Sull’ultima vicenda di Adro ho letto i giornali e le mail che girano; ho guardato i video, i soli delle alpi che occhieggiano ovunque, i crocifissi avvitati ai muri, le masse plaudenti punteggiate di divise verdi; ho ascoltato i discorsi di assessori regionali, sindaco, parroco; ho letto alcuni commenti autorevoli; ho cercato, senza averli trovati, i numeri che mi direbbero quanti bambini musulmani (o ebrei) di Adro non mangerebbero i menù a base di carne di maiale che la mensa scolastica proporrà e, per questo, staranno a casa loro. Ho anche visitato{{ il sito del comune di Adro}} e notato, solo per fare un esempio, che {{il bando per accedere ai prestiti per i nuovi nati esclude i figli di coppie non regolarmente sposate e quelli di cittadini non comunitari.}}

Tutto questo, soprattutto le immagini, mi dà un’angoscia che non trova parole adeguate. E’ {{un’operazione totalitaria con pochi precedenti negli ultimi sessant’anni:}} i simboli, religiosi e pagani, che ricorrono ovunque, martellanti; il consenso che pare massiccio; i silenzi dei responsabili scolastici; le discriminazioni sbattute con arroganza in faccia ai discriminati; l’uso partitico di un’istituzione pubblica deputata alla formazione dei futuri cittadini.

Gli storici del fascismo hanno usato l’espressione “nazionalizzazione dell’infanzia”: lo scenario è pronto per accogliere i bambini e le bambine della nazione padana (ma loro scriverebbero Nazione Padana, perché le maiuscole conferiscono autorità), le istituzioni locali mobilitate, il consenso diffuso, anche se non ancora totale. “Basta che funzioni”, dicono molti dei genitori intervistati. Com’è possibile? Fa paura. Scontro di inciviltà. ‘Noi’ abbiamo lavorato tanto ma tanto per fare questa scuola tutta verde e padana, ‘noi’ l’abbiamo costruita con lo stesso amore che ci metteremmo a fare casa nostra, ci abbiamo messo soldi ‘nostri’ e sudore ‘nostro’ per fare una scuola pubblica; l’abbiamo intitolata, peraltro con una prassi arbitraria, a un padre fondatore del ‘nostro’ partito; quindi siamo “padroni a casa nostra” e quel 16% di ragazzi stranieri che vogliono frequentare le scuole bresciane devono diventare proprio come noi e ringraziarci se li tolleriamo.

A Pontoglio, ad esempio, paesino a pochi chilometri da Adro, in parrocchia non li vogliono più se parlano una lingua straniera e{{ il parroco }} dice: “Secondo il Vangelo, noi all’Oratorio accogliamo tutti, indipendentemente dal colore della pelle e dalla religione. Ma {{non possiamo più tollerare i gruppetti di stranieri che parlano ognuno il proprio idioma, incomprensibile per gli italiani e per le altre etnie}}”.

{{Occorre conoscere bene la lingua del padrone di casa}} per obbedire prontamente agli ordini. Bisogna anche adattarsi a mangiare il cibo che ci passa e imprimerci bene nella mente i suoi simboli, per amarli, ma soprattutto per temerli. Speriamo che a nessuno venga in mente di tatuare sul braccio dei migranti il numero del permesso di soggiorno e di chiamarli, invece che coi loro astrusi nomi, con un numero, magari abbaiato in dialetto.

Provo sgomento e ho l’impressione che i nostri strumenti di analisi politica e antropologica siano{{ inadeguati a comprendere quello che sta accadendo intorno a noi}}. Le cose vanno troppo in fretta e il contrasto alle discriminazioni, come noi lo intendiamo, mi pare possa funzionare come le tendine blu alle finestre durante i bombardamenti del ’44. Può arginare qualche colpo, ma la città, la polis – con i suoi luoghi di incontro, le sue biblioteche, i segni di un passato in cui per millenni si sono incontrate culture e popoli – sembra destinata ad essere rasa al suolo. E c{{on la polis rischia di morire anche la politica}}, che vive solo se c’è libertà e se l’individuo, con i suoi diritti, viene prima di ogni comunità.

immagine da [giornalettismo.com->http://www.giornalettismo.com/archives/81092/adro-nelle-scuole-statali-simboli/]