C’e’ voluta una settimana per riuscire a far fuoco su quello che è successo alla due giorni della rete femminista e lesbica. Una settimana per lasciar decantare e per guardare a quei momenti con un po’ di senso dell’umorismo.Già, perché ne serve tanto per tirare fuori qualcosa di costruttivo dal Flat bolognese. Innanzitutto fotografiamo il momento della chiusura dell’assemblea plenaria: eravamo tutte incavolate, ma ognuna per un motivo diverso.

Ricominciamo dall’inizio: la Flat di Bologna viene dopo una partecipata e riuscita due giorni romana, quella del 23/24 febbraio. Viene anche dopo la campagna elettorale, le donne in piazza contro Giuliano Ferrara, le donne contro le donne che non sono scese in piazza e contro quelle che non hanno votato verso alcune direzioni o non hanno votato affatto.

Era stato espresso da più parti il desiderio di vedersi e raccontarsi cosa fare, come reagire all’ondata razzista e fascista che ci ha sommerso dopo la vittoria alle elezioni del centro destra e dopo la presa di Roma da parte del sindaco Alemanno. Tante cose sono accadute, le aggressioni fasciste, la morte di Nicola, le famiglie rom sgomberate a Napoli, a Roma, gli stranieri perseguitati a Milano così come in tutto il nord est.
{{
Quando il fascismo arriva porta tutto ciò che è brutto con se’}} e dunque abbiamo visto sgretolarsi ogni minima illusione rispetto alla possibilità di vedere applicata la 194 senza processi di criminalizzazione per le donne.
_ Abbiamo visto {{la ministra alle pari opportunità}} prendere la parola per ridefinire la stessa funzione del suo ministero che pare più votato a sorvegliare il buon andamento delle famiglie italiane che non a garantire reali pari opportunità alle donne.
_ Basti pensare alle strategie pensate per contrastare la violenza, mentre veniva tagliano il fondo di venti milioni di euro disponibili per un piano che supportasse questa strenua battaglia e mentre la stessa ministra in parlamento, in risposta ad una interrogazione parlamentare che chiedeva lumi rispetto a questa scelta, affermava che se quei soldi erano destinati a sostenere i centri antiviolenza bisognava anche dire che i centri in realtà servono a poco. Così ci ha servite con una battuta che annunciava quanto lei ci avrebbe stupito con effetti speciali e giochi pirotecnici. E in effetti così è stato: la ministra ha {{riproposto il testo sullo stalking e un altro ddl contro la violenza}} e in entrambi i casi l’{{istituzione di reati e di aggravanti lasciano un vuoto di azioni complessive}} tese ad aiutare le donne quando esse subiscono violenza dentro le famiglie.

Insomma, è questo il tempo in cui ci siamo trovate e a questo proposito a parecchie di noi era venuta in mente l’idea di scrivere alla Carfagna per rispondere alle sue affermazioni rilasciate per lettera a repubblica. Ne è venuto fuori un documento corposo, fatto di tante posizioni diverse, che sommava l’eterogeneità della rete e che ha rappresentato una uscita politica in un momento di difficile silenzio per tante donne.

La risposta alla ministra è stata costruita via mailing list con il metodo del consenso, che somma tutte le opinioni e ne crea una che corrisponda a tutte e a nessuna allo stesso tempo. La costruzione della risposta ha sollevato anche quale fosse il ruolo della mailing list, se assemblea permanente o se luogo di semplice contatto svuotato di qualunque capacità decisionale.
_ A questo proposito è arrivato un intervento che ha teso a delegittimare quell’unica azione politica uscita fuori dalla lista e ha trascinato con se’ la necessità di riaffermare metodi controllabili e non necessariamente capaci di garantire piena partecipazione: l’assemblea reale come unico luogo decisionale con “voto” a maggioranza.
_ Inutile dire che questa posizione mi ha trovato in totale disaccordo per la demonizzazione degli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione proprio per accorciare a costi bassissimi le distanze e perché in effetti è poi invece più vero che le assemblee reali in contesti non “congressuali” in cui ci si sposta volontariamente e a spese proprie e molto più difficile che siano “partecipate” a tal punto da poter essere persino rappresentative (non abbiamo delegate) di tutti i gruppi presenti all’interno della rete.
_ Il punto vero poi è anche un altro: {{non si tratta di mailing list o di assemblea reale}}. Si tratta invece di {{quale metodo scegliamo di utilizzare per decidere cosa essere e cosa fare}}.

