Vi propongo alcune previ riflessioni  sulla parata “repubblicana” degli strumenti di morte con un comunicato di «Non una di meno» e una riflessione di Cinzia Sciuto su retorica militarista, violenza di genere, patriarcato e religioni.

Trento – raduno degli alpini maggio 2018

«Meno eroismo, più erotismo»: resiste (da almeno un anno) questa scritta su un muro di Cagliari con la firma del cerchio femminista. Una concreta proposta controcorrente in una Sardegna sempre più militarizzata e a vassallaggio NATO; come purtroppo lo sono anche la Sicilia, Roma (a Centocelle c’è una nuova mega-servitù militare dentro il Parco archeologico: https://ilmanifesto.it/il-pentagono-dentro-roma) e tutta l’Italia, dove sono in arrivo altre nuove armi Usa. La buona notizia è che in Sardegna e Sicilia – ne raccontiamo spesso in “bottega” – e più faticosamente anche altrove una opposizione antimilitarista cresce. La cattivissima notizia è che la propaganda bellica è (quasi) senza contraddittorio nelle scuole e nei media. Oggi 2 giugno si festeggia la repubblica che ripudia la guerra eppure sfilano le forze armate… fino ai denti (come fosse un vecchio 4 novembre e ancora comandassero i Savoia con o senza Duce). E non si vede fra le “grandi” forze politiche chi voglia disarmare o almeno seriamente riflettere sulla spirale che ci trascina sempre più velocemente in guerre ovunque (in spregio appunto all’articolo 11 della Costituzione). Così la “bottega” oggi sceglie di recuperare alcune bruttissime notizie che sono arrivate pochi giorni fa dalla “Festa degli alpini” a Trento: il massimo della retorica dispiegata in omaggio alle “penne nere” (ma anche ai parà, ai “due marò” ecc) ha impedito ai media supposti grandi di vedere e capire i fatti prima e poi di dar conto delle puntuali riflessioni della rete trentina «Non una di meno» e di Cinzia Sciuto (sul suo blog «Animabella» e sulla rivista «Micromega»). Che militarismo, razzismi e violenza di genere – ma anche le religioni – si intreccino è una tragica verità. Chi non la vede è cieco.

“Le strade sicure le fanno le donne che le attraversano”, recita uno slogan femminista. Uno slogan che illumina due questioni: la libertà di azione che molti uomini avvertono e mettono in atto quando viene meno un controllo sociale diffuso e la fallacia di un approccio di esclusivamente securitario alla violenza di genere.

Quanto avvenuto a Trento in questi giorni in occasione della Festa degli Alpini, e denunciato dalla rete Non una di meno-Trento, ne è l’ennesima dimostrazione.

Il problema non è circoscritto alla serata dedicata a “Miss Alpina bagnata” – in cui si invitava a “bagnare con la birra la tua alpina preferita” – che di per sé sarebbe sufficiente, ma riguarda il fatto che uno spazio pubblico attraversato da migliaia di maschi si sia tradotto in uno spazio insicuro per le donne, molestate e oggetto di commenti e approcci non richiesti e non graditi. Di seguito pubblichiamo il comunicato di Non una di meno-Trento, alcune testimonianze giunte alla loro pagina Facebook e un commento di Cinzia Sciuto. (i.c.)

