Convocata da Rete delle Città Vicine, Associazione “Autorità femminile nella politica”, MAG Servizi Verona, si è svolta a Roma, alla fine di marzo, una giornata di scambio di esperienze e di riflessione attorno al tema della “sapienza differente” di governo delle donne.L’invito del titolo del convegno, che ha come riferimento il libro di Anna Rosa Buttarelli {[Sovrane.L’autorità femminile al governo->http://www.ilsaggiatore.com/argomenti/politica-attualita/9788842819158/sovrane-2/]} (ed. Il Saggiatore), è rivolto alle amministratrici locali, ma non solo, affinché assumano tutta l’autorità della loro sapienza “differente” di governo, in modo che possano “fare un passo avanti, d’autorità”, liberandosi dalle strette dei partiti e dalla corruzione in cui sta morendo la politica istituzionale e la gestione del potere. Da qui la speranza, si legge nella presentazione del convegno, che “le donne che hanno passione per la politica e gli uomini che non vogliono più essere ricacciati indietro ogni giorno da altri uomini affamati di potere, di soldi, di corruzione” traggano forza, idee e nuove pratiche dalla discussione comune.

Una giornata ricca di partecipazione da cui ricavo i seguenti appunti che non sono ovviamente esaustivi di tutto quello che è emerso.

Inizio dall’intervento di {{Loredana Aldegheri }} (che non è stato il primo in ordine di tempo), del MAG – Mutua per l’Auto Gestione – di Verona, che è un insieme di cooperative che si occupano di servizi aziendali, di formazione, di micro-credito, attivate quasi esclusivamente da donne e uomini inoccupati o sottoccupati. Dice Loredana Aldegheri che, anche se ancora non appare, {{già agisce in vari contesti una nuova civiltà}}: molte donne giovani sono tornate alla terra, a fare le contadine, a riprendere vecchie arti e mestieri carichi di storia, a recuperare spazi urbani abbandonati. In queste attività si intravede La possibilità di guadagnare con sobrietà per guadagnare tutti: un guadagno monetario e un guadagno nelle relazioni. La competitività che ha imbarbarito la società va sostituita con la cooperazione e l’autorità diventa così una dimensione circolante, diffusa. E invita donne e uomini ad esserci integralmente con i loro desideri e le loro responsabilità, osando la dimensione del rischio. Quello che si è imparato a fare nei contesti piccoli oggi può essere realizzato nei grandi contesti grandi, per una nuova civiltà che possa agire e prosperare.

Su un quotidiano della Calabria, l’8 gennaio scorso {{Franca Fortunato}}, della Rete delle Città vicine, ha lanciato un appello alle donne di Catanzaro in vista delle prossime elezioni amministrative, per votare come sindaco una donna. In questi anni il lavoro capillare svolto dalle donne ha messo sotto accusa la ‘ndrangheta. Fino al 2010 non c’erano mai state collaboratrici di giustizia; poi alcune mogli, sorelle, figlie hanno trovato la forza di ribellarsi in forza della relazione madre-figlia (come nel caso di Lea Garofalo) e hanno capito che era possibile un’altra vita anche se nate in famiglie mafiose. Molte donne si sono candidate e sono state elette sindache o assessore o consigliere. La Fortunato considera ciò che accade {{“una vera e propria primavera delle amministratrici”. }}

{{Luna Mortini}}, Assessora nel comune di S. Giovanni del Dosso, nota come il lavoro delle “donne in trincea” calabresi è di grande accortezza e di grande solidarietà col proprio gruppo amministrativo. {{Giusi Milazzo}}, della CGIL di Catania, si associa dichiarando che le donne hanno “imposto”, all’interno del Sindacato, iniziative importanti come il Manifesto del Lavoro. L’autorità femminile ha un grande sapore rivoluzionario; si può stare contemporaneamente dentro e fuori della politica, senza abbandonare l’impegno.

