La Triennale di Milano  e  Fondazione Furla  presentano  Haegue YangTightrope  Walking and Its Wordless Shadow  ,  una mostra a cura di  Bruna Roccasalva  E’ la  prima mostra personale di Haegue Yang in un’istituzione italiana.  Tightrope Walking  and Its Wordless Shadow  raccoglie  la vasta gamma di mezzi espressivi che  contraddistinguono la sua pratica: dal collage al video, dalle  sculture performative alle  grandi installazioni. L’estrema varietà dei riferimenti e delle visioni prodotte, che  si  muovono  su una  sottile linea  tra  l’indagine sociale  e la  storia,  tra  il  vissuto personale  e  la  memoria collettiva, genera percorsi immaginifici di grande potenza evocativa in cui  oggetti, persone e luoghi sono inestricabilmente interconnessi.

Tightrope Walking and Its Wordless Shadow  si articola in tre ambienti che attraverso  la combinazione di lavori iconici e nuove ambiziose produzioni  –  che rappresentano  nodi cruciali nella produzione dell’artista dal 2000 a oggi  –  restituisce gli elementi  ricorrenti nel  suo  lavoro: l’interesse per  l’astrazione e la geometria; il movimento e la  performatività; la relazione tra “piegare” e “dispiegare”,  che l’artista esplora come  pratiche interconnesse. Al centro c’è la sua ricerca dell’“inesprimibile”: l’urgenza di  creare un linguaggio  la cui potenzialità è come  la camminata di un funambolo  , in cui  ogni  movimento è molto più che dinamico, è carico di una tensione che evoca  emozioni e percezioni.

Aprono il percorso due lavori  esposti  raramente in passato ma considerati  seminali: Il primo è una barriera quasi invisibile costituita da fili di cotone rosso  –  tesi tra due  pareti a intervalli di 10 cm e con l’impercettibile inclinazione di un grado  –  che isola un  angolo della sala precludendone l’accesso. Il tracciato sembra proseguire  sul  muro – il secondo è una sequenza di linee rette disegnate a gesso rosso che si  confondono con i fili,  creando un effetto ottico di sottile movimento.  Prendono di volta in volta il titolo  dalla misura dello  spazio occupato, sono  tra le prime opere di natura installativa  realizzate da  Yang e contengono in nuce aspetti centrali di tutta la sua produzione  successiva: dall’interesse per la geometria all’  impiego di materiali d’uso comune, fino  all’attitudine ad articolare una spazialità ambivalente,  concettuale e percettiva,  accessibile e inaccessibile allo stesso tempo.  All’interno della porzione di spazio delimitata da queste due installazioni, si intravvede  un altro  dei primi lavori dell’artista  ,  Science of  Communication #1  che testimonia  il  suo  continuo e faticoso  confronto  con le problematiche del linguaggio  all’interno dei  processi di integrazione  culturale e sociale. Il testo  inizialmente scritto da Yang  come flusso di riflessioni  personali  in una  commistione  indecifrabile  di lingue  è stato successivamente  editato,  tradotto in inglese  e  restituito  in  forma comprensibile  da un traduttore  professionista.

Una immagine di Haegue Yong  con un suo lavoro al Museo di Cologne

L’artista muove dalla propria vicenda biografica  –  si  è trasferita nel 1999 in Germania  dalla nativa Corea per completare gli studi universitari  a Francoforte  –  e dalla difficoltà  incontrata  quotidianamente  nel tradurre il proprio pensiero in una lingua straniera.  La  necessità della mediazione altrui per  realizzare quest’opera esprime  l’insicurezza  e  la  vulnerabilità dell’artista,  ampliando allo stesso tempo la  riflessione  al  la più generale  difficoltà, se non impossibilità, di comunicare se stessi attraverso il linguaggio.  Questo sentimento di incomunicabilità echeggia anche in  Mirror Series  –  Back  (2006),  uno specchio ovale appeso con la superficie riflettente rivolta verso la parete, come a  dare le spalle  allo spettatore e  al mondo,  con  un gesto di  negazione cosciente e di  rifiuto attivo di un  ruolo  prestabilito  e convenzionale  .  L’opera fa parte di un gruppo di  sei lavori  (Mirror Series,  2006  –  2007)  in cui l’artista indaga diversi modi attraverso cui  uno  specchio  può venire meno alla  funzione di riflettere l’immagine di fronte a sé.  Mirror Series  esemplifica anche il peculiare approccio alla figurazione di Yang, che  nei suoi lavori allude alla figura umana senza mai rappresentarla direttamente o, come  in questo caso, evocandone l’assenza.

