biblioteca dei ragazzi Bari

Poteva essere una presentazione come tante, molto bella, ben preparata e ben riuscita come moltissime di quelle che accadono con i nostri libri. Né scontati, né banali.
Ma ieri per chi c’è stato, noi compresi, è accaduto altro.
Abbiamo presentato Portare la vita in salvo di Vito Calabrese nel giorno dell’anniversario dell’uccisione di Paola Labriola. C’era la voce di Nunzia Antonino che ci ha lasciati lentamente scivolare tra le parole del libro accompagnata e sostenuta dal sax di Roberto Ottaviano e dalla chitarra di Nando Di Modugno.
C’era Vito tra Michela Labriola e Chiara Scardicchio. C’era moltissima gente nella cornice della Biblioteca dei bambini e delle bambine che sta nel Parco di una città caotica, la stessa dell’omicidio, come Bari.
Non è stata solo una presentazione. Permetteteci di usare la parola ‘celebrazione’. Della vita, del coraggio, della forza di trovare un senso all’assurdo, della capacità di non lasciarsi atterrire dal dolore, di fare di un ‘incubo riuscito, di un dolore perfetto, di una danza macabra’, l’esperienza più alta di inseminazione della vita e della speranza ancora possibile con se stesso e con gli altri.
Non c’è nulla di religioso nel libro di Vito. Non ci sono Dio o la fede. Ma tutto quello che c’è attiene molto al sacro che è in ognuno e alla fiducia nell’umano che è il modo più alto per celebrare la fede in Dio.
Per questo cominciamo questa settimana dicendovi di ieri, proponendovi di sfogliare alcune pagine di Portare la vita in salvo e facendovi dono di un passaggio di quanto Chiara Scardicchio ha detto, lasciandone traccia anche scritta, ieri sera:
’Però mentre mi smagliavo e mi scorticavo leggendo, sentivo e pensavo che se uno incontra l’inferno e poi lo prende e lo chiama per nome e lo usa per averci una colluttazione che all’improvviso diventa un tango, e sta occhi negli occhi della morte, che fa? Le toglie quello che lei ha di più caro: le toglie sterilità. E la feconda! Allora c’è che se Dio non è in questa storia- in questo uomo- in quella donna- in quel fottuto omicidio- in questa irrazionale vita che reclama non solo “perché” ma soprattutto coraggio… Allora io non so dove altro sia. Se non nelle creature che ne replicano la resurrezione.
E senza preavviso io in questo libro io ho pregato.  No, nessuna litania,  nessuna formula,  niente,  lo giuro,  vicino ad una preghiera fatta bene, con le parole giuste.
Ho pregato perché tra quelle righe c’era tutto il senso del mio stesso destino: vivere,  spaccarsi,  disperatamente cercare di scoprire di resistere,  non morire,  imparare a morire, stare in salvo,  sì,  salvarmi.
Allora forse si chiama Dio ed al contempo – nel medesimo istante – ha il nome di un uomo.
Uno che è ateo eppure ti prende e ti getta nel mistero che siamo. E sa parlare di amore e morte, insieme.
Che non è una bestemmia. É un miracolo. Assurdo. Logico’.

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portare-la-vita-in-salvo“Non è un libro su Paola. Quel libro deve essere ancora scritto. Parlare di situazioni traumatiche è difficile perché emotivamente doloroso: si fa di tutto per distogliere lo sguardo. Il trauma abita un non luogo, creargli uno spazio dove fare l’esperienza dell’incontro con l’atrocità, è un’operazione indispensabile, per mettere un confine fra i vivi e i morti. Nel mio lavoro psicoterapeutico mi ero avvicinato a vicende umane dove il dolore che affliggeva gli altri era qualcosa che poteva accadere anche a me. Ma quando ti accade qualcosa di assurdo si guarda la vita con meno illusioni e con più gratitudine. Ho scoperto che il tempo del lutto non è fatto solo di vuoto, di mancanza, di desolazione, di nostalgia del futuro, ma anche di tutto quello che l’amore vissuto può continuare a generare nel presente attraverso il rapporto con gli altri, con la bellezza di altri racconti. La mia visione delle cose è cambiata, non posso più prescindere da quello che è accaduto. Qualcuno diceva che Paola non voleva passare su questa vita come un vestito vuoto. Questo libro è un pezzo del suo vestito.”