Nelle ultime settimane, con l’approssimarsi della discussione in aula del disegno di legge sulle unioni civili, il dibattito sul tema in Italia si è fatto sempre più intenso, e a tratti più confuso. Per questo ho pensato di proporre un supplemento alla newsletter quindicinale che ormai da un anno dedico alle politiche sull’eguaglianza di genere e la non discriminazione, per contribuire a chiarire i termini del confronto, sottraendoli il più possibile ai rischi di contrapposizione ideologica e collocandoli invece – come deve essere – all’interno di una cornice europea e internazionale. Ricordo infatti che il nostro paese arriva a questa prova con grande ritardo rispetto agli altri paesi occidentali, essendo rimasto l’unico stato fondatore dell’Unione Europea sprovvisto di una legislazione in materia; inoltre, ci arriva dopo essere stato chiamato a colmare questo vuoto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 2010, dal Parlamento Europeo, dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 21 luglio 2015, e dalle Nazioni Unite nell’ambito della Revisione Periodica Universale.

Nel merito, sono due i punti di maggiore frizione del provvedimento attualmente in discussione (il ddl 2081 Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze): il primo è la distinzione tra l’unione civile come “specifica formazione sociale” e il matrimonio egualitario; il secondo è l’adozione del figlio del/della partner, cosiddetta stepchild adoption.

Per quanto riguarda lo statuto delle unioni civili, il provvedimento che discuteremo tra pochi giorni introduce nel nostro ordinamento un nuovo istituto, diverso dal matrimonio, che si applica solo alle coppie dello stesso sesso. Il riferimento è all’art. 2 della Costituzione ( La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità). Sono quindi definiti i diritti e i doveri previsti per coloro che formano un’unione civile, incluso l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione.

Rispetto alla stepchild adoption, Claudia Mancina in un recente articolo sull’ Unità propone di usare la formula “adozione coparentale” o “adozione interna”, perché – se il termine inglese crea confusione – deve essere invece chiaro di cosa stiamo parlando.

Nella normativa italiana, la possibilità di adottare il figlio del/la partner (previo consenso di quest’ultimo e una volta accertato da parte del Tribunale che tale adozione corrisponda all’interesse del bambino) per le coppie eterosessuali esiste da oltre trent’anni (legge 4 maggio 1983, n. 184). Il ddl 2081 intende estendere questo diritto anche alle coppie dello stesso sesso che formano un’unione civile. Cosa significa? Che le madri o i padri “sociali”, cioè quelli che spesso crescono il bambino fin dalla primissima infanzia accanto alle loro madri o padri legali, possono essere riconosciuti attraverso la stepchild adoption come genitori a tutti gli effetti. Perciò nel ddl non si parla di adozione di minori da parte di coppie omosessuali o di single; si parla invece di un legame che già esiste, a cui dare riconoscimento giuridico.

Come affermano gli oltre 620 magistrati, avvocati, docenti firmatari dell’appello pubblicato in questi giorni dal portale giuridico articolo29, “il riconoscimento giuridico della relazione anche nei confronti del genitore sociale assicura al bambino i diritti di cura, di mantenimento, ereditari ed evita conseguenze drammatiche in caso di separazione o intervenuta incapacità o morte del genitore biologico, salvaguardando la continuità della responsabilità genitoriale nell’esclusivo interesse del minore. Queste bambine e questi bambini esistono. Il Legislatore non può cancellarli, non può voltarsi dall’altra parte, ignorandone le esigenze di protezione.”

Nel resto d’Europa e del mondo occidentale, il riconoscimento di pari diritti alle coppie dello stesso sesso è andato avanti nell’ultimo decennio a passo sempre più spedito. Non esiste più una spaccatura netta tra il Nord e il Sud dell’Europa o tra l’Est e l’Ovest. Tra gli ultimi paesi ad aver esteso il matrimonio a persone dello stesso sesso troviamo la cattolica Irlanda, mentre l’Estonia ha introdotto gli accordi di convivenza nel 2014 e la Grecia le unioni civili alla fine del 2015. I soli paesi dell’Ue, oltre all’Italia, privi di una norma a riguardo sono: Cipro, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Bulgaria e Romania.

