitè tessitrice delle speranze» nell’opuscolo che l’Associazione Internazionale Artisti (Aia), ha dedicato alla sua co-fondatrice in occasione del ricordo presso l’Ambasciata del Cile, a Roma.  Dedicarle il Premio è stato come continuare ad averla tra noi. Una sua opera, ceduta da Il Paese delle Donne alla Casa Internazionale delle donne, è nella Sala Carla Lonzi.

 

 

Foglie – lavoro di Lucia Crisci esposto alla Casa Internazionale delle donne il 2 e il 3 dicembre 2017

LA GIURIA DEL PREMIO IL PAESE DELLE DONNE & DONNA E POESIA  HA ACCOLTO CON GIOIA LA PROPOSTA DI MONICA GRASSO E LUCILLA RICASOLI, REFERENTI DELLA SEZIONE ARTI VISIVE, DI PROMUOVERE CONTESTUALMENTE AL PREMIO, LA PERSONALE  “RITRATTE” DI LUCIA CRISCI ALLESTITA  NELL’ATELIER DELLA CASA INTERNAZIONALE DELLE DONNE,  in collaborazione con MAC MajaArteContemporanea e RICCARDO BONI

 

 

 

 

                                                                                            EDIZIONE 2017 DEL PREMIO

SEZIONE SAGGISTICA ≈

 1° Premio: ANTONELLA CAGNOLATI e SANDRA ROSSETTI, Donne e Scienza, Aracne ed., 2016

Motivazione letta da Maria Teresa Santilli

—  Il volume è una raccolta di saggi che forniscono una pista di lettura nuova e affascinante nel complesso rapporto che esiste tra le donne e il sapere scientifico; offre una panoramica completa su importanti filoni del femminismo e della ricerca scientifica a livello mondiale.

Le donne diventano protagoniste di un sapere aperto alle innovazioni e ai miglioramenti derivanti dalla considerazione del “genere” con l’obbiettivo di dare una risposta appropriata ai bisogni di tutte e tutti. Particolare interesse rivestono le tematiche della medicina narrativa; della medicina di genere; della critica al pensiero scientifico  e dell’ecofemminismo. Il saggio sulla medicina narrativa è incentrato sulla figura di Rita Charon, medica internista e docente di clinica medica alla Columbia University di New York.

La sua formazione universitaria, umanistica e pedagogica prima e medico scientifica ha contribuito a sensibilizzarla, come medico e come donna, sull’importanza del fattore umano nella pratica sanitaria.

Scrive Charon: «Parallelamente alla maturazione delle proprie conoscenze scientifiche, i medici devono imparare ad ascoltare i loro pazienti, per comprendere quanto meglio possano il calvario della sofferenze e per onorare i racconti di una malattia». «Onorare le storie di malattia» significa restituire al paziente, spesso individuato solo dal numero del letto che occupa, la dignità della parola. Con questi obbiettivi ha fondato nel 2000 presso la Columbia University il programma di medicina narrativa e nel 2009 il Master in medicina narrativa che è il primo corso di studi accademico del suo genere a livello internazionale.

Nei saggi sulla “Medicina di genere”, le autrici affermano che non si tratta di una disciplina medica a parte, ma di un nuovo modo d’intendere la prevenzione, la diagnosi e la cura delle malattie in un’ottica di equità, rispetto alle differenze di sesso e di genere. Poche persone sanno che nessuno dei farmaci in commercio è testato su donne e che non sempre la classificazione dei dati è differenziata. Rispetto alla salute delle donne si ha la tendenza a considerare soltanto il seno e gli organi riproduttivi come specificità della salute femminile, le altre patologie in primis quelle cardiovascolari sono spesso trascurate. É messo in evidenza che, nonostante le numerose risoluzioni degli organismi internazionali sulla salute della donna, è ancora lungo il percorso per superare i pregiudizi che sottendono la medicina tradizionale.

Il saggio su Anna Bonus Kingsford (1846-1888), una delle prime britanniche a laurearsi in medicina, evidenzia la radicalità della sua critica alla pratica della vivisezione e fa emergere il nesso che esiste tra violenza nei confronti degli animali e dominio su le donne.

Uno dei temi centrali nel pensiero di Kingsford è il limite all’uso dei mezzi vòlti ad acquisire conoscenza; l’accettazione del limite implica la rinuncia all’idea del dominio, all’arroganza di voler manipolare e trasformare la natura.

Il saggio Eco femminismo e scienza delle donne espone la critica femminista ai metodi della scienza moderna e contemporanea  e attraverso la voce di alcune importanti scienziate femministe quali Sandra Harding, Evelin Fox Keller, Donna Haraway denuncia non solo il problema dell’emarginazione delle donne nella ricerca scientifica, ma anche un uso della scienza basata su una concezione  meccanicistica e maschilista che domina la natura e le persone. Il punto focale è centrato su Carolin Merchant e Vandana Shiva, leaders del movimento ecofemminista che ha rivolto la propria attenzione all’ecologia e alla questione ambientale.

Il volume si conclude con due saggi dedicati  al lavoro delle donne in ambito universitario: il primo sulle forme di discriminazione delle donne scienziate in Spagna durante il regime franchista; l’altro è il percorso di rendicontazione annuale (bilancio di genere) delle dinamiche di genere nell’università di Ferrara.

L’opera è arricchita da un’ampia bibliografia, da una ricca documentazione sulle esperienze e  proposte di interventi nelle ricerche e sperimentazioni scientifiche in un’ottica di genere.

2° ex aequo: FRANCESCA DI CAPRIO FRANCIA, Donne Genovesi nell’età dei Lumi, De Ferrari ed., Genova, 2016.

Motivazione letta da  Maria Paola Fiorensoli

Il Trattenimento in giardino – La cioccolata, di Alessandro Magnasco (Musei di Palazzo Bianco) anticipa, in copertina, la raffinatezza e il godimento di pagine sapienti da cui, tra vicende sorprendenti, vissuti intriganti, chiose e note emerge la passione dell’Autrice per la città di Genova e per quindici protagoniste dell’universo femminile genovese/ligure colto nel bel mezzo dell’Età dei Lumi e fervido di figure: nobildonne, scienziate, artiste, commercianti, schiave come la tabarchina Sinforosa Timone [ca. 1727 – dopo1762], cristiana rapita dai Turchi, resistente alla conversione all’Islam e alle seduzioni del padrone.

La schiavitù sussistette anche in quello spicchio d’Europa, nella Genova cosmopolita, colta e commerciale, di grande cultura laica e religiosa.

Notevole la contestualizzazione, con note, rimani, chiose, illustrazioni, a vite lontane, temporalmente e socialmente trasversali – da Clelia Grillo Borromeo Arese (1684-1777) Una contessa scomoda tra arte, scienza e politica, a Bianca Calvi (1777-?) La Libertà genovese da scandalo – s’accompagnano mini-ritratti nei sottotitoli «mirabilmente centrati nella definizione della natura e della funzione svolta nella società da ciascuna protagonista» come sottolinea, nella Prefazione, Paola Massa (Prof.re Emerito di Storia economica Università di Genova), di cui condividiamo l’apprezzamento per l’opera e per l’Autrice, per l’approfondita e originale e ben impostata ricerca, per le rarità tratte da archivi pubblici e privati, dalla memoria condivisa, dal parlato comune, il tutto espresso con lessico elevato ma fruibile a una lettura scorrevole e veloce, senza cali di attenzione.

