miseria ladraSabato 17 ottobre, in occasione della “Giornata Mondiale contro la povertà”, la rete nazionale delle organizzazioni della  Campagna ‘Miseria ladra’ promuove una giornata di mobilitazione contro le diseguaglianze sociali e la miseria.

In Italia e in Europa si registrano livelli inaccettabili di diseguaglianza e povertà. Infatti negli ultimi 7 anni il nostro paese è stato travolto dalla crisi. I dati fotografano un paese fragile, povero, segnato dalla disoccupazione e dalla disuguaglianza sociale: sono più di 8 milioni le persone in povertà relativa e 4,2 milioni in povertà assoluta. Secondo Eurostat un terzo della popolazione è minacciato dalla povertà. Sono più di 1 milione i minori indigenti, anche la dispersione scolastica ha subito un’impennata arrivando a oltre il 17%. Per non parlare della piaga della disoccupazione, della precarietà e dei ‘lavoratori poveri.’
Rispetto al genere in Italia il 2015 segna un importante cambio di tendenza; per la prima volta risulta esserci una sostanziale parità di presenze tra uomini (49,9%) e donne (50,1%), a fronte di una lunga e consolidata prevalenza del genere femminile..

Lo stato sociale in questi anni è stato depotenziato, fino a tagliare dal 2008 al 20014 il 58% del fondo sociale.

Di fronte a questa situazione è necessario e urgente cambiare rotta e fare ognuno la propria parte per rimettere al centro la dignità e la giustizia sociale, precondizione per sconfiggere mafie e corruzione.
Per questo motivo la rete nazionale delle organizzazioni che fanno parte della campagna ‘Miseria ladra ha deciso di  lanciare per domani   17 ottobre una  giornata di mobilitazione aperta a tutte e tutti per rimettere al centro il diritto all’uguaglianza e alla dignità sancito dall’articolo 3 della nostra Costituzione.

La lotta alla mafia significa lavoro e scuola, Il presidente di Libera, Luigi Ciotti ricorda che il “17 ottobre in tutta Italia scenderemo in piazza per il reddito di dignità che l’Europa chiede da anni. Non vogliamo dei tamponi come viene fatto spesso in Italia, ma un grande progetto per la dignità delle persone.”

Ma ricordiamo che nel mondo,  le donne sono quelle che vivono di più il dramma della povertà.

Più del 70 per cento delle persone che nel mondo vivono nell’indigenza, secondo le stime dell’Onu, sono donne. Perché più dei due terzi delle persone povere sono donne, sebbene queste rappresentino solo la metà della popolazione mondiale?
La discriminazione è una dei temi chiave della povertà. In alcuni paesi la discriminazione contro le donne è parte integrante delle leggi nazionali, in altri persiste nonostante leggi per la parità. Le donne non hanno lo stesso accesso alle risorse e ai mezzi di produzione come la terra, il credito e i diritti di eredità. Non ricevono gli stessi stipendi degli uomini e la maggior parte del loro lavoro non è retribuito. Le donne spesso hanno posti di lavoro informali senza alcuno standard di sicurezza o protezione sociale. Allo stesso tempo sono ancora le principali responsabili della cura della
famiglia e della casa.
La povertà, per le donne, è sia causa che conseguenza della violenza. Le donne che subiscono aggressioni fisiche, sessuali o psicologiche perdono il loro reddito e la loro capacità produttiva viene danneggiata. Inoltre, la violenza contro le donne impoverisce le loro famiglie, le loro comunità e le loro società. D’altra parte, la povertà rende più difficile per le donne trovare una via di fuga dai maltrattamenti. Se è vero che l’indipendenza economica non protegge le donne dalla violenza, l’accesso alle risorse economiche può migliorare la loro capacità di compiere scelte significative. Una donna che è economicamente dipendente dal proprio partner non vede altre strade per il sostentamento suo e dei suoi figli. Una ragazza che rimane incinta a causa di uno stupro potrebbe vedersi precludere l’accesso all’istruzione, riducendo così le prospettive di lavoro e di un futuro indipendente.
La violenza rende le donne povere e sono le donne povere quelle più esposte alla violenza. Molte di coloro che vivono negli insediamenti abitativi precari subiscono quotidianamente violenze sia in casa che per strada. Svolgono spesso impieghi informali e sottopagate e in condizioni deplorevoli.
Le lavoratrici immigrate, nella ricerca di migliori condizioni di vita, spesso subiscono sfruttamento e violenze dai datori di lavoro o dalla criminalità organizzata.
La discriminazione e la violenza contro le donne spesso vanno per mano, contribuendo alla negazione del diritto delle donne alla salute, all’istruzione, ad una casa e al cibo. La povertà in più mette le donne e le ragazze a rischio di ulteriori abusi e violenze, chiudendo il circolo vizioso.
La discriminazione mette a repentaglio i diritti umani di diversi gruppi sociali, tra cui le popolazioni native, i gruppi etnici, razziali, religiosi o le minoranze linguistiche e migranti. In questi contesti, le donne subiscono una doppia discriminazione, sia come membri di tali gruppi che come donne.
Inoltre, ci sono gruppi di donne che sono in particolar modo esposti alle violenze, tra cui le minoranze, le donne native e rifugiate, quelle bisognose, quelle in carcere, quelle con disabilità, le ragazze, le più anziane e quelle che vivono in situazioni di conflitto armato.
La povertà è più che una semplice mancanza di reddito: è anche mancanza di sicurezza, di voce,
di scelte. La voce delle donne povere raramente viene ascoltata. La povertà si manifesta in diverse
forme e colpisce le persone e i paesi in maniera differente. Alcuni gruppi sono più colpiti di altri, sia
nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. Le donne subiscono gli effetti della povertà in
maniera particolare a causa del loro ruolo nella società, nella comunità e nella famiglia.