COMUNICATO NON UNA DI MENO – TRENTO

In questi giorni viviamo una Trento mai vista: centinaia di migliaia di persone sono arrivate da tutta Italia per partecipare alla 91esima adunata degli alpini. Ma come spesso accade, quello che gli uomini chiamano festa si traduce in motivo d’ansia per le donne, con il moltiplicarsi di molestie e approcci non graditi. Una libertà di azione che molti uomini mettono in atto ogni volta che viene meno un controllo sociale diffuso. Questa adunata non ne è esente e siamo già state tristemente oggetto e testimoni di manifestazioni di sessismo, machismo e maschilismo: sguardi viscidi, complimenti non richiesti, fischi, palpeggiamenti e gruppi di uomini che ci accerchiano e ci impediscono di passare sono solo alcune delle cose che stiamo subendo. A queste si aggiunge la serata dedicata a “Miss Alpina bagnata” in cui si invita a “bagnare con la birra la tua alpina preferita”. Al di là dell’oggettificazione della donna, dettaglio non certo trascurabile, non capiamo come si possa non considerare umiliante (facendolo anzi passare per apprezzamento) il gesto di lanciare addosso a qualcuno della birra. Il problema è che in un clima di festa, con alcool che scorre a fiumi e musica ovunque queste continue microaggressioni passano inosservate. Non vogliamo più stare zitte, non vogliamo “stare al gioco” e fingere di divertirci, e non vogliamo essere noi a pagare il prezzo del divertimento maschile, in una città come Trento, che da sempre usa il concetto di “decoro urbano” per attaccare student* e migranti accusandoli di essere fonte di degrado salvo poi tollerare che lo stesso venga realmente prodotto in una situazione istituzionalizzata. Non vogliamo essere oggetto del divertimento molesto degli uomini che loro si ostinano a chiamare goliardia. Non vogliamo, come alcune di noi hanno fatto, dovercene andare altrove per evitare situazioni spiacevoli. Sosteniamo e promuoviamo forme di maschilità non prevaricatrici e feste in cui tutte le persone possano divertirsi senza che qualcuna debba farne le spese.

ESSERE DONNA E MULATTA IN TEMPI DI ADUNATA

Maggio 2018. Trento, sicura, silenziosa, regina di decoro urbano si prepara ad accogliere 600000 militari e simpatizzanti smaniosi di sfilare per giorni a passo di marcia.

Da settimane la città è in fermento, i camion di bitume rompono i silenzi notturni, squadre di pompieri vengono arruolate per onorare la patria e adornare la le facciate di bandiere tricolore, anche la bella e ormai succube sede di sociologia si veste a festa e da il ben venuto agli alpini. Allora via le bici, disinfetta i parchi da migranti e accattoni, scattano ordinanze su ordinanze speciali. 10 maggio è tutto pronto.

La città è luccicante e disposta a delegare interamente l’ordine pubblico all’organizzatissimo Corpo degli Alpini, legittimati in ogni loro azione dal semplice essere forze dell’ordine e di conseguenza affidabili, solidali, caritatevoli rappresentanti dell’ordine costituito.

Il capoluogo si trasforma in cittadella dell’Alpino, come per ogni grande evento il capitalismo si traveste per l’occorrenza e subdolo si appropria di ogni cosa. Chiudono le università, chiudono le biblioteche, chiudono gli asili nido. Ogni via si riempie di uomini in divisa, penne nere, fiumi di alcol, cori e trombe. Diventa labirinto inaccessibile e sala di tortura per qualsiasi corpo che non risponda alle prerogative di maschio, bianco, eterosessuale. (ah, non deve avere coscienza critica, questo è chiaro)

Diventa impraticabile e pericolosa per me che sono donna e mulatta. Esposta in maniera esponenziale a continue aggressioni verbali e fisiche che intersecano razza e genere, dando vita ad una narrativa vissuta e rivissuta mille volte nei più svariati contesti. A chi importa il tuo vissuto, a chi importa da dove vieni, a chi importa chi sei, chi si ricorda di avere davanti una persona, a chi importa?

Il colore della tua pelle, i ricci ribelli, i lineamenti, l’espressione di genere sono un pass par tout per aprire le fogne , etichette incollate su ogni parte del mio corpo che legittimano qualsiasi forma di violenza razzista e sessista. Non serve altro, il discorso d’odio è servito, è tutto normale, dall’alto del privilegio maschio e occidentale è tutto consentito. Ogni angolo di quell’immenso e pericoloso formicaio era per me trappola e luogo di resistenza, i miei tratti somatici mi tradivano in continuazione, l’autodifesa mi teneva in vita, sempre vigile e attenta.

