È diffusa una percezione disincantata della politica, che fa dire a molte che le cose vanno male e che stiamo tornando indietro. A guardare la determinazione e la creatività delle donne che siamo e di quelle che l’UDI ha avvicinato con le sue iniziative, non pare che noi stiamo tornando indietro. Pare, invece, che a tornare indietro siano i poteri costituiti.A ben guardare “lo stato moderno” è fortemente impegnato, più che altro, a non concedere: togliere comporterebbe l’appannamento delle qualità indispensabili a collocarsi nella comunità dei paesi occidentali, contrapposta a quella “arretrata”.
_ A ben guardare, {{le donne tutte, anche quelle che non fanno politica, sono il più forte elemento di emancipazione sociale della società}} in generale e sempre più hanno fame di vera libertà e vera democrazia.

La politica delle donne – e le donne che fanno politica – si muovono, invece, {{troppo spesso sull’onda dell’emergenza}}.
_ Un agire difensivo che riduce lo spazio per la proposta che diventa sempre più esiguo e sempre più avvertito come “pericoloso”. Sembra quasi che il movimento delle donne prenda forza solo dalle risposte e che da esse misuri la sua forza.

La riapertura da parte dell’UDI di una {{vertenza pubblica sul terreno delle cause strutturali della violenza sessuata}}, nel 2005, è stata l’assunzione di una sfida e di una proposta naturalmente collocate fuori dalle alleanze tradizionali, anzi le abbiamo volute verificare con l’esperienza di tutti questi anni e consapevoli dell’eterno svantaggio dell’essere fuori dai luoghi dove si decide.

Abbiamo individuato nel femminicidio e nella violenza sessuata gli strumenti principali con cui gli uomini moderano i comportamenti femminili per garantire il mantenimento dell’ordine gerarchico patriarcale.
_ Scegliendo le parole, una ad una, abbiamo inaugurato una pratica politica dove il protagonismo dell’associazione è indiscutibile quanto inedito nella politica. A partire dalle esperienze fatte con le donne che si sono rivolte a noi in questi anni, ci siamo impegnate in una proposta di modifica della legge vigente, in proposte per protocolli di intesa con le istituzioni.

Se poi prendiamo in esame le risorse che gli ultimi tre governi hanno destinato al contrasto alla violenza, salta agli occhi che si mantengono pressoché equivalenti, cioè misere, anche calcolate rispetto all’ intero volume destinato a politiche di vario tipo.
_ E {{l’allarme sollevato dalle donne in qualche modo è stato – ed è – usato per veicolare provvedimenti impropri}}, magari annunciati con le parole stesse provenienti dall’indignazione femminile. Si tratta di atti che seguono la logica della fisiologia danno/riparazione. La logica del dopo, del guasto da riparare, supera il soggetto che l’ha subito in favore del bene della famiglia o per ristabilire le relazioni e le condizioni che lo hanno determinato.
_ Ciò va nella direzione dell’interesse generale che si stupisce solo ciclicamente del femminicidio.

Ciò fa disconoscere il numero reale delle prostituite e schiave straniere uccise, ciò delinea l’interesse a tollerare più donne invisibili “clandestine” tra i migranti. Mentre {{noi sappiamo, e lo sanno anche gli altri, che la prima causa di morte per le donne è la violenza sessuata}}.

Consolidare e {{normalizzare l’aiuto solidale delle donne, ha comportato la trasformazione dell’aiuto politico in un servizio}} che, per accedere alle risorse indispensabili alla continuità del lavoro, finisce per piegarsi alla regola della continua emergenza creata dalla minaccia della sottrazione dei fondi, nonché ad adattamenti che di fatto contrastano le finalità per le quali i centri nascono.
_ Non di rado le energie delle operatrici sono impegnate nel contrastare “le connivenze istituzionali” che si manifestano per i limiti della legge vigente, ma anche per la sua disapplicazione o per una normativa “concorrente” sulla famiglia tesa a rafforzare il controllo del capofamiglia. Una costruzione a cui vengono continuamente sottratti i mattoni.

Per tutto questo {{al fianco dei centri antiviolenza gestiti dalle donne è indispensabile una solidarietà che sia sciolta da legami di dipendenza economica}}. Una solidarietà in grado di esprimere la denuncia per produrre una azione politica di contrasto alle connivenze istituzionali che sostengono le gerarchie familiari, che sono alla base della moderazione violenta delle donne.

Bisogna allora ragionare su chi fa cosa e sull’esito delle scelte operate in questi lunghi anni. Sappiamo quanto le donne che gestiscono i servizi siano state e siano importanti ma sappiamo anche qual è il compito della politica, il nostro compito, che ci ha già portate lontane dalla “terziarizzazione del femminismo” .
_ {{Gestire servizi sussidiari non è, ora più che mai, il nostro compito}}.