La giornalista e saggista{{ Letizia Paolozzi}} (ha scritto il libro “{[Prenditi cura->http://www.lafeltrinelli.it/products/9788864631370/Prenditi_cura/Letizia_Paolozzi.html]}”), sebbene nutra molta diffidenza nei confronti delle istituzioni perché deformano le donne che vi entrano, ammette che però bisogna entrarci. Ricorda che {{Franca Chiaramonte }} nel suo lavoro parlamentare e nella stesura del suo libro “{[Il Parlamento non è un pranzo di gala->http://www.store.rubbettinoeditore.it/il-parlamento-non-e-un-pranzo-di-gala.html]}” – scritto in collaborazione con Antonia Tomassini – è entrata più volte in relazione conflittuale con la giovane donna di sinistra con cui lavorava: si sono scontrate più volte ma sono andate avanti perché avevano cura della loro relazione. Molte donne non “vivono” nella relazione, è un dato di fatto, ma non si può rompere con tre quarti del nostro sesso.

Secondo{{ Sandra Bonfiglioli}}, ordinaria al Politecnico di Milano, esiste {{una frattura tra chi opera nelle istituzioni e chi sta fuori.}} Per migliorare la nostra vita dobbiamo operare per cambiare la città, ma come fare un passo avanti? Le donne elette nel Comune di Sesto San Giovanni sono riuscite fare una mossa molto importante, quella di chiedere il cambiamento degli orari scolastici. La sindaca ha risposto: “sì, possiamo farlo”. Sembra una piccola cosa ma non lo è: scardina un assetto.

{{Paola Vitale}}, consigliera del Comune di Scordia (CT), poi assessora alle PP.OO, non si è mai riconosciuta in certe vecchie logiche di partito, ma nella pratica ha potuto far emergere la sua passionalità. Ha chiesto e ottenuto laboratori di genere e una biblioteca con libri di genere fin dalla scuola dell’infanzia.

Ma ci sono anche donne che hanno fatto un passo indietro, non per questo smettendo di fare politica e di aiutare le donne presenti nelle istituzioni. {{Graziella Borsatti,}} ex sindaca di Ostiglia (MN) e ora Presidente dell’Associazione “Autorità femminile nella politica”, concorda sulla necessità di fare un passo avanti e {{operare un ri-orientamento}}: un passo avanti affinché non si possa più dire che questo mondo può continuare senza l’autorità femminile. L’autorità, legata alla responsabilità anziché al potere, deve mostrare questo nuovo modo di stare nella politica. In questa assunzione di responsabilità va messa al centro la politica della differenza, svolgendo pratiche anche tra uomini e donne. Le nostre differenze devono essere delle singole disparità che non ci distruggono. La “rete” dà forza. Dobbiamo riuscire a stare al mondo: 1) facendo vedere come ordine e pace possano esistere; 2) creando un microcosmo di relazioni, facilitate dal territorio limitato che permette di fare rete.

Anche{{ Luisella Conti}}, ex assessora del Comune di Ostiglia quando era sindaca Graziella Borsatti, ha fatto un passo indietro nella politica attiva delle istituzioni, stando vicino e dando una mano alla nuova Sindaca. In questa posizione ha guadagnato molto in termini di relazioni; occorre diffondere tali pratiche.

{{Luana Zanella}}, ex amministratrice, passata dal Consiglio Circoscrizionale al Parlamento come portavoce dei Verdi, ora fa parte dell’Associazione “Vicine di casa” per portare l’autorità femminile nella politica. Anche l’ONU ha riconosciuto le donne come leader di un nuovo cammino. Le donne del Sud del mondo sono quelle che esprimono la loro sapienza nell’esperienza di governo; loro sanno “come si fa”. E’ il momento di fare{{ una liaison tra offerta di autorità e domanda di autorità.}} E’ come se mancassero le forme necessarie per questo passo avanti. Se pensiamo che in Italia ci sono 930 sindache, e poi tutte le assessore, le consigliere, le impiegate ecc., possiamo dire che non siamo poi tanto poche anche se poi siamo spesso diversissime.

