Leggo “…se l’esistenza libera delle donne è un problema, certo non è un problema per noi, sara’ un problema per gli altri”. Questa frase rappresenta la rivoluzione, il cambiamento di prospettiva. E’ come essersi chiesti un giorno perché la mela cade a terra. Gia’, infatti, perché devo farmi un problema della mia esistenza, se esisto, saranno semmai gli altri a doversi adeguare al fatto che io esistoMariuccia Masala mi da’ pochi giorni di tempo per scrivere un’introduzione alla storia della sezione Teresa Noce di Milano. C’è grande fretta. Così decido di consegnare gli appunti che ho preso durante la lettura di questo libro. Pensieri che la storia di questa impresa mi ha suscitato, su cui è ancora necessario lavorare. Note a margine. Questa forma rappresenta bene il mio desiderio di essere con queste donne, tra loro.
Non voglio celebrare, voglio lavorare con loro tanto intensamente quanto grande è stato l’entusiasmo che la toro impresa, mi ha suscitato.

“{Siamo donne comuniste..}” veniva detto nella Carta, in questa semplice frase c’era già potenziale la grande rivoluzione della relazione tra donne, eppure questa rivoluzione stenta ad essere, perché? E’ un paradosso, ma è difficile essere donne, è più facile essere comuniste.
L’esperienza della sezione Teresa Noce ha radici nella parte migliore della Carta delle donne .

Finalmente dei fatti, e le parole al servizio di questi. II racconto è minuzioso. Tappa per tappa. Ciò che sorprende è il profondo senso di misura nel quale queste donne sono state capaci di agire e portare avanti il loro progetto. Spesso ho pensato che la misura delle proprie parole e dei propri gesti fosse una conquista tutta individuale, questa storia mi dimostra che la possibilità’ di agire con misura è direttamente proporzionale al desiderio che sto mettendo in gioco, e che questa possibilità è data soprattutto dal sentire e sapere che altre donne condividono perfettamente questo desiderio. Dico proprio perfettamente.
Devo imparare a temere quindi la solitudine. Non portare mai da sola il peso di un desiderio, e fare attenzione di non essere presa dalla vanità. La vanità infatti è un sentimento che isola, ci fa uniche ma ci fa anche sole. La possibilità di misura è quindi fuori di noi, in quel rapporto complesso che il pensiero della differenza chiama “{relazione}”.

La forza di un desiderio perfettamente condiviso e perfettamente situato nel mondo crea un’urgenza preziosa. Questa urgenza fa sì che la’ dove troviamo ostacolo ci adoperiamo a cercare prima di ogni altra cosa l’errore che noi stesse abbiamo commesso. Leggo “{quella sera non capimmo dove avevamo sbagliato, ma era chiaro che avevamo sbagliato}” e ancora “..{.un grande imperdonabile errore comunque lo avevamo commesso.}..”. Questo è il segno di quel salutare egoismo che consegna nelle nostre mani la prima responsabilita’ di ciò che ci accade. Questo “egoismo”, questo pensare a sé, quando non è un gesto solitario, è costitutivo della “soggettivita’ politica”.

Dopo tanti anni di politica delle donne, so per esperienza che il massimo pericolo per un progetto sta nella diffidenza delle altre donne. Questa diffidenza è quasi sempre letale, toglie le forze, umilia profondamente. Ho visto naufragare progetti eccellenti, ho abbandonato progetti eccellenti. Le donne della Teresa Noce hanno affrontato anche questo e ne sono uscite. Certo, questo percorso non è stato indolore per loro, ma ne sono uscite. Dal loro racconto si percepisce con chiarezza ciò che ha permesso questo non considerare mai l’altra come estranea, vedere sempre l’altra nella situazione dove lei si trova in quel momento, tenere presenti le sue difficolta’, le difficolta’ che il nostro fare le può provocare. Anche questo fa parte della “relazione tra donne”. La relazione tra donne nelle in gioco un legame che fa capo alla condizione umana primaria, l’essere nate donne.