Tuttavia le donne non sono vittime passive. Possono essere cittadine partecipi e attiviste per diritti
umani che reclamano i loro diritti, possono organizzarsi, chiedendo giustizia e riconoscimento delle
responsabilità e lavorare per migliorare le loro vite e la situazione delle loro famiglie e comunità. Le
donne spesso sono gli agenti del cambiamento più affidabili e di successo, non solo per famiglie e
comunità ma per tutta la società. Gli esempi di questo cambiamento positivo possono essere
trovati in ogni parte del mondo.
SPARTIZIONI INIQUE
Nonostante producano dal 60 all’80 per cento del cibo dei paesi in via di sviluppo, le donne
posseggono solo l’1 per cento della terra2.
Nell’Africa subsahariana, la maggioranza delle donne lavora nel settore dell’agricoltura ma la legge
consuetudinaria spesso nega alle figlie e alle mogli il diritto di ereditare le terre che coltivano. In
alcuni paesi, alle donne è richiesto il permesso del marito o la co-intestazione del conto per avere
accesso al credito delle banche. L’accesso diseguale al credito, alle terre e all’eredità è il maggior
impedimento all’indipendenza economica delle donne.
In molti paesi tali disuguaglianze di genere derivano da leggi apertamente discriminatorie che
negano gli stessi diritti agli uomini e alle donne, anche laddove la costituzione garantisca
uguaglianza.
Le leggi e gli standard internazionali richiedono a tutti gli stati di proteggere, rispettare e
promuovere uguali diritti per le donne, ma in molti paesi ciò non avviene. Questo avviene in
relazione al diritto di proprietà o di eredità, alla protezione dalle violenze, al matrimonio e alle leggi
sul divorzio, alla libertà di movimento, alla piena capacità giuridica e all’uguaglianza di fronte alla
legge.
La violenza contro le donne comporta ineguaglianza e accentua la povertà riducendo la capacità
delle donne a contribuire produttivamente alla famiglia, all’economia e alla vita pubblica. Inoltre
toglie risorse ai servizi sociali, al sistema giudiziario, alle istituzioni sanitarie e agli imprenditori.
Il potenziale delle donne nell’ottenere successi economici, nel condurre intere comunità fuori dalla
povertà, è dimostrato dall’esperienza della Commissione per il progresso agricolo in Bangladesh
(Brac). La Brac è diventata la più grande organizzazione di sviluppo della società civile nel mondo,
mettendo donne e ragazze al centro della sua strategia contro la povertà e assumendole come
agenti attivi del cambiamento. Negli anni, la Brac ha organizzato donne e ragazze e, con la loro
partecipazione attiva, ha guidato, ridefinito e portato su scala industriale modalità pratiche per
migliorare il loro accesso alle risorse. La Brac promuove programmi di microcredito ed educazione
in Asia e Africa, coinvolgendo più di 110 milioni di persone, e si auto finanzia per più dell’80 per
cento.
LE DONNE LAVORANO DALL’ALBA AL TRAMONTO
Le donne guadagnano il 10 per cento del reddito mondiale sebbene svolgano due terzi del lavoro3.
Le donne e le ragazze portano il peso del lavoro domestico e hanno responsabilità maggiori in
tempo di crisi. Le donne delle zone rurali spendono molto del loro tempo andando a prendere
l’acqua, raccogliendo legna da ardere, lavorando nei campi e occupandosi dei bambini piccoli o dei
membri della famiglia malati ma questo impegno non è retribuito e la sua importanza non è
riconosciuta. Sia le donne delle zone rurali sia quelle delle città lavorano in settori informali, spesso
sottopagate o con compiti pericolosi senza riguardo per i loro diritti. Una ricerca dell’Onu ha
stimato che in Africa, l’84 per cento del lavoro delle donne, fuori dal settore agricolo è informale4.
Il degrado ambientale e il cambiamento climatico colpisce le vite di moltissime donne e ragazze.
Quando siccità o alluvioni devastano il paesaggio, molti uomini migrano verso i centri urbani in
cerca di lavoro ma sfuggire ai disastri naturali è molto più difficile per le donne, specialmente per
quelle con bambini a carico. Devono lavorare più duramente per produrre il raccolto, camminano al
lungo per procurarsi l’acqua o raccogliere legna da ardere e sopravvivono fino all’esaurimento
delle risorse. Quando queste sono scarse, spesso i sacrifici vengono fatti a spese di donne e
ragazze. Secondo il World Food Programme5, sette persone su 10 tra coloro che soffrono la fame
nel mondo sono donne e ragazze.
Secondo il Segretario generale dell’Onu, l’impatto della globalizzazione e di politiche come la
deregolamentazione economica e la privatizzazione dei settori pubblici hanno contribuito ad
accentuare i problemi legati alla mancanza di parità tra uomini e donne, specialmente all’interno
delle comunità più emarginate. La ristrutturazione economica ha ridotto i programmi statali e la
spesa pubblica in molti paesi e, mentre l’industrializzazione e la migrazione economica offrono alle
donne la possibilità di guadagnare un buon salario al di fuori dei confini nazionali, queste sono
impiegate principalmente in attività che le vede segregate e sottopagate6.
Sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, le donne guadagnano molto meno degli
uomini per lo stesso lavoro. Di conseguenza, anche nei paesi ricchi, molte donne vivono in una
condizione di povertà relativa, specialmente se sono single e hanno figli a carico.
Molte subiscono discriminazioni e molestie sul posto di lavoro e le donne emigrate sono
particolarmente esposte a questo tipo di abusi. La povertà le può spingere a forme di lavoro illegali
o semi-illegali, spesso tenute segregate, come nei lavori domestici o nell’industria manifatturiera o
in quella del sesso. Molte si trovano intrappolate come vittime del traffico di esseri umani o in
forme moderne di schiavitù.