Le donne che hanno scelto di stare nell’UDI, non hanno scelto né un collettivo, né un partito, né la cooperazione. L’UDI è un’associazione antica, ancora unica, che è cambiata con le donne, e alla quale le donne chiedono di fare politica.
_ Siamo consapevoli che dobbiamo fare quello che facciamo, e dobbiamo saperlo fare, per dare il nostro contributo alla nuova soggettività politica delle donne, stanca di guerre inutili e pronta a lanciare nuove sfide.

{{Le parole per dirlo…}}

Partiamo da questa citazione perché quello di cui abbiamo gran bisogno oggi siano proprio le parole per dirlo.
_ Per dire ‘violenza’, per dire ‘solidarietà’, per dire ‘sicurezza’, per dire ‘cultura’, per dire ‘politica’, per dire ‘famiglia’, per dire ‘relazioni’.
_ Per trovare parole che rimangano “accese” sul significato che noi abbiamo loro dato attraverso una ricerca ed un pensiero nostri.
_ Il pensiero che contraddice e che disturba un sapere “ufficiale”, che non si lascia contaminare, ma che dalla forza delle parole delle donne è insidiato e in qualche modo le imprigiona e le banalizza, conducendole alla normalizzazione e alla sterilizzazione politica. È la sfida continua dell’essere oltre i confini anche nel linguaggio.

L’emergenza della violenza fisica ai danni delle donne in un paese che ha normalizzato la violenza sulle donne, è conseguenza politica del lavoro di rafforzamento strutturale in questa direzione, a partire dal primato dell’uomo sulla donna.
_ Nella necessità di salvarsi si sono fatte includere nella politica dei rimedi che non “toccano le cause”, alimentando la suggestione che lo Stato lavori contro la violenza sessuata, senza in realtà aver spostato di una virgola la situazione.

La dimostrazione è senza dubbio data, tra l’altro, anche dal Ddl Pollastrini – Bindi [disegno di Legge, il n°2169->http://www.senato.it/leg/15/BGT/Schede/Ddliter/27549.htm], presentato il 25 gennaio 2007 dalla Ministra delle Pari Opportunità ed altri dieci).
_ Già dal titolo “{Misure di sensibilizzazione e prevenzione, nonché repressione dei delitti contro la persona nell’ambito della famiglia, per l’orientamento sessuale, l’identità di genere ed ogni altra causa di discriminazione}” {{nel quale la parola donna e la parola violenza non compaiono}} (benché sia passato ai posteri come il Ddl sulla violenza ed abbia scatenato associazioni, centri antiviolenza ed altre sul lavoro di proposte di emendamenti, limature ecc…), è chiaro che {{le fondamenta teoriche del progetto non appartengono alle donne}}, che non si sarebbero mai espresse in questi termini.

“Il presente disegno di legge (…) intende affrontare il tema della violenza contro le persone che più vi sono esposte, quali i minori, gli anziani e le donne, in modo integrato affrontando anche i delicati temi della violenza in famiglia o della violenza facilitata da relazioni di tipo affettivo o familiare. (…) In questo quadro si iscrivono anche le disposizioni relative alla violenza cosiddetta di genere (…) anche in relazione all’orientamento sessuale”.
_ {{Il concetto teorico del separatismo e della differenza scompaiono}} così definitivamente a favore di u{{na politica che, camuffata da ‘azione integrata’}}, ripristina l’approccio egualitario: le donne, anziani, immigrati, omosessuali tutti eguali son. Tutti egualmente deboli, tutti egualmente vittime.

Con buona pace del [50E50->http://www.50e50.it]: la cultura che ha partorito il Ddl sulla violenza può, al massimo, comprendere le percentuali e la normativa antidiscriminatoria. Ogni altro discorso parrà rivoluzionario e quindi velleitario, perché teso a scardinare un assetto senza la condivisione degli uomini.

Ebbene, in questo contesto culturale si cala {{la parte del Ddl relativa ai centri antiviolenza}}.
_ Essi sono collocati fra i soggetti ‘istituzionalmente preposti all’assistenza alle vittime dei delitti di violenza sessuale o commessi nell’ambito familiare’ ; il Ddl prevede, inoltre, l’istituzione di un registro in cui sono iscritti i centri antiviolenza che agiscono in ambito sovraregionale, registro collocato presso il Dipartimento per i diritti e le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri con lo scopo di monitorare l’esistenza e l’operatività dei centri antiviolenza, di garantire livelli minimi di prestazione il più possibile omogenei su tutto il territorio nazionale e di orientare eventuali politiche di intervento.
_ E’ ben noto che la Ministra Pollastrini all’epoca convocò i vari centri antiviolenza e l’Udi, il che appariva senza dubbio inebriante; però, a che fine?