Dalle “barriere permeabili e trasparenti” di  134.9  m  ³  si passa a  Cittadella  (2011), una  monumentale installazione composta da 176 tende veneziane che occupa lo  spazio  centrale della mostra:  un ambiente multisensoriale fatto di complesse strutture  modulari, attraversate dai visitatori che si muovono al suo interno  e da una coreografia  ipnotica di luci,  mentre diversi profumi  si diffondono nello spazio  alludendo  a un  “altrove”.  Il titolo  Cittadella  rimanda a una fortificazione impenetrabile ma  l’esclusività di questa architettura è  parzialmente illusoria.  Le pareti di tende  attraversate dai fasci di luce si rivelano permeabili allo sguardo, e i passaggi che si  aprono nella geometria esterna della struttura invitano lo spettatore ad addentrarsi e  attraversarla.

Da questo suggestivo e immersivo percorso si  passa a un altro ambiente, una sorta di  sala da ballo sulle cui pareti si dispiega un intervento simile a un murales appartenente  alla serie  in continua evoluzione dei  Trustworthies  (  iniziata nel 2010  ). In questo  importante ciclo di opere Yang combina diversi materiali grafici:  buste con pattern  stampati, la sua personalissima rielaborazione della carta millimetrata (  Grid Bloc  s  ,  iniziata nel  2000  ),  vinili riflettenti, immagini di dispositivi tecnici e motivi  naturalistici.  La serie nasce con la casuale scoperta da parte dell’artista  dell’affascinante varietà dei pattern della carta di sicurezza, la stampa usata per  l’interno delle buste di documenti con la funzione di proteggere la natura confidenziale  del loro contenuto. Mettendo in luce le possibilità estetiche di questi pattern, Yang li  usa per creare dei collage: inizialmente paesaggi astratti composti da semplici linee  orizzontali, che nel tempo assumono composizioni sempre più complesse  –  onde,  rifrazioni, mulini a vento, composizioni a x, intrecci, caleidoscopi  –  e incorporano  materiali eterogenei come carta da origami, carta vetrata, carta olografica, carta  millimetrata, fino a uscire dai confini delle corni  ci per occupare l’intera parete.

Negli  interventi più recenti, come quello in mostra, i  Trustwor  thies  sono diventati  per  l’artista uno strumento per  creare  complesse ambientazioni  che ospitano lavori  scultorei.  Le figurazioni immaginifiche che si dispiegano l  ungo le pareti della sala fanno  da  cornice  alla “danza” di  due sculture performative della serie  Dress Vehicles  (inziata nel  2011) prodotte per l’occasione.  Ispirati a forme e concezioni diverse di danza, come le  Danze Sacre  dello spiritualista  russo Georges I.

«Le Ballet triadique. Deux figurines, Séquence jaune II», 1919, d’Oskar Schlemmer. Photo Archive C. Raman Schlemmer

Gurdjieff e i costumi geometrici dei  Triadic Ballet  (1922) di Oskar  Schlemmer, i  Sonic Dress Vehicles  presentati  in mostra,  sono pensati dall’artista per  “vestire” il pubblico e, come “maschere”, dare a chi le indossa una diversa identità  ,  rivelando  allusioni  a  i travestimenti delle drag queen, al  le danze tradizionali con le  maschere  e al teatro delle marionette.  Per Yang la danza è  qualcosa di più di un genere, è  una forma complessa di  espressione, in cui  impulsi fisici,  socio-politici, spirituali e ritualistici convergono.  I  suoi  Dress Vehicles  non consentono  molta libertà di movimento:  secondo l’artista  infatti  è  nel  semplice esercizio  di spingere queste gigantesche strutture  che si può  sentire il “peso” della danza,  avere la sensazione di essere “sovrastati”  da  questi  splendidi costumi o, al contrario,  “  emancipati  ”  dalla possibilità di muoverli  nello  spazio.  Corpi ibridi in cui architettura, scultura e performance si fondono,  i  Sonic  Dress Vehicles  sono anche una sintesi perfetta della sfaccettata natura del lavoro di  Yang che la mostra racconta.  Dall’approccio minimalista che contraddistingue la prima sala all’esuberanza fastosa  dell’ultimo ambiente, il percorso espositivo riflette gli estremi tra cui si muove la  sperimentazione continua di Haegue Yang, in cui l’incontro casuale con un oggetto o  un materiale può generare forme, emozioni e narrazioni  inaspettate e  dove la negazione  di conoscenze acquisite coincide sempre con l’apertura di nuove prospettive.