T., una ventisettenne delle Filippine, è una delle decine di migliaia di domestiche emigrate in
Giordania. Il suo datore di lavoro le ha sequestrato il passaporto appena arrivata e l’ha fatta
lavorare 17 ore al giorno, sette giorni a settimana. Le veniva concesso un piccolo pasto e la
chiudevano in casa quando uscivano. Ha vissuto così per due anni ma il suo datore di lavoro non
le ha pagato quasi un anno di stipendi e l’ha costretta a lavorare altri due mesi senza visto. Infine
T. è saltata dalla finestra del secondo piano nel tentativo di scappare e si è rotta una gamba. Il suo
datore di lavoro l’ha denunciata alla polizia accusandola di furto, nel tentativo di rimandare
ulteriormente il pagamento dello stipendio. Egli infine ha pattuito di pagarle il biglietto di ritorno per
le Filippine, ma non il salario dovuto; così T. è potuta tornata a casa tra la fine del 2008 e l’inizio
del 2009.
La povertà e l’emarginazione non solo mettono le donne a rischio di violenza, ma le costringono a
lavorare invece di andare a scuola o per potersi pagare gli studi. Secondo le stime dell’Unicef, nel
2007, 102.000 ragazze tra i 6 e i 17 anni hanno lavorato come domestiche ad Haiti. Lontane dalla
famiglia, dagli amici e dal resto del mondo, queste ragazze sono particolarmente esposte al rischio
di abusi. Stephanie è una di loro. Ha lavorato fin dall’età di 12 anni, in cambio solo del vitto e
dell’alloggio, e vendeva oggetti per strada per pagarsi gli studi. Stava ritornando a casa con la sua
merce e l’incasso della giornata quando è stata aggredita da tre uomini e stuprata. La sua merce e
il suo denaro sono stati rubati e ha dovuto lasciare gli studi perché non poteva più pagare le tasse
scolastiche.
RAGAZZE ESCLUSE DALL’ISTRUZIONE
Tre quarti degli analfabeti adulti del mondo sono donne7.
L’istruzione è essa stessa un diritto e un mezzo per il pieno godimento di altri diritti. Per le ragazze
che non hanno accesso all’istruzione si riducono le opportunità di un’indipendenza economica e
aumentano le probabilità che si sposino molto giovani, il che comporta una serie di problemi
psicologici e fisici. La mancanza di educazione inoltre incrementa sensibilmente la possibilità di
contrarre l’Hiv e di morire durante il parto. Tutto ciò rende molto più difficile per donne e ragazze
affrontare la vita sociale con successo e reclamare i loro diritti.
La povertà costringe le famiglie a compiere delle scelte difficili quando devono pagare gli studi dei
figli. Spesso viene data la precedenza all’educazione dei ragazzi rispetto a quella delle ragazze,
perché sono visti come coloro che in futuro si faranno carico del sostentamento della famiglia. In
molti paesi, le ragazze si occupano delle faccende domestiche con le loro madri finche non
diventano mogli e madri loro stesse. Sebbene la realtà è che madri più istruite hanno figli più sani
e istruiti, l’istruzione delle donne spesso non è considerata altrettanto importante.
In Tajikistan, la combinazione di stereotipi di genere e costi scolastici porta al fatto che circa una
ragazza su cinque abbandona la scuola tra i 13 e i 14 anni. Molte famiglie non possono affrontare
le spese basilari per l’istruzione dei propri figli – libri scolastici, vestiti e trasporto, perciò raramente
le donne vengono mandate a scuola, venendo data la precedenza agli uomini, che probabilmente
saranno in grado di guadagnare di più durante la loro vita. Molte ragazze non terminano il proprio
percorso formativo, ma al contrario si prendono cura dei membri della loro famiglia, lavorano nei
campi o al mercato, oppure si sposano giovanissime.
Moltissime lasciano la scuola a causa di violenze o molestie sessuali, o per paura di subirle. In
ogni parte del mondo si verificano abusi sessuali nelle scuole: uno studio negli Usa ha riscontrato
che l’83 per cento delle studentesse delle scuole pubbliche hanno subito una qualche forma di
molestia sessuale8.
Molte non vanno a scuola o la abbandonano molto presto perché si sposano molto giovani,
nonostante la legge lo proibisca, con uomini molto più grandi di loro. Si ritrovano con un’istruzione
minima se non nulla e pochissime prospettive di indipendenza economica e di conseguenza senza
possibilità di decidere della loro vita.
Una ragazza irachena di 27 anni, madre di tre bambini, ha raccontato ad Amnesty International nel
maggio 2008 che suo padre l’ha costretta a sposarsi con un uomo molto più vecchio di lei quando
aveva solo 13 anni. Dopo molto tempo suo marito ha mosso contro di lei una falsa accusa di
adulterio perché voleva divorziare ed evitare la responsabilità di mantenerla e si è ritrovata
detenuta nella prigione femminile di Erbil. Da bambina aveva ricevuto un’istruzione minima e, da
sola, non ce l’avrebbe fatta a mantenere se stessa e i suoi bambini. Adesso spera che suo marito
le permetta di tornare a casa e di vivere come “domestica”, se lui lo vuole, per poter almeno stare
con i suoi bambini.
In molti paesi, quando ci sono pochi soldi e l’educazione è costosa, molte ragazze intrattengono
relazioni sessuali, non potendo fare altrimenti, per esempio con i così detti “sugar daddies” (uomini
più anziani che fanno regali o pagano in denaro), in modo da potersi permettere il necessario per
l’istruzione.
DISCRIMINAZIONE MULTIPLA
Le donne spesso si trovano ad affrontare una multipla discriminazione: sono discriminate e
vengono loro negati diritti in quanto donne e in quanto facenti parte di un gruppo emarginato, così
come le donne che vivono in povertà subiscono la discriminazione semplicemente per il fatto di
essere povere.