In appendice, Iconografia-La moda del Settecento, Giornale delle dame e delle mode di Francia, una passerella d’epoca, maschile e femminile, chiude il cerchio sapiente intorno alle protagoniste i cui nomi sono in gran parte sconosciuti, o meglio erano, augurando al volume una larga diffusione anche nelle scuole.

Es.: ritratto di Clelia Durazzo Grimaldi (Genova 1760 – Pegli 1837) «…raro esempio di donna scienziata nel Settecento, particolarmente competente in botanica, anche perché seppe cogliere l’opportunità di vivere in un momento della cultura ricco di sensibilità innovativa, fondamentale per il futuro sviluppo delle innate doti della giovane la cui personalità evidenziò una volontà illuministica di sapere che non venne mai meno.»

Nella trattazione, elementi della genealogia; della storia coeva di governo della Repubblica di Genova; del magnifico impianto del giardino storico di Villa Durazzo Grimaldi, oggi Pallavicini,  cui le Poste italiane dedicarono un francobollo (Il Tempio di Diana, 1995, p. 77); del dono munifico, essendo morta la nobildonna senza eredi, «a titolo di legato alla Civica Biblioteca di Genova della sua libreria botanica composta da oltre cinquecento rari volumi e un erbario di circa cinquemila specie di piante, essiccate su fogli, a loro volta radunati in un centinaio di grosse cartelle.» (p. 76)

L’Autrice rintraccia il donato, in parte rovinato, in altra disperso e riporta pagine del suo erbario (p. 77).

 

Segnalazione : ANNA PAOLA MORETTI, Considerate che avevo quindici anni. Il diario di prigionia di Magda Minciotti tra Resistenza e deportazione, Affinità elettive, Ancona, 2017.

Motivazione letta da Amelia Broccoli

Un diario, denso e commovente come tante storie narrate in prima persona; toccante testimonianza di un periodo storico non troppo lontano. Questo intende offrire il pregevole lavoro di Anna Paola Moretti che ha saputo ricostruire, con accurati strumenti storiografici, il profilo di una giovane partigiana di Chiaravalle, Magda Minciotti, arrestata dalle SS e deportata, per lavoro coatto, negli stabilimenti-lager della Siemens a Norimberga e a Bayreuth.

Le pagine del diario, venute alla luce solo settant’anni dopo loro composizione, sono lievi e toccanti ma assai efficaci nel far affiorare le tracce di una realtà sommersa perché a lungo trascurata: quella del ruolo delle donne nella lotta di Resistenza partigiana.

Assai opportunamente l’Autrice recupera i tasselli della storia di Magda, attraverso fonti documentali di archivi pubblici e privati, documenti familiari e fotografie.

Quello che emerge è il ritratto vivo e doloroso di una delle tante donne che hanno contribuito a scrivere una parte importante della storia italiana.

2° ex aequo: MARIA CHIARA MATTESINI, Una battaglia al femminile. Maria Eletta Martini e il nuovo Diritto di Famiglia, Maria Pacini Fazzi editore, Lucca, 2017.

Motivazione letta da  Maria Paola Fiorensoli

Il volume che biografa Maria Eletta Martini e il suo importante ruolo nella riforma del Diritto di Famiglia, è pubblicato per volontà dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea in Provincia di Lucca e si giova del contributo del Comune di Lucca. Tra le fonti principali, materiale archivistico e bibliografico dell’Istituto Luigi Sturzo di Roma e gli Atti Parlamentari.

Nella Premessa, la Vice Sindaca di Lucca, Ilaria Vietina, definisce l’illustre concittadina «Un monito perché ci richiama alla costanza dell’ascolto e ci indica nella pazienza della ricucitura la possibilità di tesser con fili diversi un’opera coerente. Un modello perché nel venire a conoscere quanto lei ha saputo realizzare vediamo concreta la possibilità di seguire la strada che ci indica.” (p. 5)

Nella Presentazione, Stefano Bucciarelli, Presidente dell’Istituto Storico, rileva «l’impossibilità di considerare la vicenda politica di Maria Eletta Martini, figura di prima grandezza della nostra storia repubblicana, senza tenerne presente i legami con la sua città: la sua vicinanza alla rete resistenziale, mediata dal padre Ferdinando che sarà il primo Sindaco di Lucca nel dopoguerra; la sua battaglia per entrare in consiglio comunale, nel 1951, dopo che il primo consiglio, nel 1946, era rimasto a composizione esclusivamente maschile; i collegamenti mantenuti con il tessuto associativo femminile cattolico e con gli umori del partito democristiano (DC) locale; il suo rientro, dopo un’intensa attività a livello nazionale, come capogruppo, sui banchi di Palazzo Santini nel 1990, nell’ultimo consiglio della prima repubblica, con sindaco Arturo Pacini (…) Quella di Maria Eletta Martini è una battaglia dalla parte delle donne e con le donne.» (pp. 8-9)

Nella Prefazione, Fiorenza Taricone, docente di Storia delle Dottrine Politiche all’Università di Cassino e del Lazio Meridionale, sottolinea come «Maria Eletta Martini rappresenti l’esempio calzante dei risultati di un connubio singolare che si verificò in Italia alla fine degli anni Sessant fra il femminismo extra istituzionale ed il progressismo femminile nei partiti e nell’associazionismo. (…) Sulle questioni inerenti la famiglia erano stati presentati in Parlamento molti disegni di legge; Maria Chiara Mattesini li elenca (…) è da notare che gli articoli del Codice penale e civile che si volevano modificare o sopprimere erano gli stessi per le diverse proposte di legge »(pp. 14-15)

L’Autrice biografa con dovizia di particolari Maria Eletta Martini, nata a Lucca (1922), partecipe della Resistenza, Parlamentare convinta – per indole, educazione, esperienza, pensiero politico – che la mediazione fosse l’arma vincente e che non scadesse in basse logiche di preminenza, opportunismo e potere.

La materia di cui s’occupò era rovente e ancora lo è nella società plurale italiana, poiché essa interseca inesorabilmente profilo e ruolo delle donne, al centro degli interessi comuni e degli assetti familiari.

Segnalazione: MARCELLA FILIPPA, Donne a Torino nel Novecento. Un secolo di storie, Edizioni del Capricorno, Torino, 2017

Motivazione letta da Maria Paola Fiorensoli

Opera originale e necessaria, ricostruisce con plurimi linguaggi grafici e visivi e accurate ricerche in biblioteche, emeroteche ed archivi, il protagonismo femminile torinese nel corso del “secolo breve”.