Al tavolo di ogni bar, ad ogni incrocio si potevano captare l’affanno delle poche sinapsi di branchi di energumeni messe sotto sforzo, per portare avanti una discussione che puntualmente veniva condita da una frase come: “sti negri de merda”, “non sono razzista, ma…”, “andassero tutti a casa loro”, “gli ammazzerei tutti”, ”tira fuori le tette”, “bella gnocca vieni qua” ,qualche camionata di insulti a venditori ambulanti, che corazzati da anni di resistenza continuavano imperterriti il loro lavoro, e poi via, un altro rosso, prego, che la festa continui!

Mi sono sentita ingiustamente violentata ed impotente, violentata dagli sguardi, dai commenti sessisti, dalle palpate, dal esotizzazione continua del mio corpo trasformato in oggetto sessuale che risveglia profumi di violenza tropicale, nostalgie coloniali.

Nessuno ha chiesto il mio consenso, nessuno si è sentito in dovere di farlo, nessuno si è sentito responsabile per quello che stava accadendo nello spazio pubblico che lo circondava, nessuna delle “loro (bianche) donne” mi è stata solidale. Le istituzioni complici, si sono girate dall’altra parte e con tranquillità si sono fatte servire un vino, al tavolo dell’aggressore.

Nessuno si è chiesto se fosse normale che una cameriera sottopagata dovesse sopportare per ore frasi del tipo “Che bela moreta, fammi un pompino” o semplicemente, “non mi faccio servire da una marocchina” tutto normale , tutto concesso, nobilitato dalla posizione di “salvatore della patria”, corpo solidale in caso di calamità naturale. Tutti sembravano non voler ricordare che machismo e razzismo vengono esercitati da qualsiasi corpo, tanto più se privilegiato e paramilitare.

Questi quattro giorni sono stati la cartina torna sole dell’aria che si respira a livello nazionale, dell’ansia che ogni corpo di donna o di negra sente quotidianamente nell’attraversare lo spazio pubblico, delle ondate razziste e sessiste che attraversano il paese, ma non lo scuotono, che si insinuano silenziose nel discorso politico istituzionale di ogni giorno.

Io, come moltissime altre, non ci sto! non sono disposta a dover lasciare la città perchè non è per me spazio sicuro, non sono disposta a delegare la mia sicurezza a gruppi di militari maschi e testosteronici , non sono disposta a sorridere e lasciare correre “perché in fondo si scherza”, non sono disposta ad essere complice della vostra lurida violenza quotidiana con il mio silenzio, non sono disposta a tutelare il buon costume della vostra civiltà, rispettosa solo con chi rientra nei canoni imposti. Non sono più disposta ad agognare sanguinante e invisibile perché voi possiate marciare in pace sul mio corpo e onorare la vostra patria. Siamo stanche e arrabbiate, non ci sarà più nessuna aggressione senza risposta, nessun silenzio complice.  lettera firmata

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Ciao, anch’io come le altre ragazze ho subito molestie durante l’adunata degli alpini. Ho lavorato in un bar del centro in quei giorni. Per chiamarmi gli appellativi erano spesso “donna” “bambolina” “mona” ” gnocca” “cameriera, fai la brava”. Le molestie fisiche sono state ancora peggio: strusciamenti da dietro, mani sui fianchi che scendevano finché spinavo birre, baci sulla guancia non graditi né richiesti, prese per i fianchi finché portavo vassoi per fare una foto con me, sguardi perversi e insistenti sul mio seno, a pochi cm di distanza, al punto che sento ancora la puzza di alcool del loro fiato. Il tutto mentre io lavoravo, mentre correvo su e giù per i tavoli per circa 11h al giorno, per servirli e sentirmi i loro commenti sessisti, omofobi, e razzisti. Li ho visti cacciare a suon di insulti tutte le donne e gli uomini di colore che passavano. Uno di loro mi ha detto che se l’anno prossimo tornava, e scopriva che ero ancora fidanzata, mi avrebbe “legnata”. Erano tutti ubriachi fradici, fin dal mattino. Ho sofferto doppiamente perché ho reagito solo in parte, mi sentivo con le mani legate, impotente. Non potendo rischiare di perdere un lavoro ho reagito con stizza alle loro provocazioni, allontanandomi e cercando di tenerli a distanza per quel che potevo (la sera, quando mi sono trovata a spinare birra da sola, anche a spintoni e gomitate). Ma la rabbia è montata dentro di me, e ho realizzato solo ieri di quanto sia uscita ferita da questi tre giorni, ieri ho pianto più volte per la frustrazione provata. Se avete intenzione di scrivere altri comunicati, o di fare una manifestazione per smuovere le coscienze, finché i fatti sono ancora recenti, io ci sono. Grazie per il supporto che ci avete dato in questi giorni, a me per prima leggere le vostre parole ha dato davvero forza e speranza! Un abbraccio