È insomma in atto, in Europa e in tutto il mondo occidentale, un avanzamento sul fronte dei diritti che non può essere bloccato con proibizioni antistoriche e sbarramenti ideologici. Servono, come ha scritto in un ottimo editoriale il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, “buone leggi che tengano conto dei cambiamenti della nostra società, attente ai diritti di queste nuove coppie e a quelli dei bambini”.

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1. Scheda sintetica

Unione civile L’unione civile è un istituto giuridico finalizzato a riconoscere diritti e doveri delle coppie di fatto, ovvero non unite in matrimonio.

Poiché l’istituto del matrimonio è tradizionalmente riservato alle coppie eterosessuali, l’unione civile nasce soprattutto per dare riconoscimento giuridico alle coppie omosessuali. Tuttavia, in molti ordinamenti l’unione civile non fa distinzione tra coppie etero e omosessuali; d’altro canto, sono sempre più numerosi i paesi in cui è possibile il matrimonio egualitario (v. sotto).

In particolare, l’istituto dell’unione civile serve a regolamentare aspetti importanti della vita della coppia quali: successione e diritto all’eredità; diritto alle informazioni sulla salute del/la partner e a prendere eventuali decisioni nei casi in cui non possa farlo l’interessato/a; diritto alla pensione di reversibilità; diritto a subentrare in contratti (come quello di locazione) intestati al/la partner deceduto/a; adozione dei figli.

L’istituto dell’unione civile esiste in moltissimi Paesi europei ed extraeuropei; nelle singole legislazioni è declinato in modi diversi, che dipendono sia dagli orientamenti vigenti nel codice civile, sia dalle scelte politiche concernenti i diritti civili compiute in sede legislativa.

Stepchild adoption La stepchild adoption (letteralmente “adozione del/la figliastro/a”) è il meccanismo che permette a uno dei due partner di una coppia riconosciuta giuridicamente di adottare il figlio dell’altro partner.

Questo meccanismo (che per chiarezza si potrebbe definire anche “adozione coparentale” o “adozione interna”) serve a garantire ai bambini la stabilità familiare e la continuità affettiva di cui hanno bisogno per crescere, evitando in particolare che, in caso di morte del padre o della madre, il figlio non si trovi giuridicamente privato anche del genitore “sociale” con cui ha vissuto fino a quel momento. In Italia, finora di questo meccanismo possono godere soltanto i figli di uno dei due coniugi di una coppia eterosessuale sposata ( legge 4 maggio 1983, n. 84, art. 44).

La stepchild adoption è un meccanismo del tutto diverso dall’adozione, poiché il minore coinvolto è già figlio di uno dei due partner della coppia.

Formazione sociale
In base all’art. 2 della Costituzione, “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Per formazione sociale, secondo la sentenza 138/2010 della Corte Costituzionale, si deve intendere “ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso”.

Matrimonio egualitario L’espressione “matrimonio egualitario” (o anche “omosessuale” o “gay”) indica le soluzioni legislative, in vigore in numerosi Paesi, che permettono di sposarsi – alle stesse condizioni – alle coppie eterosessuali e a quelle formate da persone dello stesso sesso.

2. In Europa
La situazione nei singoli paesi
La maggior parte dei paesi dell’Unione Europea ha legiferato in materia di unioni civili e di matrimonio egualitario, in molti casi contemplando anche la possibilità delle adozioni.