L’A. dirige la Fondazione Vera Nocentini, collabora con università italiane e straniere; saggista e giornalista e responsabile di collane editoriali. Riscopre, documenta e contestualizza straordinari profili femminili, individuali e collettivi, in una città dalla forte vocazione industriale e commerciale, mèta di una forte immigrazione interna, ma anche patria di inventori, d’editor*, di spiriti liberali, d’arte magica; città antifascista, operaia e sindacale che guarda da sempre oltralpe.

Il volume esce nell’anniversario del 70° del voto delle Italiane e del centenario della Rivoluzione bolscevìca, l’uno prodotto e l’altro segnato dall’apporto femminile teorico, politico e di propaganda.

Tra le preziosità: la rivolta delle Torinesi per il pane aprì, dal 28 agosto 1917, una stagione europea di rivendicazioni che contò la Rivoluzione d’Ottobre.

La miriade d’informazioni, gli straordinari profili individuali e collettivi, delineano il costante impegno femminile nell’avanguardia culturale e artistica, nel lavoro extradomestico e domestico, nella vita associativa, nelle lotte per la libertà e la democrazia, per i diritti del lavoro e della persona.

≈  SEZIONE NARRATIVA ≈

 1° premio: MARIA NEVE ARCUTI, Torno da me, il Raggio Verde, Lecce, 2016

Motivazione letta da Consuelo Valenzuela

Il libro riunisce tanti ritratti di donne accumunate dall’urgenza di scovare la loro identità più profonda, e con essa la loro ragione di essere al mondo.  Il primo dei sette racconti che compongono la raccolta – di cui sei portano il nome delle loro protagoniste – è intitolato “Neve”, come il nome dell’Autrice. Descrive le ragazze con cui Neve, in fuga dalla sua terra d’origine, la Puglia, per approdare a Verbania, città remota e distante da casa, si trova a condividere la sua esistenza di ragazza. Ognuna di loro ha lasciato alle spalle qualcosa, alla ricerca del proprio nascosto sè.     La frase che chiude il primo racconto della raccolta, è lapidaria e, al tempo stesso, emblematica:  «Fuggo di nuovo, ma per tornare da me» suggerendo il titolo del libro.

«Questi racconti sono soffi, respiri, sono finestre dalle quali entra aria buona» avverte Luciana Manco nell’introduzione e aggiunge qualche riga dopo:  «Donne con le quali sentirsi al sicuro, con le quali perdersi. Donne di ogni parte del mondo, che possono cambiarlo, il mondo. Donne piene di immaginazione, che anche se il mondo non cambia loro lo vedono migliore, disposte a tutto per la libertà

Come Margherita, la protagonista del terzo racconto, una ricercatrice universitaria disposta a ogni tipo di sacrificio pur di continuare il suo lavoro di ricerca scientifica o Rashid che lavora come cameriera in un albergo a Tehran, ma sogna l’Occidente e un nuovo lavoro nel teatro, e vede infrangersi il suo sogno ancora prima di iniziare a realizzarlo. Oppure Ruth che viene dal Ghana e sperimenta sulla sua pelle gli ostacoli dell’integrazione…pur essendo diverse per formazione e provenienza geografica, nessuna di loro è disposta a cedere di fronte alle inevitabili avversità che la vita comporta.

Neve, Catherine, Margherita, Rashid, Ruth e Vita conservano intatta la resilienza necessaria alla loro lotta per affermarsi e andare avanti nei loro progetti di vita.    «Il percorso della mia vita, piuttosto lineare fino a quel momento, era stato costretto a fermarsi di fronte a un’imprevista deviazione. E le indicazioni sulla direzione da seguire non erano state poi così chiare. Come quando, di frequente, ahimé, nel mio sud, imbocchi certe strade seguendo cartelli stradali che ad un certo punto ti abbandonano, lasciando al tuo senso dell’orientamento, o piuttosto al tuo istinto, la facoltà di immaginare e seguire la direzione giusta, obbligandoti a procedere un po’ a tentoni, fino a che, nella migliore delle ipotesi, non ricompaiono, facendoti tirare un bel sospiro di sollievo. E per me era stato un po’ così


2°  Premio – ROSANGELA PESENTI, Racconti di Case, Edizioni Junior, Reggio Emilia, 2016

Motivazione letta da Donatella Artese De Lollis

L’Autrice così sintetizza il suo lavoro «ogni casa è una storia d’incontro del quale le mie osservazioni sono la cornice e le interviste sono il cuore.» Il suo intento è di indagare i contesti abitativi in relazione al benessere della persona per comprendere come e quando dentro la casa vivano e si riproducano i modelli di genere e di relazione tra le generazioni.

Ha scelto di visitare e  fare le interviste a famiglie del territorio dove abita: la bassa Bergamasca est dove è situato un campo Rom Sinti di case mobili. Ha chiesto a tutti i componenti dei  diversi nuclei familiari di essere presenti contemporaneamente e  ai figli e le figlie di descrivere la casa con un disegno; tutti i disegni fanno parte del libro. Nonostante altri autori e autrici abbiano trattato l’argomento come Bassanini (Tracce silenziose dell’abitare,….) e come Lidia Menapace (Scienza della Vita Quotidiana), l’Autrice ritiene che la narrazione della casa nell’esperienza delle donne sia ancora sconosciuta…Entriamo con lei discretamente guidate alla conoscenza della distribuzione degli spazi, di come sono vissuti dai singoli e delle dinamiche interpersonali che si determinano nel quotidiano. In un colloquio cordiale, talvolta intorno a una tavola a cena,ci viene svelata l’intimità dell’ abitare: casa bene comune, responsabilità condivisa, spazio di solitudine e degli oggetti più cari, sistema complesso. La partecipazione emotiva dell’Autrice crea un racconto appassionante che ci invita a una seria riflessione sulla nostra  quotidianetà , fondativa  di ogni percorso identitario. Una raccolta di storie diverse che diventano uno spaccato della nostra società.

Che cos’è casa? «Dove poggi la testa quella è casa», «Viaggiatrice che sa fare casa ovunque», «Casa é dove muoversi a proprio agio e usare le cose tranquillamente perché non devi chiedere a nessuno», «Casa mobile, casa di transizione piena di nostalgia della carovana e non desiderabile per i propri figli», «Ieri luogo di divisione dei ruoli e di equilibri consolidati che impedivano la libertà delle donne; oggi luogo di messa in discussione di identità: il tempo della madre, il tempo del padre; la divisione dei compiti che comportano una continua contrattazione al fine  di mantenere in equilibro affettivo le relazioni familiari.»

Nel nuovo contesto dove trovano posto i saperi del corpo delle donne che marcavano il quotidiano e facevano della casa corporeità allargata? Il ritmo frenetico odierno non permette di dare loro spazio: il corredo simbolo di abilità, di bellezza, sicurezza è solo un’utilità pratica; raramente le tavole sono apparecchiate per nutrire il corpo e l’anima; l’abitazione molto spesso è solo rifugio. L’Autrice richiama la nostra attenzione sulla Cura, storico e prezioso patrimonio delle donne che può assicurare una buona qualità di vita al pianeta e a tutti gli esseri viventi; progetto che unifica passato, presente e futuro.