{{La rete femminista e lesbica sta ad un bivio}}: essere un movimento identitario arroccato solo su certe posizioni o evolversi davvero verso una “rete” che somma tante presenze eterogenee e che dunque necessita di altri strumenti di partecipazione. Il {{voto a maggioranza non va bene}} in ogni caso perché basta che vi sia un gruppo ben organizzato che cali i propri interventi tra una narrazione e una testimonianza ed ecco ottenuta la maggioranza. Il voto a maggioranza non garantisce che sia superata la questione difficile che si è posta già per il 24 novembre e che si ripropone per ogni iniziativa futura che arriva all’insegna di quel separatismo, prima strategico e ora quasi normativo, che diventa stretto per tante di noi che “strategicamente” hanno scelto di fare politica di genere in ambiti misti.

Con questo carico di questioni siamo arrivate al {{Flat di Bologna}}, voluto dal gruppo “Quelle che non ci stanno” e supportato da un pezzo della rete bolognese delle donne.

{{La costruzione della due giorni ha deluso alcune donne}}, perché non è stato possibile continuare il lavoro iniziato nei tavoli del flat precedente. La formula proposta è stata alla fine composta di {{tre tavoli che sommavano tutti gli argomenti}} che in febbraio erano divisi in otto. E’ mancato ad esempio il tavolo sullo spazio pubblico che virtualmente e praticamente continua grazie alle donne che vi si sono dedicate. E’ mancato il tavolo sul reddito che ad un certo punto alcune donne pensavano di costruire in maniera autonoma senza riuscirvi.

Nella costruzione della due giorni dunque pare ci siano stati dei{{ vuoti di condivisione}} con quelle che dalla mailing list e a distanza chiedevano conto di quanto si stava facendo. La questione si è poi ridefinita in un incrocio tra un pessimo modo di relazionarsi sul territorio e un eccessivo determinismo di chi poi materialmente doveva assumersi il carico dell’organizzazione dell’iniziativa.

A margine della due giorni è stata organizzata anche una {{manifestazione notturna gemellata con quella di Parigi}} e con un presidio di Bari. Anche in quel caso non è mancata qualche polemica.

Il {{tavolo della comunicazione}}, fortemente richiesto, è stato confermato ed è lì che io ho portato il mio contributo.
_ Giusto per confermare le grandi potenzialità della tecnologia abbiamo lavorato in un tavolo in contatto a distanza con altre donne collegate attraverso Skype. Loro potevano sentire noi e noi potevamo sentire loro che così sono riuscite ad intervenire e a manifestare la propria opinione anche senza essere fisicamente presenti.

{{La discussione inevitabilmente ha riguardato la stampa, i media e la nostra relazione con essi}}. Le posizioni manifestate sono state differenti.
_ Da quelle che hanno fortemente affermato di voler innanzitutto valorizzare gli strumenti di comunicazione di cui disponiamo a quelle che, a partire dalla volonta’ di farsi media e fare “informazione”, hanno comunque sottolineato quanto sia importante tessere relazioni con giornaliste, soprattutto precarie, anche per lavorare assieme a loro, quando è possibile, sul linguaggio sessista spesso utilizzato dai media mainstream.

Il secondo punto trattato ha riguardato la {{questione del metodo e dell’uso della lista}}. Il nodo non si è sciolto ed è stato chiaro sin da subito che il gruppo di persone che avevano a distanza manifestato disapprovazione per la lettera alla Carfagna hanno fatto interventi concordi – pur riconoscendo la necessità di una valorizzazione della pluralità di esperienze coinvolte – nella delegittimazione della lista e nella riconferma del metodo di scelta politica con voto a maggioranza. Un metodo cioè, che a differenza del metodo del consenso, non tiene conto dei pareri contrari.

