Bambini sui banchi di una scuola bruciata. Foto Unicef

Nel resoconto fornito dall’Unicef si utilizza il termine universale bambini. Noi abbiamo utilizzato un linguaggio di genere mettendo in evidenza la presenza anche di bambine e giovani ragazze, sapendo che in situazione di difficoltà nei paesi poveri e nelle zone di conflitto ad essere le più penalizzate sono proprio le bambine.

Malala, la giovane studentessa pachistana che nel 2012 subì un attentato ad opera dei talebani per avere voluto difendere il diritto allo studio per le bambine e le ragazze della valle Swat, in Pachistan. Sopravvissuta all’attentato è ritornata a scuola in Inghilterra. all’ Onu  ha tenuto un discorso sul diritto allo studio, sulla pace e sulla tolleranza: ‘Un bambino, un insegnante, un libro, una penna possono cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione.’

Secondo l’Unicef, negli ultimi 10 anni la percentuale di bambin* e giovani tra i 6 e i 15 anni che non vanno a scuola è appena diminuita: oggi l’11,5 % dei bambini e delle bambine in età scolare – pari a 123 milioni – non frequenta la scuola, nel 2007 erano il 12,8% (ovvero 135 milioni).

I bambini e le bambine che vivono nei paesi più poveri del mondo e nelle zone di conflitto sono colpiti in maniera sproporzionata. Dei 123 milioni di bambin* che non frequentano le scuole, il 40% vive nei paesi meno sviluppati e il 20% in zone di conflitto. Le guerre continuano a minacciare – e a invertire – i progressi fatti nel settore dell’istruzione. I conflitti in Iraq e Siria si sono tradotti in altri 3,4 milioni di bambin* che non seguono percorsi scolastici, portando il numero dei bambin* fuori dalle scuole in Medio Oriente e in Nord Africa ai livelli del 2007 con circa 16 milioni di bambin*.

A livello globale, il 75% dei bambini e delle bambine in età da scuola primaria e secondaria inferiore che non frequentano la scuola si trova in Africa sub sahariana e Asia del Sud, dove ci sono alti livelli di povertà, rapido aumento della popolazione e ricorrenti emergenze.

Alcuni progressi però sono stati fatti. L’Etiopia e la Nigeria, che sono tra i paesi più poveri del mondo, negli ultimi 10 anni hanno fatto i più grandi progressi nel tasso di iscrizione a scuola di bambin* in età da scuola primaria con un aumento, rispettivamente, di oltre il 15% e di circa il 19%. Secondo l’Unicef, i diffusi livelli di povertà, i conflitti protratti nel tempo e le emergenze umanitarie complesse hanno causato l’arresto di questo tasso, che necessita di maggiori investimenti per rispondere alle cause che tengono i bambini e le bambine vulnerabili fuori dalle scuole.

“Gli investimenti mirati a far crescere il numero di scuole e insegnanti per far fronte alla crescita della popolazione non sono sufficienti. Questo approccio tradizionale non riporterà i bambini e le bambine più vulnerabili a scuola (e non li/le aiuterà a sviluppare il proprio pieno potenziale) se continueranno ad essere intrappolati in povertà, deprivazione e insicurezza – ha dichiarato Jo Bourne, responsabile Unicef per l’Istruzione -. I governi e la comunità globale devono focalizzare i loro investimenti sull’eliminazione di fattori che in primo luogo non consentono ai bambini e alle bambine di andare a scuola, dovrebbero inoltre rendere le scuole sicure e migliorare insegnamento e apprendimento”.

La mancanza di fondi per l’istruzione nelle emergenze sta colpendo l’accesso alle scuole dei bambini e delle bambine che vivono in situazioni di conflitto. In media, meno del 2,7% degli appelli umanitari a livello globale sono dedicati all’istruzione. Nei primi 6 mesi del 2017, l’Unicef ha ricevuto soltanto il 12% dei fondi richiesti per garantire istruzione ai bambini e alle bambine che vivono in situazioni di crisi. Sono necessari più fondi per rispondere al numero crescente e alla complessità delle crisi e per dare ai bambini e alle abmbine la stabilità e le opportunità di cui hanno bisogno. “Imparare garantisce ai bambini colpiti dalle emergenze un aiuto nel breve periodo, e nel lungo periodo rappresenta un investimento cruciale per lo sviluppo delle loro società. Ma gli investimenti nell’istruzione non rispondono alla realtà di un mondo instabile. Per rispondervi, è necessario che ci siano fondi per l’istruzione nelle emergenze maggiori e meglio pianificati”, ha concluso Bourne.

Malala 5 anni fa  consegno al segretario generale dell’Onu una petizione di 4 milioni di firme, raccolte online, per chiedere ai leader del mondo fondi per nuovi insegnanti, aule, libri e l’immediato stop allo sfruttamento dei bambini nei luoghi di lavoro, ai matrimoni forzati e al traffico dei minori perché si possa davvero garantire l’istruzione primaria universale entro il 2015. Siano nel 2017 e i dati Unicef confermano che ben poco è cambiato!

Dovunque nel mondo, anche nella nostra Europa con le sue comunità Rom, ci sono tante piccole Malala che lottano per quello che dovrebbe essere un diritto. Spesso i ‘talebani’, dall’Africa all’Asia, le bambine ce li hanno in casa: hanno il volto di un padre che vede un peso economico in una figlia che vuole andare avanti negli studi. A volte l’istruzione negata è una questione di insormontabili distanze, una scuola lontana chilometri di savana dalla propria abitazione. A volte sono i fattori atmosferici a costringere migliaia di ragazze ad abbandonare i propri sogni sacrosanti. E’ anche una questione economica, naturalmente. Dimenticando però che il mancato accesso all’istruzione per una bambina ogni tre nel mondo è un’aberrazione che comporta anche un costo finanziario, una perdita nel prodotto Interno Lordo di una nazione, ancora più inaccettabile in tempi di crisi.