Martedì 8 giugno 2010 ore 14,30, presidio sotto il Tribunale di Milano contro Cie e deportazioni a fianco di Joy ed Hellen in occasione dell’ “incidente probatorio” per la tentata violenza sessuale lo scorso agosto nel Cie di Milano.Se è ormai noto a tutte e tutti che {{l’8 giugno Joy }}sarà sentita come
“persona informata sui fatti” a proposito del tentativo di violenza
sessuale – a cui ha immediatamente reagito con determinazione – da parte
dell’ispettore capo di polizia Vittorio Addesso, lo scorso agosto nel Cie
di Milano, un po’ meno noto è come si sia svolto il suo interrogatorio al
processo per la rivolta di Corelli a proposito di questo gravissimo
episodio e come si sia ritrovata, con la sua testimone Hellen, una denuncia
per calunnia. Per queste ragioni pubblichiamo{{ [lo stralcio dell’
interrogatorio in cui Joy racconta in aula i fatti->http://noinonsiamocomplici.noblogs.org/gallery/5927/Tribunale_Joy.pdf]}}. Stralcio che dà l’idea
di quale sia il trattamento riservato a immigrate ed immigrati (ma non
solo…) nelle aule dei tribunali italiani.

Ricordiamo, inoltre, che {{l’11 giugno scadranno gli ulteriori sessanta
giorni affibbiati a Joy dal giudice di pace }}su richiesta della questura di
Modena, sessanta giorni che hanno portato a quasi un anno la detenzione di
Joy nel circuito Cie-carcere-Cie, cominciata il 26 giugno 2009. Nei
prossimi giorni la questura di Modena potrebbe chiedere al giudice di pace
di affibbiarle altri due mesi, per arrivare a quei famosi 180 giorni
stabiliti dal “pacchetto sicurezza”, poiché per Joy il conteggio dei giorni
di detenzione nel Cie è ricominciato nel momento in cui è stata portata dal
carcere di Como al Cie di Modena, il 12 febbraio scorso. Oppure la questura
di Modena potrebbe decidere di deportarla, rimandandola nel paese in cui i
suoi sfruttatori la aspettano per ucciderla “come una gallina”.

{{Joy rimane, quindi, in una situazione di estremo pericolo}}. Dopo dieci anni
la sua vita continua ad essere nella mani di altri: ostaggio degli
sfruttatori, prima, e ostaggio dello Stato italiano, poi, e di questo non
possiamo non tenerne conto nel caratterizzare il presidio dell’8 giugno con
contenuti completamente autonomi e di non delega – come abbiamo già
esplicitato – rispetto al rito che si volgerà all’interno del tribunale di
Milano.

Riportiamo, al proposito,{{ il comunicato delle compagne di Roma e quello
del Comitato antirazzista di Milano}}.

{{Siamo tutte con Joy e Hellen}}

L’uso del pene come arma, da sempre, sancisce la prima forma di
oppressione/repressione di un genere sull’altro.
Storicamente le donne sono bottino di guerra e lo stupro come evento, sia
fisico che mentale,sancisce la conquista ed esplicita il dominio.

Nei CIE, centri di identificazione ed espulsione, momento più alto del
controllo sociale di questo sistema perchè vi vengono rinchiuse persone non
per reato, ma per condizione, le donne subiscono, oltre alla violenza
dell’internamento, alla violenza degli psicofarmaci, al ricatto ed alla
paura del rimpatrio, anche la violenza di genere.

Essere rinchiuse in un CIE significa anche perdere la categorizzazione che
la cultura patriarcale ha affibbiato alle donne: o santa o puttana. Nei CIE
le donne sono considerate solo puttane e come tali devono essere disposte a
soddisfare qualunque richiesta sessuale.

Joy ad agosto 2009 si è ribellata al tentativo di stupro di Vittorio
Addesso, ispettore capo del Centro di identificazione ed espulsione di via
Corelli a Milano. Hellen l’ha aiutata. Sono state incarcerate, hanno subito
un processo, sono state denunciate per calunnia, ma ci hanno insegnato che
ribellarsi è un’arma.

Quello che abbiamo sempre gridato nelle piazze “per ogni donna stuprata e
offesa. siamo tutte parte lesa”, deve valere anche per le migranti
rinchiuse nei CIE. Non esistono donne di serie A e donne di serie B,
regolari o irregolari, donne con il permesso di soggiorno o donne senza,
donne per bene o donne per male…

Non crediamo nella giustizia dei tribunali e sappiamo che il processo sarà
un’ulteriore violenza ai danni di Joy, perchè, come sempre, le donne che
hanno il coraggio di denunciare la violenza maschile, nelle aule dei
tribunali diventano le prime imputate.

{{Martedì 8 giugno alle 14,30 davanti al tribunale di Milano}} e in ogni città
cento e cento iniziative di sostegno!!!!

