Quanto seriamente il presidente Barak Obama e la sua amministrazione prenderanno in considerazione le tematiche di genere? A guardare il linguaggio utilizzato nel suo discorso d’insediamento, si potrebbe trovare la risposta.È evidente che l’uso del linguaggio riflette la di lui/di lei struttura mentale. Quindi, un oratore che usi esclusivamente i pronomi al maschile e parole fortemente connotate nel genere come ‘forefather’ (antenati, trad litt. ‘i padri del passato’, ndt) è meno propenso a riconoscere il sessismo nelle sue azioni e nei suoi comportamenti.

Con questo filtro di lettura, ho redatto un elenco attento del discorso di insediamento di Barak Obama e {{messo in evidenza le situazioni nelle quali ha operato delle scelte linguistiche positive quanto alla scelta di pronomi, verbi neutri dal punto di vista di genere}}, le volte in cui ha impiegato un linguaggio inclusivo o analogie e {{metafore che mettono le donne allo stesso livello dell’uomo}}.

Di seguito, le parti del discorso di Obama che dimostrano la sua {{sensibilità di genere e il suo tono inclusivo}}:

“Sono qui oggi davanti a voi umile, di fronte al compito che mi attende. Vi ringrazio per la fiducia che mi avete manifestato, consciente dei sacrifici dei nostri {antenati} (nel testo utilizza ancester e non forefather, ndt)”.

“L’America ha potuto andare avanti non solo grazie alle larghe vedute e alle competenze de* leader (l’asterisco si riferisce all’uso neutro di alcune parole in inglese, intraducibile in italiano, ndt), ma perchè noi, il popolo siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri {antenati} (nel testo originale è forebearers e non forefather, ndt) e dei testi fondatori.

“La notra economia é indebolita a causa della cupidità e del comportamento irresponsabile di alcun* ma anche a causa della nostra incapacità collettiva a prendere delle decisioni, a compiere delle scelte allo scopo di preparare il notro paese a una nuova era. Oggi, siamo riunit* perchè abbiamo preferito la speranza alla paura, l’unità al conflitto e alla discordia”.

“Continuiamo ad essere una nazione giovane, ma come dicono le Scritture, l’ora è venuta di mettere da parte le bambinate. L’ora è venuta di riaffermare il nostro spirito, di scegliere il meglio della nostra storia, di portare (…) questa promessa data da Dio di essere tutt* ugual*, tutt* liber*, tutt* meritant* la fortuna di perseguire la propria e completa felicità.

A partire da oggi dobbiamo riprenderci, scrollarci la polvere di dosso e ricominciare a inventare l’America”.
“(…) A tutti gli altri popoli e governi, in tutte le grandi capitali e in tutti i piccoli villaggi come quello di cui mio padre è originario: sappiate che l’America è amica di tutte le nazioni e di {tutti gli uomini, donne, bambini} che vogliono un futuro di pace e dignità e che siamo pront* a tornare ad essere de* leader”.

“(…) Sappiamo che la nostra eredità multipla è una forza e non una
debolezza. Siamo una nazione di cristian*, musulman*, ebre*, di hindu e di non credent*. Siamo influenzati da una molteplicità di lingue e di culture, provenienti dal mondo intero”.

“Tanto il Governo può e deve fare, in fin dei conti è la fede e la determinazione del popolo americano che fonda la nazione americana.

Se la generosità d’accogliere un* sconosciut* quando le dighe vanno in pezzi, la generosità degli operai/e che prefericono ridurre il loro orario piuttosto che di vedere un* amic* perdere il lavoro è cio che ci ha permesso di superare dei tempi bui.

É il coraggio del pompiere che monta su per una scala piena di fumo, ma anche la volontà di un genitore di nutrire un bambino quello che decide del nostro destino”.

É il senso della nostra libertà e della nostra fede che permette a tutti gli {uomini, donne e bambini} di ogni razza e credo di condividere questa celebrazione su questa magnifica spianata. E un uomo il cui padre non avrebbe potuto essere servito in un ristorante dei dintorni può oggi prestare il giuramento più sacro.

– [Versione originale->http://womensissues.about.com/od/thepoliticalarena/a/ObamaInaugural.htm]

{Traduzione a cura di Marta Marsili e Marisa Ameli}