I paesi UE in cui vige il matrimonio egualitario sono Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito (tranne l’Irlanda del Nord), Spagna, Svezia.
Le unioni civili, in forme e con denominazioni diverse, sono state istituite in Austria, Croazia, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Slovenia, Spagna, Ungheria.
Tra i paesi in cui sono previste le adozioni per le coppie dello stesso sesso figurano Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna e Svezia.
La stepchild adoption è consentita in Finlandia, Germania e Groenlandia.
I paesi UE privi di una legislazione in materia di unioni civili e/o di matrimonio egualitario sono Bulgaria, Cipro, Italia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia.
Per quanto riguarda altri paesi europei non UE, l’Islanda prevede il matrimonio egualitario e le adozioni; stessa cosa per la Norvegia, che consente anche l’accesso alla fecondazione assistita; in Svizzera sono previste le unioni civili.

I pronunciamenti delle istituzioni europee
Uno dei principi fondativi dell’Unione Europea è che tutti i cittadini dell’Unione hanno gli stessi diritti, indipendentemente dalla loro origine, nazionalità, condizione sociale, dal loro credo religioso o orientamento sessuale. Il Parlamento Europeo ha espresso in numerosi documenti il convincimento che gli Stati membri debbano garantire alle coppie dello stesso sesso parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie “tradizionali”, in particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti sociali. Ne ricordo qui alcuni.

Nella Risoluzione del 13 marzo 2012 il Parlamento Europeo “si rammarica dell’adozione da parte di alcuni Stati membri di definizioni restrittive di «famiglia» con lo scopo di negare la tutela giuridica alle coppie dello stesso sesso e ai loro figli; ricorda che il diritto dell’UE viene applicato senza discriminazione sulla base di sesso o orientamento sessuale, in conformità della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”.

Nella Relazione sullo stato dei diritti fondamentali nell’Unione Europea (2013/2014), approvata l’8 settembre 2015, il Parlamento Europeo afferma che “i diritti fondamentali delle persone LGBTI sarebbero maggiormente tutelati se esse avessero accesso a istituti giuridici quali coabitazione, unione registrata o matrimonio; plaude al fatto che diciotto Stati membri offrano attualmente queste opportunità e invita gli altri Stati membri a prendere in considerazione tali istituti; rinnova pertanto il suo invito alla Commissione a presentare una proposta riguardante una disciplina avanzata per il pieno riconoscimento reciproco degli effetti di tutti gli atti di stato civile nell’Unione europea, compresi il riconoscimento giuridico del genere, i matrimoni e le unioni registrate, al fine di ridurre gli ostacoli discriminatori di natura giuridica e amministrativa per i cittadini che esercitano il loro diritto di libera circolazione”. Lo stesso indirizzo è stato ribadito dalla più recente Relazione sullo stato dei diritti fondamentali nel mondo nel 2014 e sulla politica dell’Unione Europea in materia.

3. Nel Mondo
La situazione nei singoli paesi

I paesi extraeuropei in cui vige il matrimonio egualitario sono Canada, Stati Uniti, Argentina, Messico (nella capitale e in cinque stati), Uruguay, Sudafrica e Nuova Zelanda.
Le unioni civili, in forme e con denominazioni diverse, sono state istituite in Canada, Stati Uniti, Argentina, Brasile (dove nel 2013 una decisione del Consiglio nazionale di giustizia ha legalizzato di fatto anche il matrimonio egualitario), Cile, Colombia, Ecuador, Uruguay, Messico, Sudafrica, Israele, Taiwan, Australia e Nuova Zelanda.
Tra i paesi in cui sono previste le adozioni per le coppie dello stesso sesso figurano Canada, Stati Uniti, Argentina, Brasile, Messico, Uruguay, Sudafrica, Australia e Nuova Zelanda.

4. In Italia
In Italia la Corte Costituzionale si è pronunciata per la prima sulle unioni tra persone dello stesso sesso con la sentenza 138/2010. Secondo la Consulta, si deve intendere per formazione sociale, di cui all’ art. 2 della Costituzione, “ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”. La sentenza distingue poi le unioni omosessuali dal matrimonio: “Si deve escludere che l’aspirazione a tale riconoscimento – che necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia – possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio”. Infine, attribuisce al Parlamento, “nell’esercizio della sua piena discrezionalità”, il compito di “individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni”.

