Il primo giorno di febbraio è morta la poeta polacca Wislawa Szymborska, Nobel per la letteratura nel 1996. Quando anni fa ho cominciato a leggere le sue poesie non avevo mai visto una sua foto e, in un’epoca in cui l’immagine spesso viene prima del senso, mi colpì molto il fatto che una presenza importante, ancora in vita, con una voce così alta e originale, non avesse avuto spazio adeguato nel mondo dell’informazione in modo tale da mostrarci il suo viso, la sua reale sostanza corporea.L’incontro con la sua poesia è stato per me fulminante: uno squarcio che si apriva sul significato del vivere e sull’intelligenza acuta dell’atto del guardare.

A un certo punto mi sono trovata nella {{emozionante necessità}} di provare a rivolgermi a lei, con grande umiltà, attraverso la parola poetica. Ho ritrovato, scritta nel 2007 a mano su un foglietto, questa poesia che trascrivo per condividere con altre/i un piccolo spazio a lei dedicato.
_ “{Poesia chiama poesia/ per questo ti leggo, Szymborska/ e ti penso gentile d’aspetto/ minuta occhi curiosi/ che trapassano corazze/ e intelligenze smuovono appannate./ Mi si impone come vedi/ il tuo corpo taciuto./ Sarà quello vero?Non so./ Per questo, Szyimborska Wislawa/ sommessamente ti dico:/ ha sempre un corpo d’origine/ la poesia/ e il tuo mi manca.}”

Mi riferivo anche al fatto che{{ mi sembrava assente il rapporto col suo corpo sessuato,}} almeno nelle poesie lette fino ad allora.

Quello che più si impone leggendo le sue opere è {{lo stupore di fronte al reale}}: anche la situazione più apparentemente banale si carica di significati insospettabili, tra gioco, ironia, tragedia, intelligenza viva delle cose. {{Il linguaggio della quotidianità }} diventa tramite lei {{parola poetica}}, accessibile a tutti, come è da più parti riconosciuto, anche perché pone il lettore di fronte al manifestarsi della esistenza dell’umano, riconoscibile in ciascuna/o di noi. E’ diventata per questo molto nota e apprezzata anche da chi non legge di solito poesie.

Sono state scritte sui giornali pagine intense su di lei in questi giorni; {{Roberto Galasso}}, ad esempio, sul Corriere della Sera scrive: “Molti hanno letto la Szymborska come maestra di una disciplina indispensabile e spesso ignorata: l’arte di essere vivi.”

Mi dispiace che non sia più tra noi, mi dispiace di non poterla ringraziare del grande dono che ci ha lasciato attraverso la sua poesia e quel suo modo garbato e riservato di abitare il mondo, nonostante il conferimento del premio Nobel, nonostante i miti del suo/nostro tempo che spingono verso un apparire a tutti i costi e un narcisismo che rasenta troppo spesso la volgarità.

Tra le sue raccolte di poesia segnalo “{Vista con granello di sabbia}”, {“Discorso all’Ufficio oggetti smarriti}”, “{letture facoltative”}.

Dal volume “ {Wislawa Szimborska – La gioia di scrivere}”- Gli Adelphi, a cura di {{Pietro Marchesani}}, suo traduttore, ecco le ultime due poesie:

VERMEER
_ {Finché quella donna del Rijksmuseum
_ nel silenzio dipinto e in raccoglimento
_ giorno dopo giorno versa
_ il latte dalla brocca nella scodella,
_ il Mondo non merita
_ la fine del mondo.
}

METAFISICA
_ E’ stato, è passato.
_ E’ stato, dunque è passato.
_ In una sequenza sempre irreversibile,
_ poiché tale è la regola di questa partita persa.
_ Conclusione banale, inutile scriverne,
_ e non per il fatto incontestabile,
_ un fatto per i secoli dei secoli,
_ per l’intero cosmo, qual è e sarà,
_ che qualcosa è stato davvero,
_ finché non è passato,
_ persino il fatto
_ che oggi hai mangiato gnocchi con i ciccioli.

Anche lei è stata, è passata. Qualcosa è stata davvero e lo sarà sempre: {{una grande signora della poesia}}

Roma 11 febbraio 2012

{immagine da} wohinalthea.wordpress.com