Le donne mettono al mondo figlie e figli e si prendono cura di loro. Su questa specificità biologica si è costruito un sistema culturale che ha generato la divisione dei ruoli sessuali.{{ Barbara Mapelli}} femminista e autorevole pedagogista, introducendo il volume {Trasformare il maschile} a cura di {{Salvatore Deiana}} e{{ Massimo Michele Greco}} (La Cittadella ed. 2013), scrive che finalmente alcuni uomini “prendono parola sugli intrecci che riguardano cura, educazione, formazione”. Chi scrive, un certo numero di uomini, continua Mapelli, lo fa “esplicitamente da una posizione di parzialità, assunta come unica possibilità del dirsi anche pubblicamente, ma anche come necessità…”. Come dire: assumere l’essere uomini come parzialità al posto dell’introiettato punto di vista universale, è cosa buona e sommamente onorevole. Ancora, dalla prefazione: :” Questa nuova ricerca maschile, se pure ancora poco diffusa pone molti interrogativi, aree di riflessione particolarmente complesse perché poco e solo recentemente frequentate. Innanzitutto una domanda di fondo: esiste una cultura di cura al maschile?”.

Nell’introduzione ai vari interventi, {{S. Deiana e M. Greco,}} scrivono che le donne hanno messo in discussione gli schemi con cui la cultura aveva modellato mete e obiettivi. Ora{{ tocca agli uomini }} azzardare l’ipotesi che “la messa in discussione delle aspettative di genere debba riservare un’attenzione e un approfondimento particolari nell’ambito maschile, …”.

I contenuti del volume: riflessioni e pratiche, “nelle dimensioni esistenziali della cura, delle relazioni…” per trasformare il maschile.Un progetto, questo, nato negli incontri del {{gruppo tematico Trasformazione}}, interno alla rete {{Maschile Plurale}}.

Gli ambiti tradizionali del lavoro di cura delle donne sono stati quelli della scuola primaria e secondaria, della famiglia, e gli altri similari della salute dei corpi malati e non autonomi, eccetera.

Il partire d sé, intuizione e pratica del femminismo, ha affascinato i fondatori di Maschile Plurale che hanno anche sperimentato l’autocoscienza.

Cominciamo dalle esperienze oggetto delle {{narrazioni di tanti uomini}}: nel volontariato, nelle scuole, nel calcio, in famiglia….spazi e luoghi, istituzioni e non dove la dimensione della cura è stata, obbligatoriamente, al femminile. In più: la cura è stata segnata dalla gratuità o da retribuzioni assai basse.

Uno degli autori che ha fatto esperienza come insegnante nella “scuola materna” e nelle elementari, racconta con una lieve sorpresa, che ha assistito al controllo delle emozioni e dei sentimenti da parte delle colleghe. Come fanno gli uomini, da sempre. Ma le donne insegnanti, anche se nella scuola dell’infanzia sono la stragrande maggioranza, hanno imparato a mettere {{la maschera di ruolo}} ; un miscuglio tradizionale femminilità e autorità non raramente nella tradizionale,versione autoritaria. Quando poi trasmetti contenuti – storia, letteratura, matematica…- ancora intrisi della concezione del sapere presunto oggettivo, fondato e sostenuto dal pensiero unico e vincente maschile, tu donna insegnante perdi di vista l’appartenenza di genere e accetti e pratichi gli stereotipi nella didattica e nei contenuti. Come si sarà sentito il maestro africano del Magreb, ai tempi del colonialismo, quando a scuola impartiva le lezioni di storia della Francia e dell’Europa?

Acutissima l’analisi di {{Ludovico Arte }} “Non è un gioco per signorine. Le identità maschili nelle prassi educative del calcio giovanile” su che cosa è lo sport del calcio per i bambini e i ragazzini; e per le loro famiglie. L’autore invita a una riflessione profonda su come il calcio agisce nella costruzione dell’identità di genere poiché maschili sono i linguaggi, i comportamenti, gli atteggiamenti. E ancora di più la continua sollecitazione a prevalere fisicamente e a vincere. S’insinua continuamente, sui campi da gioco, negli spogliatoi, che l’uomo vero è un vincente; quindi il maschio perdente è in fondo una femminuccia.Si apre così, con il gioco del calcio, la strada ai bulli, ai prepotenti, ai prevaricatori. Diventa importante, sostiene L. Arte, introdurre nella formazione del calciatore, {{il rapporto con la sconfitta che va accolta}}, accettata, come parte della competizione e della vita.