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Ciao! vorrei anche io lasciarvi una mia testimonianza in forma anonima di quanto è successo durante quei giorni di delirio puro che hanno contrassegnato l’adunata. Non più studentessa dell’università di Trento decido di tornare per questa grande occasione per rivedere i miei amici e godermi un po’ la città in quei momenti di festa. Peccato che le molestie subite sono diventate un vero tormento, in particolar modo sabato sera che a parer mio è stato il simbolo del massimo degrado: il primo episodio sgradevole si è verificato solo alle 10 di sera quando io e una mia amica siamo state inseguite da via belenzani fino in via verdi da due ragazzi ubriachi marci che hanno iniziato ad urlare “venite qui chiappe d’oro”, avendoli malamente ignorati i due non si sono arresi e da lì sono cominciati gli insulti gratuiti nei nostri confronti, dopo averci ripetutamente chiamate troie, puttane e fighe di legno hanno concluso con la frase più elegante “scappate scappate che tanto primo poi vi ritrovate il nostro uccello in bocca”. Di lì’ a poco le molestie sono continuate e sta volta da uomini che potevano avere l’età di mio padre, avevano il cappello degli alpini ma a questo punto non mi interessa neanche sapere se fossero veri alpini o avessero semplicemente comprato una copia del cappello. Questi uomini mentre io mi trovavo in fila per prendere una birra si sono avvicinati in branco iniziando a toccare in modo molesto, tanto che uno di questi mi ha preso la mano e se l’è portata al petto chiedendomi se volessi sentire i muscoli di un vero uomo, il tutto senza che io avessi dato il minimo conto a questi pervertiti. E ancora mentre ballavo con i miei amici al fiorentina sento delle dita all’altezza delle mie costole che cercavano di sollevare il reggiseno, terrorizzata mi giro e vedo una mano che si ritrae di colpo e dopo avergli intimato di non toccarmi il nobile uomo si è sentito ferito nell’orgoglio e anziché chiedermi scusa per il suo ingiustificato gesto ha iniziato a darmi della troia perché mi stavo inventando tutto giurandomi addirittura che lui non avesse fatto nulla, come se per me fosse stata un’esperienza piacevole fino al punto da inventarmi tutto per avere attenzioni da questa gran persona. La serata è proseguita secondo uno schema ben preciso, ti adocchiavano facevano in modo di bloccarti il passaggio e se tu ti fossi permessa di ignorarli iniziavano gli insulti e questi episodi, che è inutile raccontarli uno ad uno perché potrei metterci un giorno intero, possono ritenersi tra quelli “andati bene”, perché altre volte seguivano toccate e palpeggiamenti senza alcun rispetto nei confronti della ragazza. Io sono la prima che si diverte e che non rinuncia a bere quando ci sia l’occasione, ma quello che proprio non accetto è andare oltre i propri limiti fino a trasformarsi in veri e propri animali invasati. Non posso dire di aver un bel ricordo di quella serata, sono tornata a casa infastidita e frustrata per tutto quello che ho vissuto e a cui ho assistito. Scusate lo sfogo e grazie per dare la possibilità di raccontare tutto questo.

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DA COLONIA A TRENTO: QUANDO LE DONNE SONO RIDOTTE A OGGETTO

di Cinzia Sciuto

Nel leggere le testimonianze delle donne molestate a Trento durante l’ultimo raduno degli alpini, il pensiero è andato immediatamente a Colonia.