La discriminazione multipla è intimamente collegata alla violenza contro le donne. Essa influenza
le forme di violenza che le donne subiscono e rende alcune di loro più soggette a certe forme di
violenza perché hanno un più basso status sociale rispetto ad altre e perché i responsabili di questi
abusi sono consapevoli che è meno probabile che queste donne denuncino gli abusi o chiedano
assistenza.
La discriminazione che le donne si trovano ad affrontare preclude loro l’accesso alla giustizia, alla
protezione o ai servizi; questa esclusione nasce dalla povertà e la radica ulteriormente.
Molte delle donne che vivono nell’indigenza non hanno accesso alle cure sanitarie perché non
possono sostenerne i costi o perché non possono affrontare le spese per raggiungere le strutture
sanitarie. Altre trovano ostacoli perché non sono istruite, non parlano la lingua ufficiale o perché
non vengono loro date le informazioni di cui hanno bisogno.
Le disparità vengono mostrate chiaramente dal bilancio sulla mortalità materna: ogni minuto muore
una donna a causa di complicazioni legate alla gravidanza e al parto. La vasta maggioranza – più
del 95 per cento – di queste donne è povera e arriva da paesi in via di sviluppo. Nei paesi
sviluppati, è più probabile che coloro che appartengono alle minoranze razziali ed etniche siano
povere e debbano superare ostacoli maggiori per poter ottenere accesso ai servizi sanitari9. Per
esempio, negli Stati Uniti, è quattro volte più probabile che le donne afro-americane muoiano
durante il parto rispetto alle donne caucasiche10.
Il Perù ha uno dei più alti tassi di mortalità materna nelle Americhe. La maggior parte delle donne
che muoiono in gravidanza o durante il parto sono contadine, povere e native che, in pratica, non
ricevono gli stessi servizi sanitari delle altre donne nel paese. L’accesso ai servizi sanitari riflette le
profonde iniquità della società peruviana. Le donne che vivono nelle aree rurali hanno una
possibilità di accesso alle cure ostetriche vitali d’emergenza di gran lunga inferiore e a volte non
ricevono informazioni sulla salute materna. Le donne native si trovano spesso ad affrontare
ulteriori ostacoli perché non parlano spagnolo e perché sono vittime di pregiudizi profondamente
radicati.
Le donne in Sud Africa, in particolare le donne di colore, sono di gran lunga più povere e
maggiormente affette dalla pandemia dell’Hiv. Il governo ha allargato l’accesso gratuito alla terapia
antiretrovirale per le persone che vivono con l’Hiv o l’Aids ma trattamenti, cure e servizi di supporto
sono ancora forniti soprattutto attraverso gli ospedali, che subiscono forti pressioni, piuttosto che
attraverso le strutture sanitarie di base. I costi di trasporto sono alti rispetto agli stipendi delle
persone e le donne che vivono nelle comunità rurali più povere trovano particolarmente difficile
raggiungere gli ospedali per iniziare o continuare i propri trattamenti sotto una supervisione
medica. Molte altre non hanno cibo adeguato, essenziale per superare gli effetti collaterali della
cura antiretrovirale. Il basso status sociale delle donne aggrava il problema della povertà, poiché
questo significa che non ricevono la propria parte dei seppur limitati beni familiari. TH., che era
solita pranzare con 12, e a volte 20, altri membri della famiglia di suo marito, ha raccontato ad
Amnesty International, nel maggio del 2007, che quando c’era scarsità di cibo lei era l’ultima a
mangiare. Ha detto: “Io sono l’ultima ruota del carro”.
In molti paesi la giustizia è effettivamente negata alle donne povere che possono solo ricorrere alle
abituali forme locali di giustizia, fortemente sbilanciate a favore degli uomini. Per esempio, le
donne che subiscono violenza domestica spesso non hanno protezione legale. L’unico modo in cui
esse possono sfuggire all’abuso è attraverso il divorzio, ma le pratiche legali discriminatorie e le
attitudini sociali lo rendono difficile se non impossibile.
Le donne che vivono nelle aree rurali della Sierra Leone e cercano giustizia, si scontrano con una
serie di ostacoli. Il matrimonio, il divorzio, il mantenimento, la proprietà e l’eredità sono spesso
regolati da leggi consuetudinarie che discriminano le donne. Secondo queste leggi, attive in tutte le
zone al di fuori della capitale, lo status di una donna nella società è equivalente a quello di un
minorenne. Prima del matrimonio una donna è subordinata a suo padre o a suo fratello; dopo il
matrimonio, a suo marito. Se il marito muore, lei è subordinata a un parente maschio, di solito un
fratello, fino a quando non si risposa. Nel tentativo di arginare questa discriminazione, nel 2007
furono approvate delle leggi che proibiscono la violenza domestica e regolano l’eredità, il
matrimonio e il divorzio. Tuttavia, un organo governativo nominato per procedere alla loro
attuazione ha scoperto che, all’interno delle comunità vi è pochissima comprensione dei dettagli di
queste leggi e che, in larga parte, non sono state attuate.
A volte, la forza e la determinazione di una sola donna che combatte contro la discriminazione
multipla ha cambiato la situazione dei diritti per tutte le donne di una nazione, come nel caso di
Bhanwari Devi, una dalit dal Rajasthan in India, attivista dei diritti umani. Nel 1992, Bhanwari
venne stuprata da una banda di cinque uomini gurjar dopo che lei aveva raccontato alla polizia di
un matrimonio combinato di una bambina di nove mesi. Gli uomini vennero processati ma il giudice
sentenziò che lo stupro non poteva essere avvenuto in quanto un uomo di una casta superiore non
avrebbe potuto stuprare una donna di una casta inferiore; inoltre, lei era troppo vecchia e non
attraente perché dei giovani la stuprassero. Gli imputati vennero condannati per crimini minori e, in
seguito, rilasciati. La sentenza portò a una grande campagna nazionale per ottenere giustizia per
Bhanwari Devi, che venne ostracizzata e stigmatizzata come “sporcata dallo stupro”, all’interno
della sua comunità. La campagna portò a nuove linee guida legali sulla violenza sessuale sul
posto di lavoro e le denunce di casi di stupro nel Rajasthan aumentarono in maniera esponenziale.
