Il solito dibattito sulla querelle del velo islamico, su cui centinaia di interventi sono già stati profusi da tutti i canali televisivi, ha trovato ieri un ulteriore spazio nel palinsesto di La7. Il merito va a Ferrara che ha dedicato al tema del “corpo” e del “burqa” l’intera puntata di Ottoemezzo. Già il titolo appare un tantino sensazionalista. Infatti, la trasmissione ruota attorno alla questione “vietare o non vietare alle donne islamiche in Italia di portare il velo”. Cosa c’entri il burqa resta un mistero. Se si fosse parlato di Afghanistan avrebbe avuto un senso un titolo sulle donne, il corpo e il burqa, ma nel nostro paese, qualcuno ne ha mai visto uno?

Il titolo purtroppo non è l’unico sproposito della trasmissione, che ha come protagoniste/i l’onorevole di AN Daniela Santanchè, l’eurodeputato Lega Nord Mario Borghezio, la giornalista algerina del quotidiano “Al Watan” , Nacera Benali e l’onorevole Paola Balducci dei Verdi. La confusione tra i termini burqa e nijab, fatta notare giustamente da Nacera Benali durante il programma, è una pecca di minor importanza rispetto all’elemento di fondo, su cui l’intera trasmissione si basa: {{l’arroganza con cui si pretende che a decidere del e per il corpo delle donne siano ancora degli uomini}}.

La libertà di opinione e di pensiero, certamente, deve garantire che ognun@ possa esprimere il proprio punto di vista, ma che uomini di differenti orientamenti culturali, politici o religiosi tentino perennemente – e spesso riescano anche – a imporre una qualsiasi legge che riguardi il corpo delle donne è qualcosa di inammissibile. Sentire Ferrara o Borghezio esprimersi in merito risulta del tutto inaccettabile. Che si tratti del velo, della 194, della fecondazione assistita o della violenza sulle donne {{c’è sempre un padre-padrone-prete a voler legiferare}}. Non vogliamo scadere nella retorica, ma la continua intromissione dei vari “lui” nelle questioni di genere, rende ben poco retoriche parole come “il corpo è mio e lo gestisco io”. Un vecchio slogan, è vero, ma a quanto pare per niente fuori luogo.

Nel corso di Ottoemezzo, la giornalista algerina Nacera Benali si ritiene d’accordo sul divieto di indossare il velo per le minorenni, ma tenta di far capire che {{per molte adulte il velo è una scelta e non un’imposizione}}. Non trova molto spazio il suo intervento, a cui si sovrappone Borghezio insistentemente, finché Ferrara battendo sul divieto di coprire il capo per le minorenni cerca di evidenziare come ci sia su questo punto un totale accordo con Santanchè. Il tentativo però fortunatamente non riesce e la giornalista algerina nega una sua vicinanza di posizioni con la deputata di AN, schierandosi più dalla parte dell’onorevole Balducci. L’onorevole dei Verdi parla infatti di dialogo più che di imposizione di regole.

Infine, Santanchè dice di non ricordare che le donne italiane abbiamo mai coperto il capo. Qualcuna le ricorda che nelle nostre campagne fino a pochi anni fa era un’usanza molto diffusa, allora l’onorevole ribatte che quello indossato “dalle nostre nonne era in segno di modestia o per lutto” e nessuno glielo aveva di certo imposto. Quindi, prima dice di non aver memoria di donne italiane dal capo coperto e poi afferma con sicurezza che quelle che lo hanno portato non erano comunque state costrette da nessun uomo, come invece avviene nell’Islam.

L’ambivalenza non deve preoccupare, basta visitare il suo sito internet, per capire come la sua sia una dissonanza cognitiva di fondo. Nell’home page la sua immagine è di fatto divisa a metà: da una parte “la donna”, di colore rosa, da cui si può accedere a una specie di blog sulla sua vita privata stile Vanity Fair, fatta di casa e figli; cliccando, invece, sulla parte celeste, “il politico”, ci si inoltra nell’area dedicata alla sua carriera in AN.

Se{{ infrangere il confine tra sfera pubblica e sfera privata è stato una delle principali aspirazioni della cultura femminista}}, possiamo dire che l’onorevole marca chiaramente la sua lontananza da quelle terre, il che è forse anche nei suoi intenti. Ma sdoppiarsi in donna in rosa e in “politico” in azzurro è forse eccessivo, non serve arrivare a tanto per far capire che le proprie scelte politiche sono di fatto inconciliabili con le esigenze e le battaglie delle donne.