{{Maria Luisa Gizzio}}, che fa riferimento all’esperienza della Libreria delle donne di Milano, nota come occorra intrecciare il messaggio di {Sovrane } sull’autorità femminile al governo con quel “{prendersi cura}” proposto da Letizia Paolozzi per ridare un contributo al proseguimento del nostro lavoro. Per ora, dove esiste democrazia,{{ l’unica prospettiva di ordine simbolico sta nell’etica della cura.}} Le donne avrebbero da dare indicazioni e orientamento, ma le istituzioni sono prive di ordine simbolico che le orienti e tutto continua a funzionare a casaccio. Quando manca l’orientamento non può esserci armonia, o almeno conflitti fecondi, e quindi i conflitti sono pretestuosi o sanguinosi. Le “riforme” non rappresentano delle “trasformazioni”. Siamo in un momento di grandi trasformazioni e le riforme le bloccano.

Prendono la parola anche due donne dell’UDI di Palermo, luogo fortemente riconosciuto in quella città. La prima, {{Daniela Dioguardi,}} si domanda cosa abbiano recepito del nostro femminismo le giovani donne; nelle scuole, per le ragazze esiste solo il femminismo della parità. Pensa che sarebbe importante che tra genitori e insegnanti nascessero iniziative di autoformazione degli adulti. Se i genitori non si formano insieme possono nascere informazioni distorte. Stanno nascendo anche gruppi di uomini che si interrogano, ma la maggior parte sono resistenti a questo. Lei, che dice di avere l’animo della missionaria, cerca sempre di parlare con le donne che la pensano in modo diverso. Sente l’orgoglio di dire “abbiamo fatto molto”. La seconda, {{Gisella Modica}}, fa anche parte della Società Italiana delle Letterate perché pensa che {{la parola scritta, oltre quella detta,}} sia fondamentale. Ha stentato molto a riuscire a riconoscere l’autorità femminile che le era passata davanti diverse volte. Solo dopo un percorso che aveva a che fare con il corpo c’è riuscita. Ha trovato donne senza cultura che le hanno mostrato empatia e ha raccolto le loro storie. Una donna le ha raccontato di essersi messa gli orecchini di brillanti e i vestiti con i pizzi quando andavano ad occupare le terre. La chiamavano la baggianusa: la vanitosa; invece non lo faceva per mostrarsi: quello era il suo modo per darsi autorità. Sono segni, non parole. Ma è difficile riportare i loro racconti se non vengono trasformati in storie. Se lei non avesse usato l’immaginazione, non sarebbe riuscita a far capire che quello era il linguaggio dell’autorità, perché l’autorità deve essere nominata e quindi raccontata. Quando ci raccontiamo la politica usiamo un linguaggio che ripete quello maschile, mentre si devono mischiare continuamente gesti (orecchini) e dialetto (lingua materna), il vero e l’immaginario, confondere e confonderti, stare sulla ferita, sul dolore.

Dei pochissimi uomini presenti solo due hanno preso la parola. {{Beppe Pavan}}, dell’Associazione “Uomini in cammino”, facendo riferimento ai risultati delle elezioni francesi (la sconfitta della sinistra, l’avanzata della destra) e alla continua altalena nei risultati elettorali (perché l’elettorato vota sempre per reazione a qualcosa che non va più) sottolinea come sia necessaria una rivoluzione culturale stando in una relazione di differenza. Lavorando con gli uomini sta cercando di portare avanti una mediazione maschile creando gruppi di autocoscienza maschile come lavoro di prevenzione della violenza. Terreno fertile è la scuola. Le associazioni maschili vengono invitate a parlare, ma non basta l’input delle scuole se a casa non cambia nulla nei rapporti tra i genitori.

