Dopo anni di indifferenza il tema della morte sul lavoro conquista le prime pagine dei giornali e addirittura uno spazio nei nostri sempre più scialbi telegiornali. La lunga lista di vittime comprende elettricisti folgorati, muratori caduti dalle impalcature, operai schiacciati da carichi incustoditi, uomini, uomini e ancora uomini. Ma davvero le morti sul lavoro sono un fenomeno solo maschile?No, naturalmente, anzi, secondo il rapporto che annualmente elabora l’[Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro->http://www.anmil.it/] ANMIL sul tema “[Donne, infortuni sul lavoro e tutela delle vittime->http://www.anmil.it/public/anmil/shared/0.13711942982.doc]” i casi {{mortali}} che coinvolgono delle lavoratrici sono {{in aumento dopo la leggera flessione del 2005}}.
_ Dai {{78 casi}} dei primi undici mesi del 2005, secondo il rapporto, si è passati ai {{93 casi}} dello stesso periodo del 2006, con{{ un aumento di ben il 19,2%}}. Anche gli {{infortuni non mortali}} che coinvolgono delle lavoratrici sono in crescita passando da 229.540 nel 2005, a 231.120 nel 2006, con una crescita dello 0,7%.

Il rapportodell’ANMIL, reso pubblico lo scorso 8 marzo, è forse la sola ricerca in Italia che analizza con {{un’ottica di genere gli incidenti in ambito lavorativo}} e mette in evidenza bisogni di tutela specifici delle lavoratrici italiane, che segue anche nella fase delicata del recupero post incidente. Ma soprattutto il rapporto esce dalla mera enumerazione statistica per analizzare i risvolti sociali e psicologici legati al fenomeno.

Non solo le donne continuano ad avere un tasso di occupazione più basso rispetto a quello degli uomini e di fatto percepiscono salari più bassi, ma, conseguentemente, quando subiscono infortuni {{ottengono indennizzi meno elevati}}, e in caso di perdita di un figlio o dell marito per un infortunio mortale devono attendere tempi lunghissimi per la costituzione delle rendite loro spettanti, sempre che tale diritto venga loro effettivamente riconosciuto.

Secondo l’Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro, le {{donne invalide a causa di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale}} al 31 dicembre 2006 risultavano ben {{121.926}}, cioè poco più del 16,4% degli uomini, mentre le donne titolari di rendite ai superstiti sono un numero prossimo a 115.000 unità: complessivamente dunque le donne che percepiscono un indennizzo permanente, diretto o ai supersiti, sono 236.926, cioè il 31,4% degli uomini.

I dati sugli infortuni sul lavoro confermano, purtroppo, che {{all’innalzarsi del tasso di occupazione femminile}} corrisponde una {{crescita proporzionale degli incidenti e delle malattie professionali}}.
_ Infatti, nel quinquennio 2001-2005, l’occupazione femminile è cresciuta del 5,86% e le donne che hanno subito un infortunio sul lavoro sono aumentate del 5%, considerando i soli settori Industria e conto Stato e le malattie professionali.

{{{Ma quali sono i settori lavorativi dove gli infortuni per le donne sono in forte crescita?}}}

Nel {{commercio}} si segnale un {{+30%}} con una crescita constante nello scorso quinquennio: nel 2001 erano 18.268 casi, nel 2002 si è passati a 20.195 (+10,5%), nel 2003 a 21.722 infortuni (+7,6%), nel 2004 si è giunti a 22.829 (+5,1%) fino ai 23.792 casi del 2005 (+4,2%).
Per la {{sanità}} nel periodo 2001-2005 gli incidenti sono stati: 20.150 infortuni nel 2001, 22.935 nel 2002 (+13,8%), 23.459 nel 2003 (+2,3%), 24.353 nel 2004 (+3,8 %) e 24.832 nel 2005 (+2,0%) con una crescita totale nei cinque anni pari a più del {{23%}}.
Risultano i{{n calo, invece, gli incidenti nel settore manifatturiero}}, -16,5%, passati da 37.964 nel 2001 a 31.701 nel 2005.

