La vicenda di Torino, partita con la denuncia di uno stupro (poi rivelatosi inventato) e culminata nel rogo del campo rom […] ha a buona ragione scatenato ampie riflessioni: sulla stampa, in tv, nei nostri discorsi quotidiani.
Molto si dice dell’odio razzista e violento che si è abbattuto sui rom torinesi; ponendo un po’ troppo spesso l’accento sulla loro innocenza, e dunque suggerendo inconsciamente che – fosse il fatto realmente accaduto – tutto sarebbe stato più comprensibile, da parte di alcuni forse anche giustificabile. Si spende molto inchiostro anche sul contesto di questa tragedia umana, fatto di periferie desolate, povere e impoverite (non solo economicamente), di gente stanca ed esasperata, di miserabili rom, miserabili abitanti del quartiere e miserabili ultras che, ironizza amaramente Liberazione , “tendono a scannarsi tra loro”, come tutti i miserabili di sempre.

Tutto vero, senz’altro. Vera la cecità dell’odio e del razzismo, vere le condizioni di degrado degli attori coinvolti, vere la paura e la stanchezza, vero il desiderio mal celato di un capro espiatorio da immolare.

Ma la vicenda propone riflessioni ulteriori, più generali perché relative a meccanismi ancora più sotterranei, forse. Ne fa cenno La Stampa, per voce di {{Massimo Gramellini }} , che racconta di quei “tre cerchi concentrici” che si stringono intorno a Sandra, la protagonista involontaria di tutto quanto: {{la famiglia, la comunità, la politica}} – strutture che dovrebbero, per definizione, proteggere e mediare, e invece diventano istigatrici e complici.Ma ancora non si esplicitano quei nessi che, sottesi alla vicenda, legano violenza e potere; né si parla di quanto spesso l’esercizio degli stessi passi per il corpo femminile, di quanto questioni cosiddette ‘di genere’ abbiano a che fare con questi concetti.

{{Violenza e potere sono le facce della stessa medaglia}}, in questa storia complessa eppure tristemente banale, trita e ritrita. E’ violenza quella che, magari senza volerlo, mette in atto la famiglia di Sandra, una ‘normale’ famiglia di credenti, dice lei a Repubblica. Una famiglia alla quale lei ha “promesso spontaneamente di non farlo prima del matrimonio”, una famiglia in cui tutti sono “d’accordo che certe cose non vanno bene”, in cui si sarebbe voluto che il ragazzo venisse a casa e “dicesse le sue intenzioni”, una famiglia che lei vorrebbe “non deludere più”. Una famiglia alla quale non si può raccontare, ma evidentemente nemmeno nascondere, la propria ‘prima volta’; della quale Sandra conserverà un ricordo angoscioso, fatto di garage e sensi di colpa e clandestinità e violazioni.

Quale altro nome ha, infatti, se non quello di {{‘violenza’}}, questa serie di {{dettami interiorizzati}}, destinati a normare la vita affettiva e sessuale di una giovane che è solo ‘figlia’ e ‘sorella’? E’ una violenza di cui questo piccolo nucleo è poco più che il portavoce, certo,perché le sue radici sono ben più profonde, e scavano nella storia di tutti (e, soprattutto, tuttE) noi. Affondano in una cultura le cui dinamiche sessiste e patriarcali, sostenute da un cattolicesimo integralista , continuano a rimanere le stesse di sempre: con le donne da irregimentare, i corpi e i desideri da regolare, la dignità della comunità (degli uomini) da salvaguardare a dispetto di quella del singolo, la forza da sfoggiare al primo accenno di sfida (da parte di altri uomini). Una cultura che in qualche modo ha fatto passare uno strano messaggio: quello che {{essere vittima di uno stupro sia più ‘onorevole’ che essere una giovane donna che decide di fare l’amore con il ragazzo di cui è innamorata.}} Sempre meglio vittima, che attrice consapevole: è più facile da spiegare al mondo esterno, alla comunità degli uomini giudici e censori, perché rappresenta meglio lo stereotipo di ‘donna’ e ‘figlia’ che hanno in mente.

{{Potere}}, invece, è quello che fa sì che questa violenza attecchisca, si radichi nel sentire comune, diventi normativa e impossibile da ridiscutere. Anche a costo di mettere a repentaglio la sicurezza e la vita di altre persone.

Potere e violenza, insieme, sono quelli che trasformano episodi di questo genere, di stupri (reali o presunti) di ‘{{donne nostre’}} da parte di uomini che non sono ‘dei nostri’, in vicende tra uomini: le donne escono immediatamente di scena, gli uomini imbracciano i forconi e si preparano alla guerra, proclamando slogan in stile {{dio-patria-famiglia}}. Colgono l’occasione, insomma, per mettere in scena ben altre priorità. E il focus si sposta immediatamente dall’ambito dei rapporti tra i sessi, a quello dei rapporti tra comunità, dove i ‘noi’ e i ‘loro’ sono gli uomini che appartengono a due diversi gruppi nazionali e/o etnici.

E’ così che nel 2007, all’indomani dello stupro-omicidio di Giovanna Reggiani da parte di un uomo rom, il Governo emana il decreto legge n.181, “Disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza”; subito dopo, viene sgomberato il campo rom di Porta Portese (Roma), i cui abitanti vengono espulsi. Forza Nuova, intanto, stampa manifesti in cui all’immagine di una donna che sta subendo una violenza si sovrappongono, a caratteri cubitali, due frasi: “Se fosse tua madre, tua moglie o tua figlia? Chiudere i campi nomadi, espellere i rom subito!”.

{{A Torino}}, il quartiere organizza da sé{{ la propria vendetta}}, fomentando la sete di violenza di un gruppo di ultras e mettendo in atto un vero e proprio pogrom anti-rom. Il pretesto è sempre lo stesso: difendere le ‘nostre donne’.

Traslare una violenza contro le donne in problema di sicurezza e di ordine pubblico serve un duplice scopo: incalzare la xenofobia e sollevare i ‘nostri’ uomini da ogni responsabilità. {{Il messaggio è che queste violenze hanno origini straniere, non maschili/machiste}}. Di fronte al fattaccio di cronaca, i ‘nostri’ uomini sono veloci a ergersi a paladini della giustizia, presto dimentichi del fatto che, in Italia, la stragrande maggioranza delle violenze contro le donne avviene tra le mura domestiche, per mano di padri, fratelli, compagni, mariti ed ex.
I movimenti delle donne hanno sempre sottolineato la doppia violenza che si abbatte non solo sulle vittime dirette, ma sul mondo femminile in genere, in ciascuna di queste occasioni, quelle in cui più chiaramente razzismo e sessismo si rivelano per quello che sono: i due prodotti dello stesso apparato ideologico etnocentrico e patriarcale. [[Vedi {{Elena Cesari}}, {Rom e sinti nell’Italia di oggi, dalla segregazione razziale ai pogrom,} Tesi di laurea, luglio2007.]]