Secondo {{Stefano Ciccone}}, dell’Associazione “Maschile Plurale”, le donne sono {{portatrici di senso}} più che di autorità. Come mettere in relazione di differenza fertile donne e uomini? I maschi devono fare un doppio sforzo: riconoscersi in debito senza arrivare all’ossequio; prendersi quindi l’autorità di esprimere i propri desideri.

A tutte queste provocazioni ha risposto{{ Annarosa Buttarelli}} in due interventi.
Rispondendo alle donne che fanno politica attiva ha ricordato che compito dei sindaci e dei movimenti è quello di respingere tentativi di snaturare i territori (es. accorpamento dei comuni). Infatti vengono create fittiziamente delle emergenze accampando il problema dei soldi.
E’ veramente contenta della qualità politica del lavoro che si sta facendo: {{il passo avanti}}. C’è effettivamente una generatività sulla questione dell’autorità. C’è uno spostamento in corso nell’orizzonte della genealogia del concetto di autorità. Ricorda che {{l’autorità, secondo Luisa Muraro, è un generare,}} un prendere parte per le ragioni della vita, per tutte quelle pratiche che generano il modo in cui siamo in relazione e si prende cura anche dell’anima. Sarebbe utile intrecciare quello che stiamo dicendo con un’ondata che sta venendo avanti, la terza ondata del femminismo che sta costruendo una rete.

Quello che secondo Buttarelli possiamo dire alle donne che intendono andare a governare: bisogna ricordare che vanno in luoghi dove gli strumenti sono da ricollocare in “un terreno differente” (come le piantine che vanno trapiantate quando non prosperano). Nemmeno gli uomini sanno più cosa fare. Non c’è più il potere come lo abbiamo conosciuto; l’economia finanziaria ha fatto il passo avanti. {{Gli uomini usano strumenti spuntati. }} Si deve sapere che non si possono più usare le Istituzioni che stavamo organizzando. Le istituzioni devono restare ma dobbiamo avere l’intelligenza e la capacità di trasferirle in un altro terreno. Si deve studiare, collegarsi con quello che è stato fatto dal femminismo della seconda ondata, ma anche molto con il primo femminismo. Si devono attivare {{pratiche di riorientamento nella gestione del potere}}. Dobbiamo legarci in una rete molto stretta: un altro mondo in questo mondo. Dobbiamo assumere una responsabilità “gioiosa” che corrisponde all’orientamento interno.

Essere “sovrane” corrisponde ad una trasformazione di sé, della propria forma mentis; un linguaggio, un modo di entrare in relazione che è anche una trasformazione esterna. Perché lei parla di autorità “femminile”? Perché può trasformare la forma mentis occidentale. Ci sono “fondamenti” cui si può fare riferimento; dalle pratiche attivate qua e là sono usciti {{fondamenti che possono generare nuove istituzioni,}} come la rappresentanza, che è fallita. Ricordarsi di non cedere; se si cede di un metro nella propria radice, cede la radice. La {{radicalità femminile }} è l’unica garanzia perché possiamo mantenere le forze che altrimenti perdiamo.

