
Manuela Zadro ha scritto che bisognerebbe avere uno sguardo innocente e leggero, o al contrario un fornitissimo bagaglio teorico, per riuscire a destrutturare pezzo su pezzo quella cultura patriarcale che generazioni di femministe hanno tentato di cambiare. Oppure averli tutti e due, come ha avuto Anna Loretoni, docente di Filosofia politica presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, nel suo ultimo libro “Ampliare lo sguardo. Genere e teoria politica”, Donzelli editore. Loretoni, partendo dal patrimonio di studi che hanno portato alla nascita del concetto di genere, offre una nuova visione della realtà sociale che, grazie appunto al suo “ampliare lo sguardo”, assume una dimensione di innocenza e giustizia, se paragonata alla attuale e discriminante cultura patriarcale. Poi Zadro si chiede: cosa significa ampliare lo sguardo? Loretoni ci mostra come gli studi di genere possono cambiare la prospettiva. È come osservare il mondo attraverso un prisma che destruttura le vecchie categorie del maschile e femminile e poi ricompone in diverse sfaccettature le persone, le società, le teorie. E grazie a questa nuova prospettiva esse non appaiono più come prima, anzi assumono pesi e significati diversi, mostrano tracce nascoste, rapporti di forza inediti, differenze. È un “ampliare lo sguardo” che, una volta adottato, non resta confinato al binomio “maschile e femminile” ma si estende a tutto: agli individui, alla cittadinanza, alla giustizia, alla disabilità, alla politica, e poi esce dai confini delle nazionalità per abbracciare la globalità del mondo. In una parola, rilegge tutta la modernità. Il genere applicato alla politica, ad esempio, porta a valutare il concetto di cittadinanza delle donne che, incapsulate in una dimensione familista del privato così poco pubblicamente riconosciuta, sono state penalizzate nel loro ruolo pubblico di cittadine. Ancora, il genere considera le fragilità e gli stati di bisogno come insiti nel concetto di individualismo, e che quindi appartengono a tutti, non solo alle persone con disabilità, e così facendo rivaluta l’azione della cura. E ancora, la riflessione di genere sposta l’attenzione dalla relazione tra le culture a quella, ben più complessa, tra le differenze all’interno di una stessa cultura: in questo modo ad esempio l’Europa viene vista come una periferia e non come un centro sovrano caratterizzato da una omogeneità culturale: «Solo così lo spazio europeo può diventare antirazzista, includente e multiculturale», scrive la studiosa. È uno sguardo, quello teorizzato da Loretoni, che fa giustizia delle tante esclusioni operate dalla cultura dominante, e che lei stessa definisce per questo «rivoluzionario». Il percorso che compie, oltre che filosofico, è un percorso umano di valorizzazione dell’inclusione, dell’allargamento, della diversità, della giustizia. La riflessione di genere diventa uno strumento di giustizia sociale, un tentativo di «formulare configurazioni più giuste di ordini sociali». E lo affida alle donne: «Nel fatto che le donne comincino a guardare il mondo dal loro punto di vista è compresa un’intrinseca promessa di trasformazione della realtà, un’ipotesi di cambiamento possibile ».