Segnalazione: MARCELLA DELLE DONNE, Cuore di zingara, Ediesse, Roma, 2014

Motivazione letta da Consuelo Valenzuela

Nel romanzo, l’Autrice, docente di Sociologia e Sociologia delle relazioni etniche presso l’Università “Sapienza” di Roma, racconta in prima persona il suo impegno pluriennale a favore degli “zingari”.

Rosanna, Dajgor, Elisabetta e tanti altri sono i personaggi indimenticabili che popolano questo libro che ha il merito di descrivere e analizzare le condizioni di vita e i molteplici problemi che affliggono i vari clan Rom che vivono sul nostro territorio.

Fanno da sfondo a queste storie, gli scenari recenti della guerra in Jugoslavia e il dramma di Porrajmos, lo sterminio degli zingari perseguito in epoca nazista e di cui ancora oggi, come viene ricordato dalla giurista esperta di diritti umani, Maja Bova, nella postfazione al libro:

«Si ignora il numero esatto dei Rom, Sinti e Caminanti morti nel lager*, come si ignora il numero dei sopravvissuti ai campi di lavoro e smistamento, che in alcuni casi furono aperti addirittura in Italia.»

L’Autrice ha curato per Ediesse A Nord, a Sud del Mediterraneo che narra di altri mondi pieni di suggestioni, forti sentimenti e di grande attualità. L’ultima delle sue produzioni socio-poetiche, la silloge Donne, Donne eterni Déi (Mimesis, 2017), ha vinto il premio “Citta’ Di Marineo” (Pa), edizione 2017.

*Nel campo femminile di concentramento e poi di sterminio di Ravensbrück, il più antico (1939) e atroce “modello” della Germania nazista inizialmente riservato alle oppositrici politiche tedesche ed altre “asociali” di Germania, si fece sperimentazione sui corpi femminili e sulla fertilità delle donne, gettando nel forno anche chi vi nacque. Molte delle quasi centomila internate, di ogni fede e provenienza (fino alla chiusura, il 21 aprile 1945) erano Rom.

Tra le vittime più celebri, Milena Jesenská, la giornalista amata da Kafka, biografata dall’amica sopravvissuta: Grete Buber-Neumann, vedova del leader del P. C., internata in Siberia, fu poi “regalata” da Stalin a Hitler  (Sarah Helm, Il cielo sopra l’inferno). 

 

Nell’affesco è riprodotta la poeta Saffo che nasce a Ereso in Grecia nel 640 AC e muore a Leucade a 70 anni nel 570 AC

≈  SEZIONE POESIA  ~  XXV° PREMIO  DONNA E POESIA ≈ 

Gabriella Gianfelici e Anna Maria Robustelli scrivono:

Quest’anno, l’Associazione Donna e Poesia – già Donna Poesia – nata nell’aprile 1987, durante l’iter costitutivo della Casa internazionale delle donne, celebra il suo trentennale e il venticinquesimo del suo omonimo Premio, il primo in Italia rivolto alle sole donne. 

 Il gruppo fu istituito da Rosanna Fiocchetto, Rosella Mancini e Amanda Knering alla quale si affiancarono ben presto Márcia Theophilo e Cristina Colafigli.  Siamo cresciute grazie ad assidue collaborazioni, come quella di Olimpia Castiglione, Paola D’Agnese, Marta Izzi e Simonetta Sterpetti.   Gli incontri nella “Sala del Caminetto”, nei locali occupati dell’ex Buon Pastore, erano sempre molto frequentati e interessanti. Dal 1991, li abbiamo tenuti nella cosiddetta “Stanza della porta verde”, al primo piano dell’ala seicentesca dell’antico edificio alla Lungara.    Il nostro obiettivo principale era ed è rimasto quello di dare voce alle donne attraverso l’ascolto e lo studio della parola poetica femminile.

Ai nostri incontri partecipavano, ieri come oggi, poete affermate ed esordienti invitate a rivelare le loro poesie tenute nel cassetto, e s’indaga l’opera e la biografia di poete d’ogni epoca e provenienza, italiane e straniere: anche questo un tratto originale, che aprì alle novità e ai classici di altri paesi.

 Nella ricerca delle poete illustri e poco note del passato, uno dei primi nomi incontrati è stato quello di Isabella di Morra, la grande poeta lucana quattrocentesca. In quelle sulla poesia araba, africana, effettuata con T. Maraini, cubana e argentina, molte poete poco note tra le quali A. Pizarnik.

  Nelle prime edizioni del Premio Internazionale Donna-Poesia (1989), il materiale in graduatoria fu pubblicato in un’Antologia.

 Tra le giurate che hanno accompagnato il Premio nel tempo, vogliamo ricordare Antonella Anedda, Daniela Attanasio, Edith Bruck, Adele Cambria, Caterina Cardona, Maria  Clelia Cardona, Biancamaria Frabotta, Anna Malfaiera, Dacia Maraini, Toni Maraini, Elena Milesi e Sara Zanghì.

Tra le nostre premiate, Lucianna Argentino, Maria Grazia Calandrone, Annamaria Ferramosca, Fiorenza Mormile. Molte di loro e altre sono diventate negli anni punti e luci importanti della poesia femminile italiana contemporanea.

 Abbiamo collaborato con Medici senza Frontiere e con l’Ass.ne Franco Basaglia ’84 presso il comprensorio di S. M. della Pietà (Roma)

 Il nostro fondo di poesia è stato donato ad Archivia, la biblioteca al 1° piano dell’ala ottocentesca della Casa Internazionale delle Donne di Roma (ingresso da Via della Penitenza 37), ed è stato dichiarato Patrimonio Storico dalla Soprintendenza archivistica di Roma.

 

Premio unico editi: KATIA OLIVIERI, Piove col sole, Montag, Tolentino, 2016.

 Motivazione letta da Anna Maria Robustelli

Sentimenti quieti, solidi emergono sin dalle prime pagine di questo salutare libro e riportano ai propri ricordi e ai propri cari in un percorso di silenzio, di ascolto e di contemplazione di piccole meraviglie:

E mi parli dei fiori / che in silenzio/ continuano a sbocciare (L’estate di San Martino, p. 10).

Le immagini si depositano lievi, trasfigurate dalla prospettiva del passato, come una natura morta illuminata da un raggio di sole. Nella prima parte del libro,  in un viaggio-meditazione tra i paesini della Toscana, si accende uno stupore contenuto per le cose antiche e le persone vive che s’incontrano, in un dialogo aperto con la propria madre e con Ugo.

E’ una trama sottile che tiene uniti in un nodo di fiducia e tepore i luoghi attraversati dal tempo, le scoperte e le persone amate:

Ci infilerò dentro un pensiero. Il primo che mi viene / non lo butto più via. Perché sarà ancora più bello, / mamma, pensarti da qui ; p. 18).