A ben guardare, l’iniziativa ricalca lo schema del Governo che convoca le parti sociali quando intende adottare un Protocollo sul welfare, con l’obiettivo di adottare norme condivise e prevenire il conflitto sociale.
_ Sennonché, {{i Centri e l’Udi non possono essere definiti ‘parti sociali’}}.
_ Non sono infatti “nominalmente titolari” di un interesse generale, e una volta individuati come disturbanti, possono nella larghezza interpretativa consueta ai poteri, essere sostituiti, intercambiati, finché possibile.
_ Il risultato di quella convocazione – ovvero il Ddl, che solo in parte e solo lessicalmente ad essa s’è ispirato – dimostrava la inefficacia della convocazione stessa.

L’Udi, per lunga esperienza, ha imparato la lezione dell’esizialità della dipendenza dai riconoscimenti ufficiali: l’essere contradditore delle istituzioni, quindi non intercambiabile a discrezione del potere, è l’identità a cui ambisce.
_ Tuttavia, quel che è emerso con grande chiarezza, ed è, credo, il punto focale, è che {{in quel Ddl, peraltro di sinistra}}, e comunque scivolato giù per le scale di cantina, {{vi era l’intento di rimarcare e valorizzare la necessità di una centralizzazione del governo dei Centri}}.

Laddove si prevede, infatti, un {{registro nazionale}} con la funzione di orientare eventuali politiche di intervento si intende proprio questo: un governo dall’alto delle politiche dei Centri.

E così veniamo al punto: {{cosa sono, oggi, i Centri antiviolenza? Possono essere definiti luoghi di iniziativa politica delle donne?}}

Dagli anni settanta ad oggi le cose sono molto cambiate e se all’epoca i Centri erano per definizione un luogo di iniziativa politica delle donne, nel senso che l’idea stessa di un Centro antiviolenza era già fare politica delle donne, oggi non è necessariamente più così.
_ Vi sono territori in cui ciò accade, nel senso che il Centro continua ad essere riconosciuto come propulsore di politica delle donne.

Ma, più spesso, i Centri hanno, negli anni, esteso il proprio ambito di azione andando a riempire sempre più grandi vuoti lasciati dalle istituzioni, {{fino a svolgere una funzione chiaramente sussidiaria}}.

{{Sussidiarietà}} che, lo sappiamo bene, è il futuro prossimo dell’intero assetto dei servizi del nostro paese per sopperire alle incapacità della pubbliche amministrazioni, il che però non significa affatto che quei servizi non siano pubblici, ovvero riconducibili alla pubbliche amministrazioni.

Ebbene, dobbiamo avere chiarezza e consapevolezza intorno al fatto che quando i Centri erogano servizi pubblici, ciò fanno in un regime in cui è garantita la parità delle opportunità di accesso a tutti i soggetti che abbiano i requisiti di legge. Il che significa, ovviamente, che {{il Centro, per accedere ai finanziamenti, dovrà vincere la concorrenza di altri soggetti}} – alcuni già nati ma tanti altri nasceranno -, mossi da tutt’altre motivazioni culturali e politiche, ma in grado di fornire gli stessi servizi a costi inferiori.

{{In tale contesto, forte è il rischio della estrema incertezza della sopravvivenza dei Centri}} (più che mai con l’attuale governo) e del progressivo allontanamento dalla politica delle donne.

In un mercato del lavoro sempre più stagnante, poi, {{i Centri sono diventati spesso luoghi ove le giovani donne vanno per cercare un lavoro}} benché non abbiano magari neanche mai sentito parlare della politica delle donne o non siano interessate.
_ E’, insomma, {{giunto il momento di aprire nell’Udi una discussione intorno a questo punto}}, a partire dal fatto che l’iniziativa e la pratica politica rimangono dell’Udi, che, in relazione agli obiettivi che liberamente si dà, può collaborare o porsi anche come contraddittore rispetto alle Istituzioni ed ai Centri, laddove svolgano una funzione erogatrice di servizi in funzione sussidiaria rispetto alle Istituzioni.
_ Di tutto questo si è discusso nell’incontro del 1 giugno che si è tenuto nella Sede nazionale dell’UDI e abbiamo deciso di costruire un momento nazionale a ridosso della prossima autoconvocazione. A tal fine abbiamo cercato di riportare gli spunti più importanti del dibattito.
_ Cari saluti,

Stefania Cantatore e Stefania Guglielmi