Articolo di Valentina Silvestrini

Nessun artificio, nessuna manomissione, nessuna sovrastruttura capace di “entrare in conflitto” con il luogo e con i progetti esposti: come preannunciato, Yvonne Farrell and Shelley McNamara – fondatrici dello studio Grafton Architects e curatrici della 16. Mostra Internazionale di Architettura – scelgono di “rivelare le qualità delle Corderie, delle Artiglierie e del Padiglione Centrale”, lasciando al “contesto e all’aria di Venezia” la possibilità di addentrarsi nel percorso di visita. Una volontà che si manifesta fin dalle prime battute della loro mostra, con una vista prospettica unica, per proseguire passo dopo passo: letteralmente, un metro dopo l’altro, senza separazioni e partizioni. Ad accogliere i visitatori all’Arsenale è una sorta di svelamento, un “identikit” di questo spazio espositivo lagunare: due proiezioni, una disposta davanti all’altra, prendono il posto delle strutture recuperate dalla Biennale 2016 alle quali Alejandro Aravena aveva affidato l’incipit di Reporting from the front. Le immagini e i disegni proposti evocano l’identità architettonica del sito e ne riaffermano la storia produttiva; inoltre, fanno da preludio alla rassegna degli interventi presentati dagli studi internazionali selezionati dal duo, disposti secondo una disciplinata successione. Al di sotto della copertura in capriate lignee, in parte illuminata dalla proiezione del lettering Freespace, corre una doppia “guida grafica”, che rimarca il percorso esistente. In realtà intende rivelare, sia nell’antica misura in piedi veneti che in metri, la lunghezza dell’Arsenale, fornendo un parametro numerico progressivo. Passo dopo passo, appunto.

 

DAL MURO LIQUIDO ALLA “EROICA” RIGENERAZIONE DI CORVIALE

“Abbiamo scoperto inventiva e creatività a livello micro e macroscopico: edifici storici liberati dall’intelligenza degli architetti, edifici dimenticati rivisitati e riportati in vita, tipologie trasformative di abitazione, esigenze infrastrutturali tradotte in struttura pubbliche e civiche”, hanno dichiarato le curatrici, chiarendo le scelte compiute nella composizione dei settantuno partecipanti alla mostra Freespace. Dopo un avvio affidato al tema della progettazione di edifici scolastici e per la formazione delle giovani generazioni – un ambito nel quale proprio lo studio Grafton Architects si è distinto in quaranta anni di attività con realizzazioni in tutto il mondo -, la visita prosegue con alcuni esempi di recupero e riuso. Tra questi, il progetto per la trasformazione del convento di Santa Maria do Bouro in albergo, opera di Eduardo Souto de Moura, e il restauro di Sala Beckett, condotto a termine dallo studio catalano Flores & Prats Architects, a Barcellona. All’eterea interpretazione del tema Freespace proposta da Toyo Ito viene contrapposta “l’eroica impresa” dello studio italiano guidato da Laura Peretti, che sta portando avanti la “liberazione del Gigante” Corviale. La monumentalità dell’installazione lignea con cui l’architetto e docente Walter Angonese – un progettista che “si occupa con successo di progetti piccoli e grandi”, come sottolineano le curatrici, qui presente con il Centro Visitatori presso il Lago Carezza – precede di qualche passo la proiezione de video Trees Down Here, commissionata dallo studio anglosassone 6a architects: un “affiancamento” che sembra condurre il pubblico verso una possibile riflessione sull’uso dei materiali nell’architettura. Interventi più sperimentali si susseguono verso la chiusura di questa prima parte di Freespace: dal “muro liquido”, generato da acqua e sapone, dell’atelier di Riccardo Blumer – un altro professore e architetto, proprio come Yvonne Farrell and Shelley McNamara – che si forma e scompare nel giro di pochi istanti alla trasparenza, alla spirale in acrilico dei giapponesi Kazuyo Sejima + Ryue Nishizawa / SANAA; dalle trame dell’architettura vernacolare degli indonesiani dello studio andramatin fino al multiforme ambiente di Dorte Mandrup A/P.

Architetto con specializzazione in allestimento e museografia, si è formata presso l’Università La Sapienza e la Scuola Normale Superiore di Pisa, dove ha frequentato il “Corso di alta formazione e specializzazione in museografia”. Ha intrapreso il proprio percorso professionale in parallelo con gli studi, occupandosi di allestimenti museali, fieristici ed eventi.​ ​È stata assistente alla progettazione di mostre presso lo studio “Il Laboratorio srl” (Roma, 2004/2007); ha svolto un internship all’ufficio Eventi Speciali di Pitti Immagine srl (Firenze, 2008). All’ICE – Istituto nazionale per il Commercio Estero (Roma, 2008/2010) ha ricoperto il ruolo di assistente alla progettazione di layout espositivi e alla direzione lavori, recandosi in centri espositivi ​in Giappone, Russia e Germania. ​Ha curato il coordinamento eventi e ​la​​​ comunicazione​ della FUA – Fondazione Umbra per l’Architettura (Perugia, 2011)​.​ ​​​​​Ha scritto e scrive per ​Abitare, ​abitare.it, ​domusweb.it, ​Living, Klat, Icon Design, Grazia Casa e Cosebelle Magazine, di cui è caporedattrice design.​ ​Dal 2012 collabora con Artribune​.​