Libera la nostra attenzione, il nostro spirito di osservazione, il nostro sguardo verso le altre. In qualunque luogo dato non è possibile fare niente di nuovo senza questa relazione e questa relazione non è possibile senza fare il nuovo, senza luoghi nuovi.

Non basta nominare “la relazione tra donne”, perché la relazione tra donne può essere solo nella pratica, detta non convince nessuno, fatta produce degli effetti. E’ il “rapporto di produzione” di forza femminile. Di questo sono forti le donne della Teresa Noce. Non è un credo, né può diventare una giaculatoria. Ho cercato di capire perché la pratica di questa relazione è tanto difficile in un partito.

Ed ho capito questo: in un partito sono possibili rapporti di alleanza, i luoghi dati sono a misura del rapporto di alleanza. Tra alleanza e relazione, così come si intende nel pensiero della differenza, c’è un abisso. L’alleanza è un rapporto che fa parte di un’economia di guerra. Questo modo di rapportarsi è un vizio della politica tradizionale. E’ ciò che provoca quello stile di chi fa politica, che mi è insopportabile.
Quando parlo con uno di loro, e ancor di più mi succede quando parlo con una di loro, sento che ho davanti a me una persona guardinga, che calcola quello che dico e calcola quello che mi risponde, che non sta tutto/a in quello che dice, che ha sempre un fondo di preoccupazione. L’alleanza è ciò che impedisce la relazione. Le compagne della {Teresa Noce} hanno trovato lo spazio della relazione proprio nell’istanza di base del loro partito, partono dalla forma, più semplice, più libera dai giochi di potere, ma non senza potere.

Non senza potere. In un congresso una sezione può avere parola. Le donne della Teresa Noce vogliono contare. Il problema del potere se lo sono posto.
Anche in questo sono state molto brave. Sono riuscite a superare la contraddizione in cui l’agire l’essere donna può metterci. Quando parliamo di passione politica, intendiamo sempre passione per la modificazione dell’esistente, non certo passione per il potere. Modificare l’esistente è la cosa che ci appare più urgente, cambiare ciò che è, fare di un mondo impossibile alle donne, un mondo possibile anche per noi, questo è ciò che le donne, partecipando ad ogni rivoluzione, hanno sperato, ed è ciò in cui sono state sempre tradite.
Questo fatto viene detto così: le donne non sono interessate al potere, le donne sono disinteressate, disinteressate quindi generose. Non è così. L’urgenza della trasformazione è tale da fare apparire il potere piccola cosa, cosa meschina. II rischio è dunque non porsi il problema di come contare. Per la trasformazione è necessario ragionare anche in termini di potere.

{{Dare vita ad una sezione femminile è un progetto di politica di donne. }}

Questo progetto allude ad un soggette femminile integro, ad una donna che sceglie e costruisce il suo spazio, che vuole confrontarsi con le sue simili, per ragionare sul mondo e prendere decisioni, che trova e misura per questo il suo tempo. La politica informata dal pensiero della differenza allude sempre ad un soggetto integro. Questa politica ha bisogno di un grande impegno per essere realizzata. Questo libro è la storia di questo impegno, di questa fatica.
Fatica, sì perché per progetti del genere lo spazio non viene facilmente concesso. In un partito si concede facilmente spazio invece alla politica per le donne. Nessuno trova niente da dire o da preoccuparsi se donne si impegnano per esempio a fare esistere una casa rifugio per le donne picchiate, o a prendere iniziative politico/legali per le donne stuprate. La politica per le donne allude sempre ad un soggetto femminile umiliato, bisognoso di aiuto, non bisognoso di forza.