Alla domanda di {{Anna Potito}} di Foggia, che vorrebbe un chiarimento sul concetto donne-popolo in quanto “le donne non sono una categoria come non lo è il popolo”, Annarosa Buttarelli risponde che ha avuto l’intuizione che il nome “popolo” adombri soprattutto il nome “donne”. Non abbiamo una sufficiente rappresentazione del popolo in quanto è un aggregato di differenze che non si è mai lasciato definire solidamente. Marx, parlando di “classe lavoratrice” intendeva quella parte che doveva fare la rivoluzione. Già allora occorreva invece allargare il concetto di “classe” ai lavoratori in generale. Ora c’è grande turbolenza nel mondo del lavoro che è irripresentabile come lo sono le donne. Nella storia delle donne non può esserci un {continuum} con i criteri della storiografia classica. Il popolo e le donne sono gli esclusi dal luogo del potere inteso tradizionalmente. I rappresentanti rappresentano le ragioni del potere e non dei rappresentati anche se si dice “voce di popolo voce di Dio”. Nella libertà dall’essere rappresentati si forma quello che chiamiamo “opinione pubblica”. Le voci popolari non sono rappresentate nei luoghi istituzionali. Si ha “populismo” quando gli umori vengono intercettati, assunti e fatti diventare un’altra cosa. Le donne si sono sempre sottratte. Però tra i grandi populisti ci sono molte donne, per esempio Evita Peron, madrina del populismo di destra che aveva però alleanze forti con il popolo “vero”. Le donne infatti hanno quella fedeltà al piano del “sentire”, alla “relazione affettiva” alle cose, che gli uomini non hanno. La razionalità è diventata reazione. Non c’è più nesso tra vita e istituzione. Esito finale del razionalismo è quello di perdere il “sentire”. Non siamo capaci di innestare un agire politico che tenga conto del rapporto con quello che accade nella realtà. Se si fa appello all’ermeneutica già pronta, si distanzia la vita del popolo dalla vita istituzionale.

Nel suo libro{ Sovrane} Annarosa Buttarelli ha documentato esperienze storiche e contemporanee, scommettendo sulla sovranità femminile come sull’unica possibilità esistente nel mondo contemporaneo per provare a {{rigovernare il mondo}}. E’ scritto nella presentazione all’incontro che “rigovernare è un verbo amato dalle donne ed è perfetto per indicare un possibile cambio di civiltà, in cui si smette di accontentarsi delle riforme che riconfermano e appesantiscono ulteriormente l’esistente (…). Vogliamo provare a vedere se ci sono le condizioni, i desideri e la forza necessari per riprendere il cammino con un inedito passo avanti (…).Desideriamo intrecciare tutte queste esperienze e orientarle saldamente nella politica delle donne, la radicale politica della differenza sessuale che propone l’autorità femminile come pratica di governo senza la necessità di avere potere, ma non respingendo il desiderio di donne di mostrarne un uso del tutto contingente e impersonale”.

Molte altre donne hanno preso la parola: la prima è stata {{Anna Di Salvo}}, della “Rete della Città vicine” di Catania, tra le organizzatrici dell’incontro che, visto il disordine simbolico della politica ufficiale, si augura che dall’incontro, dicendoci reciprocamente le esperienze, venga fuori un orientamento differente dell’attuale, un nuovo slancio; {{Laura Minguzzi}}, della Libreria delle Donne di Milano, partendo dal convegno dell’anno precedente da cui è emersa la necessità dello scatto di autorità, ricorda la libertà di scelta elencata da {{Simone Weil}} tra i bisogni dell’anima.(v. pag. 91 di “Sovrane”); {{Anna Maria Rossano}}, psicologa, ha ribadito che dobbiamo essere “sovrane” della nostra esistenza. Da lì si deve partire, dall’esistenza psichica dentro e fuori di noi. Se si riesce a non opprimere, si riconosce l’autorità in se stesse perché la si riconosce nelle altre. La legge, quando deve essere utilizzata, deve servire come “strumento”. Ha grande ammirazione nei confronti di Anna Rosa Buttarelli , la quale non permette che la sua sovranità venga svalutata; {{Adriana Sbrogiò}}, dell’Associazione Identità e Differenza di Spinea (Ve) si sente sovrana perché sempre fedele a me stessa, cercando di non cedere mai per non perdere forza. {{Nadia Nappo}} opera con il movimento delle Donne in nero e partecipa alla rete delle Città vicine. Ricorda la relazione attiva che è nata tra donne israeliane e donne palestinesi: prima non esisteva, è nata sul campo. Infatti l’autorità non ce la possiamo portare a casa: è {{nella relazione. }}

Mi sembra che per concludere, anche se ci sono stati altri interessanti interventi, questo sia un messaggio importante.