Roberta Cosentino, Silvia Demita e Alida D’Ambra sono le autrici del breve saggio che pubblichiamo tratto da un loro lavoro più ampio intitolato “Memoria” dedicato al femminicidio.

Roberta Cosentino è una psicologa, e psicoterapeuta in formazione, siciliana. Silvia Demita, psicologa e musicista, pugliese di nascita, vive a Milano. Alida D’Ambra, designer e illustratrice eoliana, di Lipari, vive e lavora negli Stati Uniti.

Le ringraziamo per il loro contributo che, con lo scopo di sensibilizzare sul tema, affronta in particolare la storia e il significato del termine femminicidio.

Le illustrazioni sono di Alida D’Ambra.


FEMMINICIDIO: UN FENOMENO, MOLTEPLICI DEFINIZIONI

Sfogliando un giornale, scorrendo la home dei nostri social, ascoltando il Tg durante i pasti o facendo zapping tra i programmi serali, il termine “femminicidio” compare sempre più spesso tra quelli utilizzati dai giornalisti ma non solo… quante volte, infatti, soprattutto negli ultimi tempi, capita di parlarne anche in famiglia, tra amici, magari davanti ad un bicchiere di vino ed una ciotola di patatine? Eh si, perché purtroppo, e in parte anche per fortuna, di questo fenomeno si parla sempre più spesso, entra a far parte quasi della nostra quotidianità e per questo è importante che l’informazione e la sensibilizzazione sul tema siano precise, puntuali e, soprattutto, esatte.
È importante che ne venga fatta una narrazione corretta, a partire dal significato stesso del termine, che possa non solo consapevolizzare a riguardo, ma anche responsabilizzare.

Per questo abbiamo deciso di porre l’attenzione sulla definizione di femminicidio, un fenomeno tanto ampio e complesso, del quale, spesso, si sottovaluta l’importanza di chiarirne il senso.

Le origini del termine “femminicidio”
Ad oggi, la Convenzione di Istanbul (1) (2011), definisce femminicidio “l’omicidio di una donna in quanto donna”.

Ma quali sono le origini di questo termine? Ripercorrendo la storia, il primo utilizzo della parola “femicide” risale al 1800, in  Inghilterra, con lo scopo di indicare  l’uccisione di una donna ed era così contemplata anche nel Law Lexicon (2) nel 1848.

Nel tempo il significato del termine si è ampliato.

Il termine femminicidio per come è concepito oggi, venne coniato nel 1976 da Diana H. Russell, sociologa e attivista, la quale parlò per la prima volta dell’atto di uccidere una donna basato sul genere.  La sua definizione di femminicidio estende il concetto “al di là della definizione giuridica di assassinio” e sottolinea come l’atto non sia altro che “l’esito e la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine” (3).

Illustrazione di Alida D’Ambra

E se decidessimo di rifarci alla definizione presente sul vocabolario? Prendendo in esame il vocabolario Treccani, il termine “femminicidio” (registrato come Neologismo nel 2012) viene così definito: “femmicidio (o femicidio) s. m.: Omicidio di donne da parte di uomini, in particolare come conseguenza di mentalità e comportamenti di stampo sessista” (vocabolario Treccani).

Una prospettiva forse riduttiva, che sembra definire il fenomeno sulla base del genere della vittima e dell’autore dell’omicidio, con solo un accenno ai “comportamenti di stampo sessista”.

Inoltre, i termini “femminicidio” e “femicidio” vengono considerati come sinonimi. Tali termini, oggi equivalenti nella lingua italiana, giungono a noi come adattamenti di lingue diverse e portano con sé storie, definizioni ed evoluzioni di significato differenti: il termine femicidio ha origine dall’inglese “femicide” sopra discusso, mentre il termine femminicidio si presenta come adattamento del termine spagnolo “feminicidio”, nel quale vengono evidenziati gli aspetti sociologici della violenza e le conseguenti implicazioni politiche e sociali del fenomeno.

Nel 1997, l’antropologa e sociologa Marcela Lagarde riprende il concetto di femminicidio, sottolineandone la rilevanza politica (il ruolo dello Stato) e sociale. Lagarde pone l’attenzione sulla questione di Ciudad Juàrez, città del Messico, dove, dal 1993, vennero alla luce centinaia di casi di donne e di ragazze, prima sfruttate in modo disumano negli stabilimenti industriali e poi uccise. È a partire da queste teorizzazioni che vengono compiuti i primi studi in ambito di femminicidio e violenza. La definizione data da Marcela Lagarde ben spiega la portata del fenomeno in termini di violazione dei diritti umani. Tale definizione racconta il femminicidio a partire dal microsistema individuale e relazionale, fino ad un macrosistema in cui è lo Stato ad avere la responsabilità nella perpetuazione di ruoli di genere e delle condizioni di subordinazione della donna. Una visione più ampia è importante, ad esempio, per pensare ad un programma di intervento, che, sulla base di tali assunti, dovrebbe avvenire su più livelli.