{{Siamo tutte con Joy e Dellen
_ libere tutte/i!!
_ chiudere tutti i Cie!!}}

{Donne, femministe, lesbiche contro i Cie
Roma}

{{Ancora una volta accanto a Joy, senza condizioni}}

La questione dei CIE, dell’esistenza di nuovi “lager della democrazia”,
non è una questione a se stante nel pozzo senza fondo dei soprusi e della
repressione che da sempre si abbatte sui proletari, tanto più in periodi di
conclamata crisi economico-sociale e, con attenzione tutta particolare,
verso coloro che osano ancora alzare la testa.
Questo spiega, in sintesi, la storia di Joy, portata ad affrontare,
martedì 8 giugno, il cosiddetto “incidente probatorio” per la tentata
violenza sessuale, dove il giudice deciderà se mandare a processo il suo
aguzzino (l’ispettore capo del CIE di Milano, Vittorio Addesso), oppure
trasformare il carnefice in vittima, e mandare lei a processo per calunnia.

Una storia, o meglio un’odissea:
_ in Nigeria nella tristemente famosa “tratta” che violenta l’esistenza di
decine di migliaia di giovani donne;
_ in un CIE in quanto ribelle a quello stesso meccanismo della “tratta”;
_ in carcere a S.Vittore e a Como in quanto ribelle alla pretesa di
“gratuite prestazioni”, cioè violenza sessuale, del capo-secondini del CIE
di Milano e solidale con la rivolta che, nell’agosto del 2009, aveva
chiaramente rispedito al mittente il pacchetto sicurezza di Maroni;
_ infine nuovamente in un CIE, in attesa di un’espulsione che per lei
significherebbe, con tutta probabilità, una condanna a morte da parte dei
suoi connazionali che la vogliono prostituta – questione che le istituzioni
italiane ben conoscono e sostengono di soppiatto.

Il prezzo da pagare al banco dei soprusi non ha limiti di rilancio.
Così come la volontà di combattere e la dignità di Joy.

Non siamo certo animati/e da giustizialismo e voglia di carcere per
chicchessia; tanto meno abbiamo mai pensato che i Tribunali possano offrire
una qualche speranza di riscatto per gli oppressi.
Al contrario, li consideriamo un tassello essenziale del dominio di
classe.
Perché allora presenziare il rito tribunalizio con un presidio?
Non si tratta solo di esprimere ancora una volta solidarietà umana a Joy,
ma innanzitutto di dar voce, visibilità, forza a tutti i rinchiusi nei CIE,
alla loro lotta che è ormai un dato stabile e acquisito: scioperi della
fame, fughe, rivolte, opposizioni vincenti alle deportazioni, rappresentano
ormai la quotidianità.

Una situazione che nelle mani dello Stato si fa sempre più ingestibile,
tanto da portare il ministro Maroni a pianificare una soluzione finale al
problema delle espulsioni:
– blocco dell’immigrazione nei paesi di origine
– costruzione di nuovi CIE vicino agli aeroporti
– prolungamento della detenzione a 18 mesi
– progressivo passaggio di gestione dei CIE alla Frontex, agenzia privata
a cui l’Unione Europea già da tempo appalta il controllo delle frontiere
e le deportazioni coatte verso i paesi d’origine

Insomma da Centri di identificazione ed espulsione a Centri di espulsione.
Da lager a super-lager.
I CIE e Tribunali non sono altro, dunque, che teatri di una guerra più
generale che viene condotta contro i proletari del mondo. E le donne sono,
come sempre, il bottino di guerra.

Un teatro di guerra che si estende e che ha come obiettivo quello di
spingere le sue vittime predestinate alla rassegnazione, all’isolamento e,
come orizzonte massimo, alla richiesta di pace e clemenza rivolta ai propri
carnefici. Con la minaccia, per chi non si sottomette, di un allontanamento
definitivo (e forzato) dal campo del conflitto: soluzione finale,
espulsione.
Un teatro di guerra che Joy, insieme a tante e tanti come lei, dalle
cooperative agli operai in lotta, dagli occupanti di case ai rom di
Triboniano, questi ultimi alle prese con un’altra soluzione finale, tutti
ci indicano la via, quella di affrontare apertamente il conflitto,
piuttosto che cercare utopistiche vie di fuga, o appellarsi alla clemenza e
alla “giustizia” del nemico.
Soprattutto ci dicono che l’esito di questa battaglia è ancora tutto da
scrivere.

MARTEDI’ 8 GIUGNO 2010 ORE 14,30
PRESIDIO SOTTO IL TRIBUNALE DI MILANO
CONTRO CIE E DEPORTAZIONI,
A FIANCO DI JOY ED HELLEN

Milano, 4 giugno 2010

{Comitato Antirazzista Milanese}

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immagine da http://progettobeta.blogspot.com/2010/02/hassan-vahedi-olio-su-tela-2009-dove.html