Ad oggi, sebbene il suo caso sia in fase di stallo, Bhanwari Devi e il suo continuo lavoro a
sostegno delle donne dalit sono un segnale di speranza per le donne del Rajasthan.
IL DESTINO DELLE DONNE, LE DECISIONI DEGLI UOMINI
I costumi, la cultura e la religione si uniscono ala povertà per negare alle donne l’accesso ai
processi politici. Alle donne non è permesso farsi sentire e compiere scelte sulle loro vite, incluso
se e quando essere madri.
La battaglia per il controllo sulla vita delle donne si gioca in modo ancora più decisivo sulla
questione dell’aborto. Ogni anno gli aborti clandestini costano la vita a migliaia di donne e è noto
che la decriminalizzazione dell’aborto ed il conseguente accesso ai servizi di salute riproduttiva e
pianificazione familiare riduce la mortalità materna. Eppure in molte nazioni, dove le donne sono
ridotte al silenzio ed escluse dai processi decisionali, l’accesso a tali servizi è negato.
In Nicaragua, nel 2008, è stata promulgata una legge che criminalizzava tutte le forme di aborto in
ogni circostanza, mettendo in pericolo la vita di ragazze e donne e impedendo agli operatori
sanitari di fornire cure immediate ed efficaci per salvare vite umane. La legge impone la prigione
per gli operatoti sanitari che causano qualsiasi danno al feto, a prescindere dal loro intento. Alcuni
interventi medici durante la gravidanza o il parto possono portare a un danno non intenzionale o
alla morte del feto; lo staff medico si può sentire legittimato a ritardare o negare cure per malattie
come il cancro, per facilitare il parto. La legge può portare anche alla punizione di ragazze e donne
che hanno subito un aborto spontaneo, in quanto spesso è impossibile distinguere se sia stato
veramente spontaneo o procurato. Il fatto che le donne e le ragazze che restano incinte come
conseguenza di uno stupro o di un incesto siano ora obbligate a portare a termine la loro
gravidanza è una violazione dei diritti umani. In Nicaragua, la stragrande maggioranza delle
ragazze rimaste incinte in conseguenza di uno stupro o di un incesto hanno tra i 10 e i 14 anni11. Il
futuro appare ora ancor più nero, senza altra scelta che continuare la gravidanza oppure rischiare
la denuncia e mettere in pericolo la propria salute con un aborto clandestino. Una giovane
sopravvissuta a uno stupro ha detto: “Mi sono sentita come se mi stessero uccidendo molte volte;
il processo è stato un incubo durato 10 mesi…Quando la causa è andato in pezzi, sono diventata
isterica… Come niente fosse, ho avuto da lui un bambino che ho dovuto accettare. Quello che mi è
successo ha distrutto i miei sogni, le mie speranze: volevo lavorare fuori casa, invece, passo tutto
il giorno qui a prendermi cura del bambino”.
Se le donne e le ragazze fanno le loro scelte, a volte pagano con la vita. Du’a Khalil Aswad venne
lapidata a morte per strada da un gruppo di uomini davanti a una vasta folla il 7 aprile 2007 a
Bashiqa, vicino alla città settentrionale di Mosul, in Iraq. Il suo assassinio venne filmato da uno
spettatore e poi fatto circolare ampiamente su Internet. Fra gli uomini che la uccisero si dice ci
fossero alcuni suoi parenti maschi. Il suo “crimine”, ai loro occhi, era che questa diciassettenne,
membro della minoranza Yezidi, aveva stretto amicizia con un giovane musulmano sunnita. Altre
persone, inclusi alcuni membri delle forze di sicurezza locali, assistettero all’omicidio, ma non
intervennero per impedirlo. La ragazza aveva già cercato protezione sia presso la polizia locale sia
presso l’ufficio locale del Partito Democratico del Kurdistan, dove l’avevano semplicemente messa
in contatto con un leader della comunità locale, che aveva accettato le rassicurazioni della famiglia
della giovane, che si impegnava a non farle del male.
UNA VITA INSICURA
Più di un miliardo di persone, per la maggior parte donne, vive in uno dei 200.000 insediamenti
abitativi precari o informali12. Tutti gli insediamenti presentano le stesse caratteristiche: alloggi
inadeguati, mancanza di servizi igienici e fognari, distribuzione scarsa di acqua ed elettricità,
sovraffollamento, esposizione a sostanze tossiche presenti nell’ambiente e alti livelli di violenza.
Molte donne si trasferiscono in città alla ricerca di una vita migliore o per sfuggire agli abusi nei
loro villaggi ma negli insediamenti è probabile che esse debbano confrontarsi con problemi simili a
quelli che avevano provato a lasciarsi alle spalle: povertà, violenza e brutalità della polizia. Le
difficoltà della vita quotidiana sono aggravate dal fatto che le leggi discriminatorie sulla proprietà
negano alle donne il diritto di possedere legalmente ciò che appartiene loro.
Le donne a cui manca il diritto di possesso sono particolarmente vulnerabili agli sfratti forzati. Nella
gran parte dei casi questi sono compiuti senza alcun giusto processo, consultazione, adeguata
notifica o compensazione. Gli effetti degli sfratti forzati possono rivelarsi catastrofici, in particolare
per le persone che già vivono in povertà. Non solo causano a molte persone la perdita delle case
(che potrebbero aver costruito loro stesse) e dei possedimenti personali, ma anche delle loro reti
sociali. Dopo gli sfratti forzati, potrebbero non avere più accesso all’acqua pulita, al cibo, ai servizi
igienici, al lavoro, all’assistenza sanitaria o all’istruzione. A causa del loro ruolo all’interno della
famiglia, le donne sostengono il peso maggiore di questa privazione.