“Forma estrema della violenza di genere contro le donne, prodotta dalla violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato attraverso varie condotte misogine, quali i maltrattamenti, la violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria, istituzionale, che comportano l’impunità delle condotte poste in essere, tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una condizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle istituzioni e all’esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia” (Marcela Lagarde, 1997).

Per chiarire i dubbi linguistici, riguardo alla scarna definizione da vocabolario del termine femminicidio, in Italia interviene l’Accademia della Crusca (Paoli, 2013) che integra la definizione includendo al suo interno anche “qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”.

Perché, allora, non è corretto parlare di omicidio?

Il femminicidio va distinto dall’omicidio perchè rappresenta qualcosa di ben più radicato: un reato in cui entrano in gioco diversi fattori culturali, ruoli di genere e ruoli di genitorialità prestabiliti e anacronistici, l’esercizio di potere dell’uomo sulla donna, la relazione di dipendenza (emotiva, sociale, economica) della donna verso l’uomo. Si tratta di un crimine che affonda le sue radici in aspetti culturali ed ideologici e che, per tali motivazioni, ha bisogno di trovare una sua definizione, che ponga il focus sui fattori intrinseci del gesto.

In società in cui le donne sono considerate subordinate agli uomini, la violenza significa mantenimento di potere e controllo. Le ineguaglianze basate sul genere possono generare e rafforzare stereotipi all’interno di una cultura che legittima la violenza di genere (Willie & Kershaw, 2019).

Il femminicidio, quindi, va letto come la forma più estrema di violenza perpetrata contro una donna e comprende in sé anche tutte le altre tipologie di violenza di genere, fisiche e psicologiche.

Illustrazione di Alida D’Ambra

L’importanza di una definizione
Implicazione fondamentale e importantissima nella definizione di un fenomeno riguarda il piano legislativo: la legislazione italiana non contempla una definizione univoca di femminicidio.
Il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, approvato nel 2015, prevedeva la costituzione di un sistema di raccolta ed elaborazione dati, supportato da un Osservatorio nazionale per il femminicidio. Tuttavia, tale Piano non è  ancora stato realizzato.

Nel 2017, poi, viene istituita una Commissione Parlamentare di inchiesta sul femminicidio che si propone di studiare i meccanismi che legittimano e alimentano la violenza sulle donne e di elaborare strategie e politiche per contrastarla.

L’importanza di avere una corretta ed univoca definizione, risiede nella possibilità di stabilire i criteri che caratterizzano il fenomeno e gli strumenti adeguati per studiarlo, elementi fondamentali per l’elaborazione di programmi di intervento e prevenzione efficaci.

Dal punto di vista statistico, avere una definizione chiara e condivisa di un fenomeno permette di effettuare una raccolta dati sistematica mirata a definirne la grandezza e la diffusione. I dati italiani, infatti, vengono oggi  raccolti da più enti di ricerca come, ad esempio, l’ISTAT (4) o l’EURES (5), di conseguenza la classificazione dei casi è arbitraria e dipende dall’ente che se ne occupa.

In generale, per classificare un omicidio in quanto femminicidio, vanno considerate non soltanto le caratteristiche della vittima e dell’autore del reato, ma anche la relazione esistente tra le due parti, la precedente storia di violenza, la storia dell’autore, eventuali procedimenti legali o sanzioni. A questo si aggiungono le motivazioni e le modalità in cui l’omicidio è avvenuto. Le variabili da considerare sono molteplici e spesso difficili da identificare a livello statistico, soprattutto in assenza di normative specifiche (ISTAT, 2019).

Sempre sul piano statistico, il femminicidio è stato così definito dallo European Institute for Gender Equality (EIGE, 2017): “the killing of a woman by an intimate partner and the death of a woman as a result of a practice that is harmful to women”. In questa definizione diventano evidenti alcuni elementi importanti come la diseguaglianza e la motivazione di genere dell’omicidio (ISTAT, 2019).

Sul piano internazionale, come accade negli USA, ci si sta muovendo verso l’identificazione delle variabili che possano permettere di identificare i casi di femminicidio. Un esempio è dato dall’ente UNWOMEN (6) che nel 2020, insieme al “Center of Excellence for Gender Statistics” (CEGS) il quale mira a rafforzare le statistiche di genere, si sono posti l’obiettivo di misurare le diverse forme di violenza contro donne e ragazze (con particolare attenzione al femminicidio) e in generale i crimini contro le donne nel quadro dell’Internazionale, per giungere ad una classificazione del reato in termini statistici.