I momenti di illuminazione sbocciano tra i quadretti campagnoli e naturali: il suono delle campane, il fischio del treno e i pensieri rivolti al tempo che fu e si rinfocolano continuamente (Un treno fischia / alla notte dimessa / e come una pipa / sbadiglia l’alba / di fumo); Campane, p. 19)

Si fonde con il  paesaggio il fragore degli eventi umani, il rimescolio dei ricordi, gli echi di un tempo più semplice e rassegnato:

E quando scendeva la sera, un barlume di luna / le accarezzava i capelli / l’amore era tutto lì, le avevano detto, / un letto di pannocchie, un tozzo di pane e una lacrima di vino (Ritratto di mia nonna, p. 24).

L’evocazione di un vicolo vecchio e solo e di una cucina con una sedia di rattan riportano la voce narrante alle facce appannate che faceva sul vetro della nonna (La pioggia dell’infanzia, p. 33), a quei semplici gesti e giochi che i bambini si inventano per esplorare la realtà e occupare il tempo. Molte poesie della raccolta indugiano su scene di paese che riproducono un mondo chiuso in se stesso, ma palpitante di vita con tocchi ingenui che testimoniano la ricchezza dei rapporti che legano quegli esseri umani (Sulle rocce calve /si poggia un paese / a mo’ di presepe / con le casine gomito a gomito. / Siamo tutte comari: “Filomè! Cì! Marì!” /Un filo solo per cinque famiglie: / il reggipetto di Cinzia, più avanti /quello di zia, le mutande / di Peppina, le calze d’Annunziata; Com’è un paese, p. 35).

Ma anche quando Katia Olivieri descrive luoghi diversi dal paese dell’infanzia si coglie un piglio festoso e fresco nel rinvenire i legami che manteniamo col mondo degli alberi, del vento, del mare che ci accompagnano nel nostro cammino di tutti i giorni.

PREMIO UNICO INEDITI : non assegnato          PREMIO UNICO SILLOGE: non assegnato

 

 

≈  SEZIONE TESI DI LAUREA ≈

1° Dottorato: LAURA ELISABETTA BOSSINI, La prima legge italiana contro la violenza sessuale. un dibattito lungo vent’anni (1976-1996). Scuola di Dottorato Istituzioni e Politiche, Facoltà di Scienze politiche e sociali, Università Cattolica Milano 2016-2017.

Motivazione letta da  Fiorenza Taricone

L’Autrice snoda le sue ricerche in modo attento e, attraverso una scorrevole scrittura, esamina puntualmente fonti diverse fra loro, dando voce ad attori diversi della scena sociale e politica: i movimenti, in questo caso femministi, la stampa, le associazioni, le istituzioni, i dibattiti legislativi, i saggi e i libri che dell’argomento avevano dibattuto, prima, durante e dopo l’approvazione della prima legge italiana contro la violenza sessuale.  Il lavoro è arricchito anche da un voluminosa appendice documentaria.

L’Autrice si sottrae a facili giudizi di parte, data la violenza dell’argomento e anche la sua attualità, riuscendo a mantenere l’equilibrio fra la consapevolezza che non si trattava di un tema neutro, e la rigorosità dell’impianto. Oltre i casi di cronaca trattati, talvolta con le testimonianze delle dirette protagoniste, e la registrazione del livello di mentalità di vasti strati del Paese, emerge nel lavoro di ricerca e di scrittura, la forza dello stereotipo, che non è legato ad un’epoca precisa, ma ne traversa molte. Non è un caso quindi che il lavoro prenda le mosse dal processo tenuto nel 1612, a Roma, che vide come imputato il pittore Agostino Tassi, ai danni della diciottenne Artemisia Gentileschi, pittrice, figlia dell’artista Orazio Gentileschi.

Un processo emblematico, sfuggito, grazie al movimento femminista e agli studi di genere che hanno preso le mosse in Italia dopo la metà degli anni Sessanta, all’amnesia della storia.

Né è un caso che la Candidata lo paragoni ad un processo posteriore di quattrocento anni, ai danni di Fiorella Dello Russo, che aveva sporto denuncia contro quattro giovani e che, come accadeva allora, da vittima diventò imputata*. Premessa ineludibile era l’esame dei reati sessuali nel Codice Rocco e le contraddizioni insite nella violenza carnale riferita ai coniugi, non ammessa dallo stesso codice. Questo dibattito è alle spalle della odierna violenza domestica di cui tanto spesso leggiamo nella contemporaneità. Certamente il diritto di cittadinanza acquisito nel 1945 e poi il suo esercizio effettivo negli anni seguenti diedero una sferzata alla mentalità passiva in cui molte donne si adagiavano: il caso di Franca Viola attentamente esaminato dalla Candidata, fu un passaggio significativo. Il femminismo era ormai alle porte e vengono esaminati i testi fondanti della rivoluzione femminile, a partire dal Demau (Demistificazione anti autoritaria), ma anche i giornali e periodici dell’epoca, anche i più lontani dai contenuti del femminismo stesso.

Giusto spazio è dedicato al processo degli anni Settanta di cui ancora si conserva memoria, noto come il processo del Circeo, per più di un motivo: la consapevolezza che fosse necessaria la costituzione di parte civile del movimento femminista e la connotazione di uno stupro ‘di classe’, data la frequentazione politica dei colpevoli. A seguire, altri processi, meno clamorosi ma altrettanto significativi e le discussioni nel femminismo italiano, attentamente seguite tramite ricerche d’archivio in diverse città italiane.

Il capitolo quarto è dedicato alla reazione istituzionale, cioè ai primi disegni di legge, come quello della deputata socialista Tullia Carettoni, a seguire la proposta comunista del 1977, e finalmente, negli anni Ottanta, l’abrogazione del cosiddetto delitto d’onore, che arrivava dopo la riforma del diritto di famiglia, come singolare contraddizione. Le reazioni femministe del Comitato promotore per la proposta di legge d’iniziativa popolare contro la violenza sessuale, alla discussione di un testo unificato non furono affatto favorevoli, anche per l’introduzione del concetto di pudore sessuale. Una ulteriore frattura era inerente alla procedibilità d’ufficio o alla necessità di una querela di parte; la prima, per alcune ledeva il principio della libertà femminile, per altre, la querela era un motore di cambiamento necessario.

La candidata segue l’iter delle discussioni parlamentari, non esenti da quelli che la Candidata ricorda come colpi di mano. Il settimo Capitolo è riservato all’epilogo con l’approvazione della legge.

* Ricordiamo il “NO” di Franca Viola al “matrimonio riparatore” con l’ex fidanzato Filippo Melodia, nipote del mafioso Vincenzo Rimi, che l’aveva rapita in casa il 26 dicembre 1965, dopo una serie di pesanti intimidazioni e minacce alla sua famiglia a seguito della rottura del fidanzamento. La diciassettenne di Alcamo fu segregata per otto giorni in un casolare di campagna, poi presso la sorella del Melodia la quale fu complice di un crimine all’epoca ritenuto consuetudinario, permesso da una complicità omertosa e ritenuto “sanato” dall’unione matrimoniale. Con il suo dirompente rifiuto, Franca Viola espresse un mòto del cuore  dall’enorme valore emancipatorio e sociale.