I funzionari che eseguono gli sfratti spesso usano una forza eccessiva contro i residenti ma
raramente i responsabili di queste violazioni dei diritti umani rispondono delle loro azioni.
In un sondaggio in sei tra le più grandi città del mondo, il Center on Housing Rights and Evictions
ha definito la violenza contro le donne “in crescita” negli insediamenti13. Le bande criminali
riempiono il vuoto lasciato da uno stato assente e la violenza diventa parte della vita quotidiana, in
particolare per le donne. I crimini vengono raramente denunciati a causa della mancanza di
stazioni di polizia e dell’ostilità verso gli abitanti degli insediamenti abitativi precari da parte e forze
di sicurezza.
La sedicenne Blanche fu stuprata da diversi uomini armati di pistola mentre stava facendo i compiti
in strada, alla luce di uno dei pochi lampioni che ancora funzionavano vicino a casa della nonna,
nell’area del Carrefour Feuilles a Port-au-price, capitale di Haiti. La nonna di Blanche la portò in
una clinica ma la scoraggiò dal denunciare la violenza alla polizia credendo che fosse inutile.
Nel gennaio del 2007, una quattordicenne e un adolescente vennero fermati da ufficiali della
polizia militare nella favela di Jardim Elba a San Paolo in Brasile. Vennero portati nel cortile di una
scuola lì vicino e picchiati con bastoni. La ragazza subì abusi sessuali da uno degli ufficiali. Il caso
fu sollevato dal Sapopemba Human Rights centre che denunciò alla polizia i responsabili. Pochi
giorni dopo l’ufficiale di polizia accusato di aver abusato sessualmente della ragazza la arrestò per
traffico di droga e lei venne detenuta per due settimane, fino a quando il giudice istruttore fece
cadere le accuse in quanto infondate. Lei continuò a ricevere minacce di morte da parte di ufficiali
di polizia.
La mancanza di documentazione o del riconoscimento di un indirizzo regolare aumenta
l’insicurezza e l’esclusione di coloro che vivono negli insediamenti, limitando il loro accesso al
credito, ai servizi pubblici, a un impiego formale e, persino, al diritto di voto. Alle donne che vivono
negli insediamenti abitativi precari viene frequentemente proibito di partecipare ai processi e alle
decisioni che riguardano le loro vite quotidiane.
CONFLITTI ARMATI
L’insicurezza raggiunge i suoi estremi più brutali in tempo di conflitto armato. La povertà crea le
condizioni per il conflitto che, a sua volta, impoverisce ulteriormente le popolazioni. In Africa questa
è la principale causa di povertà le persone diventano profughe, i mezzi di sostentamento vengono
distrutti e le reti sociali sono disintegrate.
In molti conflitti gli attacchi contro i civili sono stati usati come strategia deliberata per terrorizzare
la popolazione e occupare la terra. Costringere la gente a scappare privandola dei mezzi di
sussistenza è una strategia militare. Le donne e le ragazze diventano il bersaglio di deliberate
violenze sessuali come ulteriore strategia per fare a pezzi le comunità.
Entrambe queste strategie sono state utilizzate durante il conflitto nel Darfur in Sudan. Centinaia di
migliaia di abitanti sono scappati per rifugiarsi nel vicino Ciad e ora vivono in tende e lottano per
sopravvivere con gli aiuti. Le donne e le ragazze devono lasciare i campi per prendere acqua o
legna, esponendosi al rischio di aggressioni da parte di gruppi armati dell’opposizione, banditi o
uomini del posto. Esse non sono al sicuro neanche all’interno dei campi, dove i livelli di abusi e
violenze sono alti.
Mariam, madre di due figli, è stata stuprata nel Campo per rifugiati di Gaga, nel Ciad orientale. Lei
vive nel campo da più di sei anni, ovvero dal’inizio del conflitto nel Darfur, e negli ultimi tre anni ha
lavorato come operatrice sociale. Uno dei suoi colleghi, un ciadiano, l’ha stuprata. Nonostante
quest’uomo abbia perso il lavoro, non è stata condotta alcuna inchiesta formale né sono stati
adottati procedimenti a suo carico. L’uomo vive in libertà in una città vicina, mentre Mariam deve
vivere con le conseguenze dello stupro: “Non vado neanche più a prendere l’acqua perché mi
sembra che tutti mi stiano guardando”.
Molto spesso alla fine di una guerra non segue automaticamente la pace ma continua la violenza
armata che lascia i civili, e in particolare le donne, in situazioni di pericolo. Nella zona orientale
della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) continuano su vasta scala gli stupri e le violenze
sessuali contro le donne e le ragazze, nonostante i diversi accordi di pace. La gran parte degli
stupri è commessa con la quasi totale impunità dei soldati e dei membri dei vari gruppi armati.
I negoziati di pace nella Rdc orientale, che sono stati seguiti dalla comunità internazionale, non
hanno posto sufficiente attenzione alla situazione delle donne che vivono nell’area del conflitto e
non sono riusciti a eliminare la diffusa brutalità, basate sul genere. Questo avviene nonostante le
chiare condizioni poste dalle Risoluzioni 1325 (2000), 1820 (2008), 1888 (2009) e 1889 (2009) del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla pace e sicurezza delle donne, che chiedono che le
donne debbano partecipare alla prevenzione e alla soluzione del conflitto e ai processi di
costruzione della pace. Alla conferenza di pace di Goma del gennaio 2008, le donne della Rdc
orientale protestarono dicendo: “Le voci delle donne non sono state ancora sentite né è stato dato
loro il posto giusto nella ricerca della pace. Eppure, insieme ai bambini, le donne sono le vittime
principali delle diverse forme di violenza”14.