In conclusione, chiarire quali sono le definizioni e quali le conseguenti implicazioni del termine femminicidio, ci aiuta a comprendere la complessità che il fenomeno porta con sé. Il fatto stesso di definirlo “fenomeno” e non solo un reato, implica e rende evidente la necessità di inserirlo in un contesto culturale e relazionale, poiché considerarlo un atto a sé, slegato da tali importanti fattori, sarebbe fin troppo superficiale e deresponsabilizzante.
È necessario, invece, capire e accettare che il femminicidio è frutto di un contesto culturale, quello in cui viviamo, che tutti conosciamo e che ci appartiene.

NOTE

  1. La “Convenzione di Istanbul” (Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica), adottata dal Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011. L’Italia l’ha ratificata nel 2013, con la legge 27 giugno 2013, n. 77. Il sito del Senato della Repubblica (Legislatura 17ª – Dossier n. 29) spiega come la Convenzione sia il “primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione interviene specificamente anche nell’ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti, ad esempio bambini ed anziani, ai quali altrettanto si applicano le medesime norme di tutela”.
  2. Si tratta di un dizionario della giurisprudenza, fornisce informazioni riguardo ai termini giuridici.
  3. La sua antologia “Femicide: The Politics of Woman Killing” è del 1992. Inoltre, la stessa Russell ha sostituito il termine “donne”, inizialmente utilizzato nella definizione, con il termine “femmine” ad indicare l’omicidio di donne di tutte le età, dalle bambine alle anziane.
  4. ISTAT, Istituto nazionale di statistica: https://www.istat.it
  5. EURES, Il portale europeo della mobilità professionale: https://ec.europa.eu/eures/public/it/homepage
  6. UNWOMEN, Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne: https://www.unwomen.org/en

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Consiglio d’Europa (2011). Relazione esplicativa della convenzione del consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Serie dei Trattati del Consiglio d’Europa, n 210. Istanbul. Disponibile al link: https://www.coe.int/it/web/conventions/full-list/-/conventions/treaty/210 

di Istanbul, C. (2011). Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.

EIGE. (2017). Glossary of definitions of rape, femicide and intimate partner violence. Disponibile a: https://eige.europa.eu/publications/glossary-definitions-rape-femicide-and-intimate-partner-violence 

EIGE. (2017). Terminology and indicators for data collection: Rape, femicide and intimate partner violence. Disponibile a: https://eige.europa.eu/publications/terminology-and-indicat ors-data-collection-rape-femicide-and-intimate-partner-violence-report 

EURES. (2020). Sintesi VII Rapporto EURES sul Femminicidio in Italia. Disponibile a: https://www.eures.it/sintesi-vii-rapporto-eures-sul-femminicidio-in-italia/

ISTAT. (2019). Autori e vittime di omicidio in Italia nel 2018 – 2019. Disponibile a: https://www.istat.it/it/files//2021/02/Report-Vittime-omicidio_2019.pdf

Paoli, M. (2013). Femminicidio: i perché di una parola. Disponibile al link: https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/femminicidio-i-perché-di-una-parola/803

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni (2017). La Convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne – L’attuazione nell’ordinamento interno. Documentazione e ricerche, N. 50. Disponibile al link: https://documenti.camera.it/Leg17/Dossier/Testi/AC0173.htm

UN WOMEN (2018). Annual report: implementation phase. Disponibile a: https://data.unwomen.org/sites/default/files/inline-files/CEGS-2-pager.pdf

UN WOMEN (n.d.). UN WOMEN.https://data.unwomen.org 

Willie, T. C., & Kershaw, T. S. (2019). An ecological analysis of gender inequality and intimate partner violence in the United States. Preventive medicine, 118, 257-263.


NOTE SULLE AUTRICI:

Roberta Cosentino
Psicologa, e psicoterapeuta in formazione. Ha collaborato con il Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova, dedicandosi alla ricerca psico-sociale e approfondendo le tematiche legate alla grave marginalità e all’esclusione sociale, al volontariato formale/informale e alla promozione e sensibilizzazione nelle scuole. Ritornata in Sicilia, terra d’origine, anche qui  si dedica al lavoro nel sociale, nell’ambito della marginalità adulta.

Silvia Demita

Metà psicologa e metà musicista. Ha lavorato come borsista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione (DPSS) dell’Università degli Studi di Padova. Si è dedicata principalmente a temi riguardanti la marginalità estrema e il volontariato, in progetti rivolti alla costruzione di lavori di rete tra servizi e di inclusione sociale. Pugliese di nascita, ad oggi è insediata a Milano, per continuare la sua formazione in ambito musicale.

Alida D’Ambra
Designer e illustratrice eoliana, lavora tra la grafica, l’arte e il design. “Yours Sincerely, Dada” è il  suo personaggio autobiografico che indaga e affronta tematiche femminili con ironia e disinvoltura. Ad oggi vive e lavora negli Stati Uniti ma non hai mai interrotto le collaborazioni con l’Italia e la sua isola, Lipari.