Sono stata spinta a scrivere questo articolo in risposta all’articolo di Lea Melandri che mi è stato inviato per mail da Libera Università delle Donne, articolo comparso su internazionale.it e soprattutto in risposta a tutte quelle donne che ogni tanto provano insofferenza per questa festa. Pensate veramente che eliminando la festa delle donne si elimineranno tutte quelle cattive abitudini di interpretare le ricorrenze come detta l’apoteosi della banalità e del consumismo? Allora eliminiamole tutte e continuiamo nella nostra completa inconsapevolezza del significato delle nostre azioni, della nostra lingua, abbattiamo tutti i musei e le archeologie (qualcuno ci ha già pensato), poiché ogni didascalia, ogni lapide, ogni ricorrenza dovrebbero farci pensare e qualche volta agire di conseguenza. Se la gente non lo fa, non è colpa delle Feste, né delle lapidi coperte di polvere, né delle archeologie lasciate all’incuria del tempo e delle meteorologie, ma delle male-interpretazioni postume dei miti e della storia.
A dire di Lea Melandri – “8 marzo: le mimose lasciatele sugli alberi. In casa, dopo un po’, fanno cattivo odore” – se non ho capito male, la Festa delle donne puzza di retorica. Ma questa giornata è un simbolo, non un contenitore nel quale certe donne non vogliono inserirsi o al limite si sentono troppo strette. Lasciamo la libertà a ciascuna di festeggiarla come vuole o come può, focalizzandoci piuttosto sul suo significato, senza dubbio una variabile nel tempo, ma non per questa meno densa di riferimenti storici e di emozioni di tutto rispetto.
Intanto a proposito di quanto lei dice – “Chissà perché la ricorrenza di un evento luttuoso” – quale è stato storicamente l’8 marzo – “è diventata, prima la “giornata” e poi “la festa della donna”” .- risponderei che le origini della festa della donna e soprattutto la data sono assai complesse, non prive di interpretazioni e manipolazioni, basta leggersi semplicemente wikipedia per averne un’idea e pensare che la domanda è mal posta. Io la trasformerei nella seguente – Chissà perché la connotazione politica che ha fatto nascere storicamente l’8 marzo, si è trasformata poi nella celebrazione di un evento luttuoso? – Riporto di seguito quanto riporta in particolare wikipedia all’indirizzo qui sopra:
“La connotazione fortemente politica della Giornata della donna, l’isolamento politico della Russia e del movimento comunista e, infine, le vicende della seconda guerra mondiale, contribuirono alla perdita della memoria storica delle reali origini della manifestazione. Così, nel secondo dopoguerra, cominciarono a circolare fantasiose versioni, secondo le quali l’8 marzo avrebbe ricordato la morte di centinaia di operaie nel rogo di una inesistente fabbrica di camicie Cotton o Cottons avvenuto nel 1908 a New York, facendo probabilmente confusione con una tragedia realmente verificatasi in quella città il 25 marzo 1911, l’incendio della fabbrica Triangle, nella quale morirono 146 lavoratori (123 donne e 23 uomini, in gran parte giovani immigrate di origine italiana ed ebraica). Altre versioni citavano la violenta repressione poliziesca di una presunta manifestazione sindacale di operaie tessili tenutasi a New York nel 1857, mentre altre ancora riferivano di scioperi o incidenti avvenuti a Chicago, a Boston o a New York. Nonostante le ricerche effettuate da diverse femministe tra la fine degli anni settanta e gli ottanta abbiano dimostrato l’erroneità di queste ricostruzioni, le stesse sono ancora diffuse sia tra i mass media che nella propaganda delle organizzazioni sindacali.”
Non sono quindi d’accordo con Lea Melandri che è liberissima di provare il desiderio imperativo che (dell’8 marzo) non se ne parli più – ed anche di sottolineare che sono – le donne considerate alla stregua di un gruppo sociale svantaggiato o come un “genere” da uguagliare o tutelare sulla base dell’ordine creato dal sesso vincente. – Io spesso mi sono trovata a discutere con donne che a volte sono le principali avversarie delle altre donne, non considero le donne una categoria uniforme, non considero le donne immuni dal fascino del potere, penso che spesso “le tutele” valgono soprattutto per le donne appartenenti a categorie sociali svantaggiate ed a loro che bisogna pensare. Insomma, per un doveroso paragone, non è che per far sentire il portatore di handicap o il diversamente abile uguale agli altri, è utile togliergli qualsiasi tutela …
Credo solo che oggi le donne, soprattutto le giovani, abbiano bisogno di punti di riferimento e di trovare un’identità di genere, che abbiano bisogno anche di molto altro. Secondo me non bisogna dimenticare la Storia ed anche la Storia del Femminismo, annegati in raffiche di revisionismo come siamo, c’è bisogno di creare dei gruppi di donne od unirsi a quelli che già ci sono (senza esclusione di uomini che vogliano unirsi a loro) che lavorino sul dialogo tra i sessi, visto il dilagare della violenza in famiglia di cui le donne spesso sono vittime. Ci sarebbe bisogno anche di dare maggior spazio culturale alle scoperte di Marija Gimbutas, archeologa e linguista lituana che introdusse nuovi punti di vista nell’ambito dell’interpretazione della mitologia, o sui modelli che la sociologa e saggista statunitense Riane Eisler propose poi nella distinzione tra Modello Mutuale e Modello Dominatore … Chissà perché di questo invece non se ne parla mai abbastanza. Sono d’accordo con Lea Melandri che le mimose vadano lasciate sugli alberi, basta saccheggiare e violentare la Natura, però la festa dell’8 marzo non si tocca, sarebbe come cancellare la festa della Repubblica nella scelta della quale “si ricordi”, si espresse per la prima volta il diritto al voto per le donne. Sarà auspicabile invece trasformare l’8 marzo sempre più in una ricorrenza impegnata e di riflessione, il lavoro è ancora tanto ma basta con l’auto-denigrazione. Oltre alle mimose, ai cioccolatini, al lavoro dei ristoranti, ci sono in questa giornata molte iniziative notevoli ed altre ne verranno, è una data che ogni anno ci dice qualcosa di diverso.
Tanto per cominciare allora eliminiamo con chiarezza la leggenda metropolitana che fa risalire la festa della donna alla commemorazione delle 123 operaie della fabbrica di camicie newyorchese Triangle Waist Company, morte il 25 marzo del 1911 nel rogo dell’edificio in cui lavoravano ed altre terribili occasioni, volte ad identificare le donne come sostanzialmente delle povere vittime sacrificali da compiangere. In questi termini sembra quasi il tentativo di riscattare una coscienza sporca, tanto le donne sono abituate a subire, come il culto della Ma-donna, assunta in cielo ma esclusa dalla triade maschile, una madonnina sempre vergine e sempre piangente, decaduta dal trono coniugale di Iside per fare da modello di sottomissione al Potere, ma intermediaria ad esso. Molte cose sono cambiate da allora, ma la società è ancora vittima di disinformazione, posta però sotto il bombardamento di notizie contraddittorie e di immagini tossiche, manipolazioni di ideologie che scatenano aggressività e divisioni – dīvide et īmpera – Le donne non hanno bisogno di imitare l’aggressività maschile né di subirla, ma forse di farsi promotrici, insieme agli uomini di buona volontà, di un nuovo modello, un “modello sociale mutuale” o almeno di essere informate senza deformazioni da parte di chi può e deve farlo.