Alla domanda: come mai non siete intervenute per dire in lista che la lettera non vi sembrava una bella idea, è stato risposto semplicemente con un “non siamo d’accordo, la lista non va usata per queste cose…”

Dirimere questo nodo non è stato semplice e quindi tutto è stato rimandato alla assemblea plenaria della domenica mattina.

Il terzo e ultimo punto riguardava il {{linguaggio da scegliere e le campagne da fare e supportare}}. Anche in questo caso si è affermata una autonomia nella rielaborazione dei linguaggi e si è ragionato sui modi per poter comunicare agli altri e alle altre a partire dal fatto che bisogna fare attenzione a non dare per scontato che tutt* capiscano cio’ che noi vogliamo dire. Su tutto ciò comunque vi può essere utile leggere la sintesi del tavolo che spiega in dettaglia quali sono le proposte e quali i percorsi che si vorrebbero intraprendere.

La domenica mattina alla plenaria eravamo più o meno 150 donne e in apertura sono state lette o raccontate le sintesi dei gruppi di lavoro.

Dal {{gruppo violenza}}, tra le altre cose, è venuta fuori la proposta di una manifestazione nazionale da fare il 22 novembre (a sud o a Roma se nessuno città del sud è disponibile) e preceduta da una settimana di iniziative nei vari territori.

Su questa questione si è riaperta la {{discussione sul separatismo si separatismo no}}. La tendenza di alcune e’ stata quella di ignorare le sollecitazione che venivano da un po’ di donne, me compresa, di riconsiderare la questione del separatismo oramai “naturalizzato” e di ridescriverlo comprendendo la presenza di gruppi misti con una chiara legittimazione politica.

Alcune donne non sono d’accordo e non vogliono tornare indietro e parrebbe impossibile ridiscuterne a tal punto che pare più possibile restare a concentrarsi nei propri territori invece che investire in una manifestazione che quasi sicuramente creerà altre tensioni.

Dal {{tavolo sull’antirazzismo}} è arrivata invece la proposta a partecipare alla manifestazione del 5 luglio organizzata dal coordinamento antirazzista (misto).
_ Alcune donne hanno sollevato il problema relativo il fatto che fare una manifestazione antirazzista che non prende contatto con le donne delle etnie coinvolte ma con coordinamenti misti poteva essere una bella contraddizione e una sorta di assoluzione per i machismi presenti in altre culture.
_ Altre donne, spesso le stesse che vogliono il separatismo assoluto per la manifestazione del 22 (non si capisce secondo quale linea di coerenza), si sono dette invece d’accordo nel seguire questa proposta.

In ultimo è stato{{ discusso l’andamento della manifestazione della sera prima}} durante la quale un gruppo di donne hanno guadagnato un po’ di terreno rispetto a quello concordato con la questura. Il punto che ha determinato la polemica è stato il rischio di una denuncia a carico della donna che ha dato garanzie alla questura e il fatto che l’azione non è stata condivisa con le altre del corteo, il che ha fatto affermare a {{Lea Melandri}} che non solo sarebbe auspicabile adottare il metodo del consenso nelle decisioni ma quantomeno sarebbe il caso di condividere le informazioni in un {{consenso informato}}. Vale a dire che se siamo davvero così brave a dirci in grado di autodeterminarci bisogna però anche che tutte si sia in condizioni di scegliere. Senza informazioni non c’e’ libertà di sceltà.

La plenaria chiude dunque con una sintesi che non ha visto chiariti nessuno dei punti trattati. Nulla di deciso, nulla di scontato. Chi dice il contrario forza la verità in un’unica direzione. Tutto da ridiscutere. Forse ad un prossimo appuntamento o forse non si sa.

La domanda è: non si può parlare in lista, non si può parlare in assemblea dato che l’esito delle riunioni comunque viene sempre forzato in un unico senso. Dove mai si potrà parlare affinché tutte si possa sentirci rappresentate e valorizzate nelle nostre singole o collettive esperienze?