Nel 2012, una sentenza della Suprema Corte di Cassazione ( n. 4184/2012) ha stabilito che le coppie omosessuali conviventi in stabili relazioni di fatto – in quanto titolari del diritto alla vita familiare, del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni – hanno il pieno diritto di rivolgersi al giudice per far valere il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata.

La sentenza 170/2014 della Corte Costituzionale chiama ancora una volta in causa le unioni civili, rilevando l’incostituzionalità della legge 164/1982 laddove prevede l’automatica cessazione del vincolo coniugale a seguito di una rettificazione di attribuzione di sesso. La Consulta, come già nella sentenza 138/2010, afferma che l’art. 2, laddove protegge e tutela le formazioni sociali, è chiamato a tutelare anche le unioni omosessuali intese come formazioni sociali connotate dalla stabile convivenza fra persone del medesimo sesso cui spetta il fondamentale diritto di vivere liberamente la propria condizione di coppia. Dal che deriva che spetta al Parlamento garantire riconoscimento e disciplinare le misure di protezione ritenute più opportune per regolare tali unioni.

In merito al riconoscimento delle unioni civili si sono espresse anche le Nazioni Unite nelle raccomandazioni all’Italia elaborate nell’ambito dell’ultima Revisione Periodica Universale (ottobre-novembre 2014). L’Italia ha accolto 176 raccomandazioni su 186, incluse quelle relative al riconoscimento giuridico delle unioni tra persone dello stesso sesso.

A luglio del 2015 è arrivata invece da Strasburgo la sentenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (Cedu) che condanna l’Italia per la violazione dei diritti di tre coppie omosessuali, in particolare per quanto riguarda l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: il diritto al rispetto per la vita privata e familiare. Le coppie omosessuali, afferma la Corte, hanno le stesse necessità di riconoscimento e di tutela della loro relazione che hanno le coppie eterosessuali. Per questo, l’Italia e gli Stati firmatari della Cedu devono rispettare il loro diritto fondamentale ad ottenere forme di riconoscimento sostanzialmente allineate con il matrimonio.

A ottobre del 2015 la Corte di Appello di Milano ha ordinato la trascrizione dell’adozione di una minore da parte della propria madre sociale nell’ambito di una coppia di donne. Per la prima volta in Italia la seconda madre di una coppia lesbica si è vista riconoscere tutti i doveri e i diritti che derivano dalla filiazione naturale nei confronti della bambina partorita dalla sua ex compagna.

620 docenti di diritto, magistrati e avvocati hanno firmato l’ appello promosso da articolo29 a favore della stepchild adoption come misura a tutela dei bambini: “Quali giuristi (docenti universitari, giudici, avvocati) impegnati sui temi dei diritti fondamentali, del diritto di famiglia e dei minori, non possiamo non rilevare che l’adozione del figlio da parte del partner del genitore biologico(c. d. “adozione in casi particolari”), diretta a dare veste giuridica ad una situazione familiare già esistente di fatto, rappresenta la garanzia minima per i bambini che vivono oggi con genitori dello stesso sesso”, affermano i sottoscrittori. “Il riconoscimento giuridico della relazione anche nei confronti del genitore sociale assicura difatti al bambino i diritti di cura, di mantenimento, ereditari ed evita conseguenze drammatiche in caso di separazione o intervenuta incapacità o morte del genitore biologico, salvaguardando la continuità della responsabilità genitoriale nell’esclusivo interesse del minore”.

Per il 23 gennaio le associazioni Lgbt (Arcigay, ArciLesbica, Agedo, Famiglie Arcobaleno, Mit) hanno lanciato una mobilitazione capillare nelle principali piazze del Paese. #SVEGLIATITALIA è l’hashtag con cui si diffonde il tam tam per le manifestazioni che si stanno organizzando in tante città. Tra le adesioni alla mobilitazione, oltre a moltissime sigle del mondo gay, lesbico e transgender, si trovano anche quelle di grandi organizzazioni come Arci, Amnesty International, Cgil.