Nella gran parte dei paesi colpiti da un conflitto armato, gli sforzi per la costruzione della pace non
sono riusciti ad assicurare la partecipazione delle donne nella discussione sull’impatto a lungo
termine della violenza sessuale sulla loro vita, né a rendere effettivi i diritti delle donne nei
programmi di ricostruzione al termine del conflitto.
Durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina, dal 1992 al 1995, le donne e le ragazze subirono stupri
e violenze sessuali su larga scala. Come conseguenza, molte di esse soffrono di seri problemi
fisici e psicologici, ma pochissime possono permettersi di pagare un medico o una terapia. Lo
stigma sociale connesso allo stupro spesso le spinge a una vita ai margini della società, molte di
loro divorziano dai mariti quando questi apprendono dello stupro subito, molte vivono in povertà,
incapaci di mantenere un lavoro stabile. Alcune sono ritornate alle loro case perché continuano a
temere per la propria incolumità. Più di quattordici anni dopo la fine della guerra, le autorità non
sono ancora riuscite ad assicurare giustizia e risarcimenti adeguati alle donne che sono
sopravvissute alla violenza sessuale.
LE DONNE DENUNCIANO
Quando le donne e le ragazze comprendono che hanno dei diritti, li rivendicano con forza
nonostante tutti gli ostacoli che incontrano. Ci sono degli esempi entusiasmanti in tutto il mondo.
Nojoud Ali, otto anni, ha fissato un precedente legale nel 2008 quando è diventata la prima
bambina sposa in Yemen a chiedere il divorzio legale. Nojoud è scappata in taxi e si è recata
nell’ufficio del giudice da sola per pretendere il divorzio da suo marito trentenne, che abusava
sessualmente di lei da due mesi. Inoltre ha intentato una causa contro suo padre che l’ha obbligata
a sposarsi. Sebbene ci siano molte spose bambine in Yemen, questo caso è il primo arrivato in
un’aula di tribunale. Nojoud ha avuto la fortuna di trovare un giudice comprensivo, che ha mandato
il padre e il marito in prigione, ha annullato il matrimonio e l’ha protetta finché non è stata mandata
a vivere con lo zio. Secondo la legge yemenita, né il padre né il marito hanno commesso alcun
crimine; il codice civile stabilisce che l’età minima per il matrimonio è di 15 anni, i genitori possono
stipulare un contratto matrimoniale anche per figli più giovani. Il caso di Nojoud ha fatto esplodere
l’interesse internazionale e ha incoraggiato altre ragazze nella stessa situazione ha lottare per i
loro diritti. Nel febbraio 2009, sotto la pressione di diverse Ong, il parlamento yemenita ha emanato
un decreto legge per alzare l’età minima per sposarsi da 15 a 17 anni, richiedendo che il contratto
matrimoniale sia sottoposto alla certificazione del giudice. Il decreto legge deve ancora essere
ratificato dal presidente.
Quando le donne denunciano e fanno valere i loro diritti o i diritti di altri gruppi emarginati, corrono
dei seri pericoli perché sfidano i pregiudizi culturali e sociali e rappresentano una minaccia per i
poteri forti. Le attiviste per i diritti delle donne potrebbero essere prese di mira dai membri della
comunità, dalle organizzazioni politiche o da alcuni gruppi religiosi, perché sostengono posizioni
diverse. Alcune volte sono minacciate dalle autorità stesse. In Zimbabwe, per esempio, le attiviste
dell’organizzazione Women of Zimbabwe Arise (Woza) sono state ripetutamente arrestate dal
febbraio 2003 per aver dimostrato pacificamente contro il peggioramento della situazione sociale,
economica e dei diritti umani. Sono state tra gli obiettivi della repressione governativa contro la
società civile e contro gli esponenti dell’opposizione dopo il primo turno delle elezioni presidenziali
nel marzo 2008 e più di 30 attiviste di Woza sono state arrestate nel 2009 e hanno dovuto
affrontare alcuni processi per aver “disturbato la pace”. Le attiviste di Woza continuano a mostrare
una grande resistenza e coraggio nelle avversità.
Alcune volte il governo è complice nelle violenze subite dalle attiviste per i diritti delle donne nel
non prendere misure per proteggerle.
Le attiviste vengono stigmatizzate e accusate di minacciare la cultura e i valori della società e sono
soggette ad alcune specifiche forme di violenze e abusi, tra cui gli attacchi con l’acido, gli stupri e
altre violenze sessuali.
Sahar Hussain al-Haideri, quarantaquattrenne giornalista e attivista per i diritti umani, è stata
fucilata il 7 giugno 2007 a Mosul, in Iraq. Lei ha spesso documentato la situazione delle donne e
ha criticato i gruppi armati islamici per i loro attacchi ai diritti delle donne. È sopravvissuta a diversi
tentativi di rapimento e ha ricevuto diverse minacce di morte. Secondo quanto riportato un gruppo
armato islamico, Ansar al-Islam, ha rivendicato l’omicidio.
“Ho ricevuto minacce di morte e hanno tentato di rapire mio figlio di nove anni… Le
persone che mi minacciano mi hanno fatto chiaramente capire che avrei dovuto chiudere il
mio rifugio per donne e che se non l’avessi fatto ne avrei pagato le conseguenze”
Shahla, titolare di un rifugio per donne che rischiano violenze in Afghanistan
Sia che agiscano come attiviste per i diritti umani o semplicemente come membri delle loro
comunità e famiglie, le donne guidano il progresso sociale e l’implementazione dei diritti umani di
tutti. In alcuni paesi, partecipano attivamente al processo politico e hanno fatto dei passi avanti
significativi per l’uguaglianza economica e politica mentre in altri, le forze politiche cercano di
annullare le conquiste che le donne hanno fatto in termini di parità.
I PROGRESSI SULLA CARTA
Le campagne delle attiviste per i diritti umani in tutti questi anni hanno portato a dei significativi
avanzamenti nell’impegno della comunità per sostenere i diritti delle donne. A livello internazionale
e regionale, ci sono degli accordi legalmente vincolanti per proteggerle e promuovere i loro diritti.