1° Master: MARIA DELL’ANNO, Se questo è amore la violenza maschile contro le donne nel contesto di una relazione intima, Tesi di laurea Specialistica, di Primo Livello in Criminologia e Psichiatria Forense, Università della Repubblica di San Marino, Dipartimento di Economia, Scienze e Diritto, 2015-2016.

Motivazione letta da  Fiorenza Taricone

L’ Autrice ha esaminato un fenomeno complesso come la violenza contro le donne in modo esaustivo, con una pluralità di fonti: statistiche, giuridiche, sociologiche, guardando all’Italia, ma anche all’Europa e all’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Chiarisce fin dall’inizio che definire emergenza un fenomeno reiterato come questo, è un errore linguistico, poiché si tratta di un fenomeno strutturale, e i media di ogni tipo farebbero bene ad evitare di usare un lessico che veicola una diversa causa della violenza fra i sessi. L’origine, come è chiarito nel primo capitolo, è insita nella cultura patriarcale, combattuta in Italian dal neo femminismo degli anni Settanta, fortemente asimmetrica fra i due sessi e portatrice inevitabile di discriminazioni e soprusi.

La tesi si dimostra attenta al lessico e parte dalle definizioni coniate da Diama Russel, femicidio, e da Marcela Lagarde, femminicidio, citando anche il ginocidio teorizzato da Mary Daly e Jane Caputi.

Per tutte, la violenza contro le donne ha radici profonde che vengono da molto lontano, arrivando a comprendere il sanguinoso eccidio contro la stregoneria femminile.

La dizione più esatta si rivela quella di intimate partner violence (IPV), usata nella letteratura anglo sassone, che «rappresenta più correttamente il concetto della violenza agita da un partner, o ex partner, intimo».

Nel trattare la violenza psicologica, l’Autrice ricorda l’origine del termine “Gaslighting” che compare nel manifesto di un film del 1944: un comportamento manipolatorio messo in atto da un abusante.

L’intero capitolo quinto è dedicato ai Centri antiviolenza in Italia, con la mappatura geografica e la descrizione della metodologia dell’accoglienza. I Centri sono frutto innovativo delle politiche femministe della seconda metà del Novecento, contandosi nella Casa internazionale delle donne la presenza, tra le altre associazioni di scopo similare, Differenza Donna, una delle prime ad aprire Centri in Italia e all’estero.

L’ultimo capitolo si chiude con un interrogativo d’attualità: «È possibile rieducare gli uomini maltrattanti?»

1° Tesi Triennale: Martina Sperotto, La casalinga nella letteratura del ‘900. Un’indagine sui cambiamenti della figura della casalinga nelle autrici del ‘900, Università “Sapienza” di Roma, Facoltà di lettere e filosofia, Relatrice: Maria Serena Sapegno

Motivazione letta da Beatrice Pisa  

La tesi parte da due sollecitazioni fondamentali provenienti da due autrici d’Oltreoceano. La prima è costituita dalla Mistica della femminilità, notissimo testo di Betty Friedan uscito all’inizio degli anni Sessanta, che si qualifica come antesignano della presa di coscienza  di tante donne nel dopoguerra  denunciando il “male oscuro”, la profonda insoddisfazione senza nome e senza cittadinanza di tante americane rinchiuse nella “gabbia dorata” di una casalinghità subìta. Altrettanto cruciale è il richiamo al testo di Margaret Mead Male and Female del 1949, meno noto al grande pubblico, ma significativo per la scelta di sottolineare il peso della cultura invece che delle predisposizioni innate nella definizione della personalità di uomini e donne, anticipazione  di quella gender theory che verrà ampiamente sviluppata negli anni ’60 in area anglosassone e che troverà notevoli opposizioni nel nostro paese, fino a tempi recentissimi.

Posti tali punti fermi, la tesi si sofferma sugli scritti di tre autrici italiane: Paola Masino, Alba De Cespedes, Clara Sereni, definendo un percorso culturale che va dall’ eroina senza nome rassegnata a fatiche mai riconosciute e considerate dalla società, quelle casalinghe, fino ad una sofferta e accidentata definizione di un privato non più segregato e frustrante, ma creativa «premessa per essere dentro il mondo». Un tentativo cioé di conciliare la vita funzionale con i piccoli gesti di agio, l’autonomia intellettuale con la cura dei sentimenti, la casa con l’impegno politico.

Questa tesi, elaborata con una evidente passione e una notevole capacità di analisi dei testi ricca  di contestualizzazioni, valorizza il ruolo della scrittura femminile, momento fondamentale di trasgressione e di riflessione identitaria, ed evidenzia la possibilità di costruire un quotidiano creativo, «un fare che diventa linguaggio», racconto di sé e del proprio posto nel mondo. Così, mentre  da una parte si contesta l’immagine di una identità femminile monolitica, concentrata sulle dimensioni familiari ed affettive, quindi fuori dal tempo e dalle realtà sociopolitiche, dall’altra si valorizza la realtà vissuta nel piccolo mondo domestico, tanto a lungo trascurato e annullato, che si propone invece come luogo di espressione possibile per tante donne, quanto di affermazione e trasmissione di culture personali e collettive.

Segnalazione: ELEONORA POLSINELLI, Storie nella storia: profili di donne aretine, Tesi di Laurea Triennale in Storia delle dottrine politiche, Università di Cassino e del Lazio Meridionale, a.a. 2015-‘16

Motivazione letta da Gabriella Anselmi

L’Autrice sintetizza le figure più significative aretine nel periodo che va dal ventennio fascista alla Repubblica. Soprattutto nel secondo capitolo, si dà modo di conoscere donne impegnate in politica, di orientamento e formazione differente l’una dall’altra, di cui poco o nulla è stato tramandato nella storia politica e manualistica.

I titoli dei singoli paragrafi rendono conto della loro diversità: Ida Cartocci: modello di vita cristiana; Dina Ermini, bambina operaia, donna nella storia; Modesta Rossi, donna e partigiana; Maria Luisa Berneri, una donna contro i totalitarismi.

Molto interessante appare quest’ultima, di cui nel 2018 ricorre il centenario della nascita. La madre era una maestra, il padre, una figura nota agli studiosi di anarchismo; entrambi svolgeranno un ruolo di rilievo «nella sinistra libertaria italiana» come scrive l’Autrice che ben contestualizza le sue personagge.

 

≈  SEZIONE SAGGI DI ARTI VISIVE 

 1° premio, MAURA POZZATI (a cura di), Artiste della critica, Corraini edizioni, Mantova, 2015

 Motivazione letta da Monica Grasso

La caleidoscopica raccolta di saggi, curata da Maura Pozzati, ha l’obbiettivo di sanare una frattura che da sempre affligge la cultura delle donne, la difficoltà cioè di tramandare modelli intellettuali femminili positivi, per rafforzare il passaggio di consegne tra generazioni.