Nella notte di San Silvestro del 2015 un migliaio di uomini si sono dati appuntamento nella piazza della stazione della città tedesca per “festeggiare” a modo loro l’arrivo del nuovo anno. La loro “festa” si è tradotta in un incubo per centinaia di donne che erano in piazza. Tante sono state infatti le testimonianze di donne circondate, palpate, molestate sia verbalmente sia fisicamente. Ci sono state anche alcune denunce per stupro. La “festa” è andata avanti per ore, sotto gli occhi della polizia che non è intervenuta. E anche la notizia ha fatto fatica a diffondersi, ci sono voluti giorni prima che i media nazionali ne parlassero e si diffondesse la consapevolezza della portata di quello che era accaduto. In quel caso il motivo della ritrosia era il fatto che gli uomini coinvolti erano quasi tutti di origine nordafricana o mediorientale e, pur di prevenire la strumentale accusa di razzismo, le forze dell’ordine hanno preferito voltarsi dall’altra parte, tentando per giorni di non far emergere l’accaduto.

Qualcosa di non molto dissimile è accaduto negli scorsi giorni a Trento. Stavolta gli uomini che si sono dati appuntamento erano 60mila e non erano immigrati, ma italianissimi alpini. Il copione però è stato molto simile. I maschi volevano festeggiare e le femmine che si trovavano a passare di lì – o che magari erano in mezzo a loro per lavoro, come racconta una cameriera di un locale – si sono tutte trasformate (per unilaterale volontà dei maschi, ovviamente) in oggetti su cui vomitare molestie verbali e palpeggiamenti. Tanto alle donne piace, si sa.

Dopo l’episodio di Colonia alcune (molte per la verità) femministe misero subito le mani avanti contro l’eventuale strumentalizzazione antimusulmana di quello che era accaduto: non c’entra la religione, si disse, non c’entra la provenienza geografica degli assalitori. Il problema è la cultura patriarcale e misogina che è trasversale alle culture. Niente di più vero. Per fortuna oggi nessuno scenderà in piazza contro l’eventuale strumentalizzazione “antimilitare” dei fatti di Trento, perché siamo perfettamente consapevoli che la cultura militare rappresenta un terreno fertilissimo per la pianta della misoginia. Proprio come le religioni. Perché il punto è esattamente che la cultura patriarcale e misogina non è un gene in dotazione naturale a tutti i maschi della specie umana, che si tramanda sempre uguale a se stesso, semmai è un “meme”, un elemento culturale estremamente radicato, con una grande capacità di contagio e perfettamente in grado di adattarsi ai diversi contesti storici, sociali, economici e culturali, nei quali trova sempre qualcosa con cui saldarsi. Le religioni –  quelle monoteiste in particolare – sono sempre state un alleato potentissimo del patriarcato e della misoginia. Esattamente come lo è la cultura militare.

Da Colonia a Trento la lezione è comunque sempre uguale: nel terzo millennio le donne possono anche diventare prime ministre, amministratrici delegate, segretarie di partito, astronaute ma si ritrovano ancora a dover aver paura a camminare per strada, perché non sanno cosa può accadere loro. La violenza contro le donne è la punta di un iceberg, la cui base è l’idea che la donna non sia soggetto autonomo ma oggetto al servizio del piacere maschiale. Un’idea che è profondamente radicata in moltissimi uomini, anche in maniera del tutto inconsapevole. Fra le testimonianze dei fatti di Trento pubblicate dal Dolomiti ce n’è una di un ragazzo che denuncia che, in un momento di sua distrazione, due alpini ubriachi hanno molestato la sua fidanzata. Lui, orgoglioso, dichiara di aver reagito picchiandoli. Una reazione figlia della stessa identica cultura dei molestatori: come ti sei permesso di molestare la “mia” fidanzata? Anche dopo i fatti di Colonia, una delle reazioni – altrettanto violenta e misogina delle aggressioni – fu “difendiamo le nostre donne”. E finché c’è qualcuno che pensa che le donne siano “di” qualcuno dovremo aver paura a camminare per strada.