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Durante l’inaugurazione si svolgerà  nelle sale della mostra  il  concerto  Encountering  Isang Yun  ,  dedicato all’opera del compositore coreano Isang Yun (1917  –  1995),  in cui  sarà presentata  una selezione delle sue composizioni per oboe e violoncello:  Ost  –  West  –  Miniatur I  (1994);  Piri  (1971);  Glis  sées  (1970);  Ost  –  West  –  Miniatur II  (1994).  Yun è  conosciuto  in tutto il mondo non solo per l’innovativo percorso musicale ma  anche per l  e  tormentat  e vicende politiche che hanno segnato la sua vita  durante il  periodo della Guerra Fredda  .  Cresciuto durante  l’occupazione giapponese della penisola coreana (1919  –  45),  Yun  aveva imparato a suonare il violoncello e aveva studiato musica in Corea e in  Giappone  , partecipando  attivamente al movimento  anti  –  giapponese. Dopo la guerra  coreana (1950  –  53), Yun  cominciò a comporre, e nel 1956 partì per l’Europa per  studiare dodecafonia. Le sue composizioni, eseguite con strumenti occidentali ma  ispirate a tecniche tradizionali coreane e ad antiche storie popolari, cominciarono a  essere apprezzate a livello inter  nazionale.  Nel  1967, Yun fu rapito e portato a Seoul dove venne accusato di spionaggio, nel  cosiddetto “Incidente di Berlino Est”. Yun e centinaia di altri intellettuali e artisti  coreani furono imprigionati e torturati. Venne liberato solo nel 1969, grazi  e alle  pressioni internazionali di musicisti e intellettuali, ma non venne mai riabilitato dal  punto di vista politico. Poco dopo, fu naturalizzato come cittadino tedesco  e  non tornò  mai più in patria  .  Morì  di polmonite a Berlino nel 1995.  Yun simboleggia  la divisione ideologica della penisola Coreana che sopravvive ancora  oggi, e la sua polarizzazione tra destra e sinistra:  Yun è il massimo artista nazionale,  una figura tragica e celebre  , ma  al contempo  è marchiato  dall’estrema destra  come  grande  traditore  di sinistra. Elogiato e costretto al silenzio da entrambi i lati della  Corea, gli eventi che hanno turbato la sua vita hanno pesantemente messo in ombra e  isolato  la sua eredità  musicale.

In occasione della mostra sarà pubblicata l’antologia  Hae  gue Yang:  Tightrope Walking  and Its Wordless Shadow,  curata da Bruna Roccasalva ed edita  da Skira editore.  Il volume, in edizione bilingue (  inglese  /italiano  ), raccoglie una selezione delle  interviste e dei saggi più significativi sul lavoro dell’artista da  l 2006 al 2018 ed è  corredato da un ricco apparato iconografico con opere storiche e documentazione dei  lavori in mostra.

Isang Yun

Haegue Yang  (1971, Seoul, Corea del Sud. Vive e lavora tra Berlino e Seoul) è una  delle artiste più riconosciute della sua genera  zione. Dopo gli studi nella nativa Corea  (Seoul National University, 1994), Haegue Yang si trasferisce in Germania e consegue  un  master alla Städelschule di Francoforte (1999), dove attualmente  insegna,  mentre prosegue la sua attività espositiva internazionale.  Ha esposto con mostre  personali presso importanti musei tra cui: Walker Art Center, Minneapolis (2009);  Aspen Art Museum, Aspen (2011); Haus der Kunst, Monaco di Baviera (2012);      www.triennale.org  www.fondazionefurla.org  Bergen Ku  nsthall (2013);  Leeum  , Samsung Museum of Art, Seoul (2015);  Ullens  Center for Contemporary Art, Beijing (2015);  Centre Pompidou, Parigi (2016);  Museum Ludwig  di Colonia (2018) con la  mostra retrospettiva  ETA 1994  –  2018.  Ha partecipato a importanti manifestazioni internazionali  tra cui:  Biennale di Gwangju  (2010); dOCUMENTA 13, Kassel (2012); Biennale di Taipei (2014)  ;  Sharjah Biennale  12 (2015); Biennale di Sydney (2018) e Biennale di Liverpool (in corso fino al 28  ottobr  e 2018)  .  Nel 2009 ha rappresentato la Corea alla 53.a Biennale di Venezia. Yang  è la vincitrice dell’ultima edizione del prestigioso Wolfgang Hahn Prize  .

Haegue Yang:  Tightrope Walking and Its Wordless Shadow  a cura di Bruna Roccasalva  7  settembre  –  4 novembre 2018  Triennale di Milano  conferenza stampa e press preview: giovedì 6 settembre  ,  ore 11.30  inaugurazione  : giovedì 6 settembre  2018  ,  ore 19.00  In occasione dell’inaugurazione, alle ore 19.30  Encountering Isang Yun  concerto  con musiche di Isang Yun  con  Fabio Bagnoli (oboe) e  Francesco Dillon (violoncello)  Triennale di Milano  Viale Alemagna 6  20121 Milano  T. +39 02 724341  www.triennale.org  Fondazione Furla