Nel campo della critica, l’affermazione delle studiose è stata forse più lenta anche se la Biennale veneziana appena conclusa ha avuto una donna, la francese Christine Macel, come curatrice e numerose donne impegnate nell’allestimento dei padiglioni nazionali. Con un’operazione di cui si avverte l’impegno e il calore, Maura Pozzati ha «chiesto ad alcune amiche critiche e storiche dell’arte di disegnare i ritratti delle studiose del Novecento che ritenevano davvero importanti».

Il volume si apre con una vera pioniera, Palma Bucarelli, ritratta da Rachele Ferrario: la tenace Sovrintendente della Galleria Nazionale d’Arte Moderna seppe imporre in un’Italia ancora provinciale artisti come Picasso, Pollock e  Burri. Lorenza Trucchi, raccontata qui da Laura Cherubini, era invece arrivata alla critica d’arte dal giornalismo, ed era una militante libera ed entusiasta, che sarà anche docente all’Accademia di Belle Arti e nel 1995 presidente della Quadriennale. Poliedrica la figura di Mirella Bentivoglio, artista, critica, scrittrice, promotrice di eventi, affascinata dall’intreccio fra parola e immagine, tratteggiata da Arianna Di Genova.

Laura Lombardi ci ricorda che fu la critica Lara Vinca Masini, una delle prime a promuovere il dialogo tra arte antica e arte contemporanea, quando ancora non era di moda.

Antonella Sbrilli dedica il suo omaggio a Marisa Volpi, critica d’arte, scrittrice e docente universitaria, mentre  Carla Lonzi, che della Volpi fu collega ed amica, è tratteggiata da Martina Corgnati: figura di grande coerenza morale, Lonzi decise di rinunciare alla critica d’arte, quando la vide trasformarsi in una pratica di potere. Francesca Alfano Miglietti ci fa entrare nel clima del ’68, vissuto intensamente da Lea Vergine che promosse forme d’arte estrema, come la Body Art e con L’altra metà dell’avanguardia diede un apporto decisivo agli studi di genere.

Il femminismo torna nel ritratto che Maura Pozzati fa di Ida Gianelli, che con Carla Lonzi e Carla Accardi condivise la militanza nel gruppo Rivolta Femminile e che seppe sostenere artiste che, proprio perché donne, erano accolte freddamente dal mercato dell’arte. Elisabetta Longari racconta la figura complessa di Adalgisa Lugli, storica e critica d’arte innamorata dell’opera di Dürer e della pratica del collezionismo, mentre Cristina Casero parla di Jole De Sanna, studiosa appassionata di de Chirico e attenta indagatrice della scultura moderna. Fabiola Naldi ricorda Francesca Alinovi, che ha saputo più di altri attraversare i nuovi territori dell’arte di avanguardia.

Conclude significativamente Lucilla Meloni, con Gabriella Belli, l’inventrice del Mart di Trento e Rovereto, ricordandoci che il supremo atto critico è infine proprio l’allestimento di un museo.

2° premio: CHIARA PASETTI, Mademoiselle Camille Claudel e moi, Nino Aragno Ed., Torino, 2016

 Motivazione letta da Lucilla Ricasoli

Chiara Pasetti ricostruisce la vita della scultrice francese Camille Caludel, attiva tra gli ultimi anni dell’Ottocento e fino al 1913 quando, per volontà del fratello Claude, scrittore e diplomatico e della madre, viene rinchiusa nell’ospedale psichiatrico di Ville-Évrard dove morirà trenta anni dopo, nel 1943.

Solo in queste cifre è contenuta la complessità della personalità di Camille, che mai nel corso del suo ricovero volle riprendere a lavorare. L’artista, con tutta evidenza, considerava la scultura arte e mestiere cui dedicarsi con disciplina ed impegno e non certo un passatempo per mostrare blandi e rassicuranti segnali di rientro alla normalità.

Pasetti dedica la prima parte del saggio alla descrizione delicata, affettuosa, partecipata della vita e dei tratti salienti della biografia dell’artista, per poi esplicitarne il lavoro attraverso recensioni, articoli e saggi – in parte tradotti in italiano per la prima volta – stesi durante gli anni della sua attività artistica.

In chiusura, il testo drammaturgico Moi, ispirato a Camille, omaggio alla sua forte personalità.

Il pregio dell’opera sta nel tentativo di sottrarre la figura di Camille Claudel alla tirannia dei luoghi comuni che ne hanno pesantemente condizionato la lettura critica.

Il rapporto tormentato e drammatico con lo sculture Auguste Rodin, di cui fu allieva e amante, ha troppo spesso svolto un ruolo di attrazione fatale nel quale la sua produzione scultorea finisce immancabilmente per annegare, perdersi, diventare mero supporto documentativo. Se è infatti vero il rapporto professionale e personale che Camille ebbe con l’artista, è oramai tempo di disinteressarsi della questione e di concentrarsi sulla comprensione dell’opera scultorea in sé. Apprezzabile in questo senso è proprio il lavoro di traduzione della critica del tempo che riporta Mademoiselle Claudel alla sua vera natura di artista. Importante poi aver affrontato con delicatezza ed eppure ad occhi aperti la complessa problematica della malattia psichiatrica della Claudel mostrandola nella sua realtà e nel suo silenzioso, resiliente ed eppur dignitoso svolgersi fino al termine dei suoi giorni.

Segnalazione: MORENA FALASCONI, Schiava, Concubina e Madre. L’iconografia di Agar tra Pietro da Cortona e Tiepolo, Laurea Magistrale Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, a.a. 2016-2017

Motivazione letta da Lucilla Ricasoli

La tesi di Laurea di Morena Falasconi costituisce un contributo importante per gli studi iconografici di personaggi biblici e storici femminili.

La figura biblica di Agar è presente sia nella tradizione giudaico-cristiana sia in quella musulmana.

É la schiava di Sara, è la concubina di Abramo, è la madre di Ismaele e diventa la progenitrice delle dodici tribù arabe.

Il pregio della ricerca è – come la stessa Falasconi sottolinea – nell’aver messo in luce «la dignità che la figura di Agar acquisisce nel corso del tempo in ambito pittorico» e nell’averne seguito lo sviluppo iconografico evidenziandone i differenti accenti tematici.

Un testo intrigante anche per chi non è del settore, ricco di spunti e ben composto.  

Segnalazione: ALESSANDRA SCAPPINI, Il paesaggio totemico tra reale e immaginario, Misesis, Sesto San Giovanni (Mi), 2017

Motivazione letta da Lucilla Ricasoli

Uno studio che analizza il lavoro di cinque artiste che operarono nell’ambito dell’avanguardia surrealista: Leonora Carrington, Leonor Fini, Kay Sage, Dorothea Tanning e Remedios Varo, nel quale il valore comune di suggestioni creative tratte da paesaggi dell’immaginario, complessi e articolati, fatti di simbologie archetipiche, di metamorfosi alchemiche, di immagini totemiche, diventa il punto di vista privilegiato dall’autrice per ripercorrerne le vicende artistiche e biografiche. Un percorso nel quale lucidamente emerge la forza e l’energia di queste artiste anche per una definizione di un’arte portatrice di uno specifica valenza femminile.