Alle donne viene concesso facilmente di guardare alla miseria delle loro simili. Ma se la radice di quella miseria sta solo nell’essere corpo di donna, allora guardare la miseria dell’altra significa riconoscere la propria. Così prende forma una pedagogia perversa, che certo non è progetto di nessuno, se non delle cose se le cose stanno cosi, una terribile educazione che ogni donna conosce, l’educazione alla miseria femminile. Un’educazione atroce che ogni donna sa per averla subita, per essersene ribellata. La politica perle donne non minaccia nessuno se non le donne stesse. Non è necessario per questa politica creare degli spazi nuovi, bastano gli spazi esistenti, non serve alcuno sforzo di invenzione.

Con questo non voglio dire che la politica per le donne debba essere completamente rigettata, voglio dire che la politica per le donne è possibile solo a partire da una politica delle donne. Finora mi sembra si è ragionato come fossero due opzioni. Non è così. Da sola la politica per le donne si risolve in pura intimidazione.
Leggo “…se l’esistenza libera delle donne è un problema, certo non è un problema per noi, sarà un problema per gli altri”. Questa frase rappresenta la rivoluzione, il cambiamento di prospettiva. E’ come essersi chiesti un giorno perché la mela cade a terra.
Già, infatti, perché devo farmi un problema della mia esistenza, se esisto, saranno semmai gli altri a doversi adeguare al fatto che io esisto. Nella proposta di forme di organizzazione di donne nel Partito Comunista che Livia Turco ha fatto e che porta in questo periodo alla discussione e confronto con altre donne, l’esistenza di sezioni femminili è data come forma possibile. Dunque la struttura di un partito si adegua a ciò che un gruppo di donne ha fatto esistere. Questo per me è ottenere il massimo: non chiedere, ma costringere di fatto l’istituzione, lo Stato, il Partito a dare. La politica di donne non ammette questue. Sono così grata alle donne della Teresa Noce per questa prova certa della loro forza.

{{
La politica per le donne si muove sempre con l’intenzione di far giustizia. }}

Ma muoversi sempre chiedendo giustizia fiaccherebbe una quercia. E’ umiliante chiedere continuamente giustizia per sé. E’ uno sbaglio a mio avviso costruire spazi per donne all’interno delle istituzioni in nome di un “riequilibrio” della rappresentanza, cercherei di costruire questo spazio in altro modo, e soprattutto non darei ragioni a giustificare la mia pretesa.

Le compagne della {Teresa Noce} in questo sono state esemplari non si sono mosse cercando giustizia, ma cercando di fare il giusto per quanto le riguardava. Anzi si potrebbe dire che hanno commesso un’ingiustizia, perché non hanno pensato ad una sezione dove la rappresentanza dei due sessi fosse equilibrata ma addirittura hanno pensato di avere una sezione tutta per sé. E questo in un certo senso potrebbe apparire ingiusto. Poco tempo fa, ad una dirigente comunista che mi chiedeva, un po’ smarrita, di tutto quello che stava succedendo, le donne divise, l’estrema debolezza di tutte, lo smarrimento generale, cosa si poteva fare, ho risposto: “vi siete mosse sempre cercando di fare giustizia. Adesso prova te a fare un’ingiustizia per le donne, ne abbiamo più bisogno”. Ma non è facile.

Le mie note finiscono qui, però voglio aggiungere quello che ho detto a Mariuccia Masala il giorno dell’inaugurazione della sezione: abbiamo sempre cercato di metterci tutte d’accordo, di mettere le donne d’accordo, non ci siamo mai riuscite, eppure questa immagine di tutte le donne insieme continua a condizionare la politica delle donne. E’ un desiderio coatto. perché mai le donne dovrebbero essere tutte d’accordo? Se pensiamo a “farci mondo” dobbiamo abbandonare questa immagine. E allora bisogna imparare ad andare in disaccordo. Andare in disaccordo. Andare però.

Grazie e buon lavoro.

{Da “Signora Sezione” di Mariuccia Masala, Magistra Edizioni, Napoli 1990}