Uno dei fattori chiave per il rispetto dei diritti umani è l’uguaglianza tra uomini e donne e questo
principio si riflette in tutti gli standard dei diritti umani.
Specificatamente incentrate sui diritti delle donne sono: la Convenzione per l’eliminazione di
qualsiasi forma di discriminazione contro le donne e la Piattaforma d’azione di Pechino.
La Convenzione per l’eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione contro le donne si basa
sulla convinzione che le donne sono titolari di diritti umani e prevede, nelle sue premesse
fondamentali, che assicurare l’uguaglianza tra gli uomini e le donne sia un obbligo degli stati, i
quali devono cambiare le leggi e gli atteggiamenti che la ostacolano. Interpreta la violenza e la
discriminazione contro le donne come una forma di disuguaglianza e richiede che gli stati le
sradichino nelle legge e nella pratica. Se ufficiali dello stato e privati cittadini violano il diritto
all’uguaglianza, devono essere fermati. La Convenzione elenca una serie di diritti specifici dei quali
le donne e le ragazze devono godere, e identifica alcuni ostacoli specifici all’equo godimento di tali
diritti, tutti rilevanti per eliminare la povertà delle donne.
La Piattaforma d’azione di Pechino dell’Onu è stata negoziata e adottata da 180 stati alla Quarta
conferenza sulle donne del 1995 a Pechino, Cina. La Piattaforma è di grande importanza perché è
stata sviluppata con la partecipazione dei movimenti delle donne e perché prende in
considerazione le preoccupazioni dei movimenti popolari di donne. Identifica 12 aree critiche di
preoccupazione, tra cui la violenza contro le donne e le donne e la povertà.
Attualmente la maggiore risposta globale alla povertà è contenuta negli Obiettivi di sviluppo del
millennio dell’Onu. Gli otto obiettivi sono stati ratificati da tutti gli stati nel 2000 e rappresentano ciò
che la comunità internazionale spera di ottenere entro il 2015. Come sforzo per affrontare la
povertà e punto di riferimento del progresso per eliminarla, sono un importante successo perché
riflettono il consenso globale. Allo stesso tempo, per il modo in cui sono stati concepiti,
nascondono una continua discriminazione e falliscono nell’affrontare gli abusi dei diritti umani che
costringono le persone in povertà. Benché le questioni di genere siano argomento di alcuni degli
obiettivi, i diritti delle donne sono solo parzialmente trattati tra gli obiettivi. Sono necessari nelle
misure che guidano questo percorso, in particolare in relazione alle donne e alle ragazze che
vivono in povertà.
Il sistema internazionale deve aiutare a proteggere i diritti delle donne in molti paesi dove i governi
falliscono nell’adempiere ai loro doveri. A livello nazionale, in molti paesi ci sono leggi per
difendere i diritti delle donne e promuovere l’uguaglianza di genere, tuttavia, queste leggi non
migliorano la vita delle donne se non sono applicate. Non ci sono motivazioni legittime per
spiegare perché i governi falliscono nell’applicare pienamente – e rendere effettive – le leggi
nazionali e internazionali promulgate negli ultimi decenni per porre fine alla discriminazione e alla
violenza contro le donne. Una cosa è certa: uguaglianza e diritti potranno essere raggiunti quando
le donne parteciperanno attivamente al processo politico e quando la loro voce sarà ascoltata.
LA VIA D’USCITA
La crescita economica non basta per superare la povertà, specialmente per le donne e le ragazze
a cui è negato il giusto accesso al reddito, alle risorse e al potere. La crescita in molti paesi non
migliora la situazione dei gruppi emarginati e quindi un semplice incremento di reddito non è
sufficiente; la discriminazione e la disuguaglianza devono essere affrontate.
Le donne continuano a essere le più colpite da povertà, violenza, degrado ambientale e malattie.
Le donne continuano a essere obiettivo di conflitti armati e a subire restrizioni alla loro libertà e
autonomia.
La voce delle donne deve essere ascoltata. Il loro contributo deve essere riconosciuto e
incoraggiato. La partecipazione attiva delle vittime è una parte fondamentale di qualunque
strategia per superare la povertà.
Negli ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti nel comprendere che i diritti delle donne sono
diritti umani. Molti rapporti pubblicati evidenziano come gli stati abbiano fallito nel tutelare i diritti
umani delle donne. Nonostante i progressi nella comprensione e gli sviluppi nel diritto
internazionale, le vite di molte donne sono migliorate di poco: gli stati e le organizzazioni
internazionali devono lavorare più duramente per difendere i diritti delle donne nella pratica, con
una forte volontà politica volta ad assicurare l’uguaglianza.
TU PUOI FARE LA DIFFERENZA
Ognuno di noi ha un ruolo nel creare una volontà politica per il cambiamento. Possiamo mettere
alla prova i nostri governi per migliorare i diritti delle donne nel nostro paese, e in tutto il mondo,
attraverso una cooperazione internazionale.
Nel settembre 2009, tutti i governi si sono trovati d’accordo nel creare una nuova agenzia della
Nazioni Unite per le donne. Questa avrà una maggiore possibilità di aiutare l’Onu e i governi, con
la piena partecipazione della società civile, per garantire che le donne e le ragazze in tutto il
mondo godano pienamente dei loro diritti nella pratica. Questa nuova agenzia ha urgentemente
bisogno di un forte impegno politico e di un appoggio finanziario per consolidarsi. Un intervento in
questo momento potrebbe avere un effetto potente e strategico.
Prendi parte alla campagna globale delle Ong che richiede ai governi e all’Onu di assicurare che
alla nuova agenzia per le donne siano date le risorse, il personale e l’autorità di cui ha bisogno per
fare realmente la differenza per le vite delle donne di tutto il mondo:
http://www.amnesty.org/en/gear.