≈  SEZIONE GRAPHIC DESIGN

 2° premio: MONICA MARELLI e ROSA OLIVA; illustrazioni di FRANCESCA LÙ,

Cara Irene, ti scrivo – Un messaggio alle donne e agli uomini di domani, Scienza Express, Trieste, 2016.

Motivazione scritta da Irene Iorno

Un libro da leggere alle più piccole e ai più piccoli, da regalare e da condividere con chi, come nonna Rosanna «è da sempre dalla parte delle bambine e di tutte le donne» e «ha scelto di raccontare alla sua nipotina Irene quanto siano importanti la parità e l’impegno collettivo».

Un testo di facile lettura ma di profondo contenuto e che sa trasmettere una parte sostanziale, al femminile, di storia del Novecento spesso data per scontata o mai raccontata.

Impostato sul dialogo tra generazioni, tra una nonna e una nipote, il testo  mette al centro la libertà, la parità, la condivisione, la partecipazione, l’impegno collettivo: siamo tutt* parte di uno stesso libro, di un solo racconto steso a più mani. Valori e insegnamenti trasmessi dalle generazioni femminili che parlando di saperi e di autodeterminazione regalando a chi legge la possibilità di scegliere ciascuna la sua storia, con quale fiaba addormentarsi e con quale fare addormentare i/le più piccol*.

Sulla quotidianità di una nonna che segue la sua nipotina e la di lei dolce gattina, Mizar, le Autrici impostano un discorso d’educazione civica, riportando anche l’intero articolo 3 della Costituzione:

Tutti i cittadini hanno pari digintà sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (incipit).

Posto a metà del libro, ne è il cuore e la ragione dell’impegno di vita di Monica Marelli e Rosa Oliva.

Semplice e immediata la comunicazione artistica di Francesca Lù, che arricchisce il testo.

Nel manifesto di presentazione della casa editrice – che ha dieci collane d’impegno divulgativo – si legge:

«In scienza e coscienza, siamo convinti che i libri debbano prima essere fatti bene, e dopo ben portati vicino ai possibili lettori. I temi scientifici, medici e tecnologici sono il cuore del nostro essere nel Ventunesimo secolo, condividere libri è la nostra scommessa sul futuro.»


 Segnalazione: SERENA BALLISTA; illustrazioni CHIARA CARRER, Una stanza tutta per me, Settenove edizioni, Cagli (PU), 2017

Motivazione scritta da Irene Iorno

Il libro, su progetto grafico di Tommaso Monaldi, trasmette all’infanzia l’idea e il senso di un spazio tutto per sé, una stanza, la propria, perchè ciascun* ne dovrebbe avere una per poter dare inizio ai propri racconti e dove poter giocare, immaginare e sognare.

Il titolo e il nome della piccola protagonista sono un richiamo trasparente al celebre saggio Una stanza tutta per sé (A Room of One’s Own), dell’autrice inglese Virginia Woolf, prima edizione il 24 ottobre 1929.

Su Virginia e su un piccolo ragno, s’incentra il tenero e breve racconto che propone lo scambio, l’osmosi tra la bambina e l’insetto:

«Una scrittrice ė come un ragno, tutti e due costruiscono una Trama (…) si somigliano più di quanto pensi, si divertono in compagnia come te ma costruiscono una stanza tutta per sé»

Un’opera che invita a riempire le ultime due pagine, lasciate in bianco, dei pensieri e fantasie di chi legge e a descrivere la propria stanza intesa come un luogo dove imparare a sentirsi liber* di poter scrivere la propria storia e realizzare i propri desideri.

Illustrazioni delicate e un sapiente uso dei colori, parlano della sensibilità artistica di Chiara Carrer.

≈  PREMIO REDAZIONE per opere di particolare valenza giornalistica e divulgativa ≈

Tesi di laurea di Valeria Scopelliti, Emma e le altre…il giornalismo “rosa” a Messina nella prima metà del ‘900, Università degli studi di Messina, dipartimento di civiltà antiche e moderne, Corso di laurea magistrale in metodi e linguaggi del giornalismo; Relatrice Prof.ra Michela D’Angelo

Motivazione letta da  Maria Paola Fiorensoli

Con grande piacere assegniamo, nel nostro trentesimo, questo premio a Valeria Scopelliti che, insieme alla sua Relatrice, ha fatto una scelta utile e coraggiosa, riportando le sfumature del “rosa” nella stampa messinese ove si evince, come d’altronde altrove e nel presente, un pervicace pregiudizio su cosa le donne debbano leggere/apprendere le donne e sul ruolo di secondo piano assegnata a quella stampa.

Il pregio della Tesi è la consegna di un mondo vivace e vivido, uno scorcio d’Italia con sconosciute genealogie di giornaliste. Sono raggiunti i tre obiettivi: documentare la presenza costante di rubriche dedicate alle donne; individuare le firme femminili che in modo occasionale o duraturo influenzarono il pubblico; evidenziare le tematiche ricorrenti (moda,  ricette, consigli, curiosità) e gli spazi dati.

La testata “Il Marchesino”, una delle maggiori, riservò, per esempio, «ampio spazio alle donne più come lettrici che come autrici», e ospitò il “debutto” di Emma Lisi «che può essere considerata la giornalista più longeva e prolifica del giornalismo messinese della prima metà del ‘900» (p. 8) e che vi scrisse 7 articoli, a fronte dei 600 pubblicati, tra il 1905 e il 1941, sul periodico cattolico “La Scintilla”.

Nel paragrafo dedicato a Femminismo pro e contro si legge:

«È in questi anni che il termine femminismo inizia a diffondersi con un misto di paura, timore, disprezzo ma anche ammirazione e orgoglio (…) Negli anni precedenti il terremoto di Messina, il femminismo è ancora considerato come una moda straniera, qualcosa di particolare, che s’inizia ad infiltrare nelle solide tradizioni della nostra città. Se nel 1908 su “La Scintilla” il femminismo è il tema di ben quattro articoli fortemente critici nei confronti della parità dei diritti, il termine andrà completamente a scomparire nel post terremoto, lasciando alla donna il ruolo di protagonista della casa e della famiglia e mostrando le istanze femministe solo come una forte minaccia all’integrità sociale. Non bisogna pensare che fossero solo gli uomini ad essere contrari al femminismo; anche molte donne si schierano contro le nuove tendenze appellandosi alle direttive della Chiesa e al comportamento pericoloso delle  femministe che abbandonano case, famiglie e il loro ruolo sociale.» (punto 4, p. 79) Di contro, s’invitano le fanciulle alla devozione, alla beneficienza, al lavoro nella casa e per la famiglia.

Preziose, per mole di lavoro e rigore, le 12 pagine di tabelle, in Appendice con riporto di titoli, date, testate.

Invitiamo alla pubblicazione di un lavoro che supera il già importante traguardo universitario per ricostruire un’epoca, genealogie giornalistiche femminili, fare del microcosmo messinese lo specchio della società in cui con difficoltà s’affermava l’emancipazionismo e la libertà femminile.