Come si è detto l’Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro compie un’analisi molto dettagliata che esula dal semplice dato statistico per indagare invece i risvolti sociali e la reale ricaduta che un infortunio ha sulla vita reale delle lavoratrici. Ad esempio, sottolinea l’associazione, la {{Tabella delle menomazioni, non prevede alcuna differenza tra uomini e donne}} nella valutazione percentuale del danno estetico o psicologico, mentre nella cultura e nell’immagine della donna nella società attuale c’è un sentire ben diverso.
Un esempio rende forse più chiare le implicazioni di questo meccanismo: i {{tumori tipicamente femminili, come quelli della mammella}}, che richiedono una mastectomia totale, nella Tabella delle menomazioni valgono al massimo 10 punti su 100, sia per l’uomo che per la donna, in quanto la definizione è generica “neoplasie maligne che si giovano di trattamento medico e/o chirurgico locale, radicale”.
_ {{Nessun valore viene, inoltre, attribuito al lavoro di cura,}} o se si preferisce al doppio lavoro, che generalmente le donne svolgono in ambito domestico, per questo {{l’ANMIL ha sostenuto, in diverse sedi, la teoria del doppio indennizzo spettante alle donne}}, ma questa prospettiva non è mai stata affrontata seriamente, eppure ha un proprio fondamento in diritto e anche un impatto finanziario compatibile.

Neppure per le {{decine di migliaia di donne che hanno perso il marito a causa di incidenti sul lavoro}} la situazione può essere definita soddisfacente.
_ Infatti, al coniuge superstite spetta una rendita vitalizia pari solo al{{ 50% della retribuzione del lavoratore defunto}} e, nel caso vi siano figli, viene aggiunto un 20% per ciascuno di essi fino ai 18 anni di età; ancora meno si riconosce, il 40%, se si tratta di orfani di entrambi i genitori.
Nessun risarcimento per i genitori salvo il caso in cui risultino a carico del lavoratore deceduto: ecco dunque dei morti che costano solo il dolore dei propri cari.
Va segnalato che la {{reversibilità della pensione INPS}}, pur essendo una prestazione che non ha carattere di indennizzo, prevede per i superstiti il {{60%}} al coniuge, il 20% a ciascun figlio se c’è anche il coniuge, il 40% a ciascun figlio, se sono solo i figli ad averne diritto (70% se si tratta di un solo figlio) ed il 15% a ciascun genitore, fratello e sorella.

{{{Il Reinserimento al Lavoro}}}

L’ANMIL denuncia sotto questo aspetto diffusi comportamenti illegali oltre che immorali: le donne, infatti, risultano{{ espulse dal mondo del lavoro dopo un infortunio in misura molto maggiore rispetto agli uomini}}, né tale situazione migliora nel successivo sistema di ricollocazione al lavoro adottato a norma della legge n. 68 del 1999 sul diritto al lavoro dei disabili.

Da una ricerca condotta dall’ANMIL risulta che molte donne dopo un infortunio non riescono a trovare la forza per rientrare nel proprio abituale posto di lavoro. Coloro che riescono a mantenere il proprio posto subiscono {{al rientro gravi discriminazioni}} non solo da parte dei datori di lavoro ma anche dei colleghi, e tale è la pressione psicologica contro le lavoratrici infortunate, che spesso queste finiscono per allontanarsi “spontaneamente” dall’azienda presso la quale hanno subito l’infortunio per cercare occupazione altrove.

La ricerca dell’ANMIL evidenzia inoltre come le lavoratrici infortunate non possono contare su servizi di avviamento al lavoro e di sostegno psicologico adeguati ed efficienti. Basti pensare che le {{donne disabili in Italia}}, iscritte nelle liste provinciali della legge n. 68 del 1999 e disponibili al lavoro, riescono a trovare una collocazione mirata ed adeguata {{solo nel 3,8%}} dei casi: il che vuol dire che il {{96,2% delle donne disabili alla ricerca di un lavoro rimane completamente disoccupato}} e quelle che lavorano, ottengono impieghi precari, poco remunerativi, con poche ore di lavoro e per brevi periodi.

In questi dati trova conferma quanto l’ANMIL sostiene sul piano della tutela delle donne invalide del lavoro, cioè che esse {{avvertano l’infortunio in modo molto profondo}} e che abbiano bisogno di essere continuamente aiutate e sostenute nel percorso di reintegrazione familiare, lavorativa e sociale, man mano che le esigenze cambiano ed aumentano con gli anni e gli aggravamenti delle patologie: e, infatti, sono donne quasi il 40% di coloro che si rivolgono al servizio di sostegno psicologico promosso dall’ANMIL.