Domanda: come? Perché {{questo sport nazionale}}, costantemente presente sui media, propone ai giovani maschi una professione altamente remunerativa e una vita da amati e adorati dalle donne belle. Come? Se già all’età di sedici, diciassette anni i più bravi e promettenti quando sono inseriti in una squadra nazionale ricevono retribuzioni mensili di migliaia di euro, più ricchi premi a ogni prestazione vincente?

{{Sandro Casanova e Gianluca Ricciato}} raccontano un’esperienza in territorio bolognese costruita su una didattica ben attrezzata dal punto di vista metodologica.
Che cosa emerge dal lavoro nelle classi? Per esempio, che soprattutto i più piccoli “insistono su un rigido binarismo, che attribuisce differenze, viste per lo più come naturalizzate (‘E’ normale che un maschio sia così”) a uomini e donne in maniera complementare: l’uomo forte, tutto d’un pezzo, conquistatore e protettivo, la donna necessariamente bella, disposta a essere conquistata, sentimentale, materna, che si sacrifica.”.

All’inizio degli anni settanta, chiesi alle insegnanti d’italiano di alcune scuole medie inferiori, di proporre come tema nella prima e seconda classe: {{“Io bambina immagino di essere un bambino, io bambino immagino di essere una bambina.” }} Le femmine accettarono volentieri di fantasticare sul cambio di sesso, i maschi si sentirono quasi offesi e taluni reagirono con insinuazioni da bar. Oltre trent’anni dopo la pubblicazione del libro che dai temi aveva preso spunto {(La bambola rotta, Chiesa, famiglia, scuola e Chiesa nella formazione delle identità maschile e femminile}, ed. Bertani, 1975), una giovane laureanda decise di ridare il tema in alcune scuole medie per trarne la sua tesi di laurea. Le reazioni, gli stereotipi risultarono non troppo diversi. Più di un alunno aveva scritto, come allora “ se fossi una femmina, dovrei aiutare la mamma nei lavori di casa…”.

Verso la fine degli anni settanta nella scuola media fu abolita la differenza tra {{Educazione Tecnica maschile e femminile}}. La differenza, a cominciare dal sesso degli insegnanti, era tutta nei programmi. I maschi potevano cimentarsi con l’apprendimento e la pratica di svariate tecnologie.L’ attuale programma recita all’inizio: “La tecnica è da intendersi come l’insieme dei metodi e dei mezzi utilizzati in qualsiasi processo produttivo: in essa concorrono le capacità e gli strumenti del lavoro umano.

La tecnologia è la scienza che studia i processi produttivi, i metodi ed i mezzi in essi impiegati. I prodotti del lavoro umano, soddisfacendo i bisogni specifici dell’uomo in quanto individuo ed in quanto componente della società, realizzano un ambiente adeguato alla sua vita. Anche questi prodotti e questo ambiente entrano nel campo di interesse della tecnologia intesa come riflessione sistematica sui problemi via via suggeriti dalla tecnica e sui mezzi più idonei per conseguire soluzioni riproducibili su vasta scala.

Una forma completa di cultura deve comprendere{{ il possesso di capacità produttive }} tali da rendere possibile la partecipazione al lavoro e la capacità di riflettere criticamente sui problemi produttivi e di risolverli al fine di individuare fra le diverse soluzioni quella più rispondente su piano costruttivo, produttivo, economico, sociale.
L’educazione tecnica nella scuola media intende contribuire alla costruzione di questa cultura attraverso una iniziazione ai metodi della tecnica ed alla riflessione tecnologica.”

Scomparso completamente il programma centrato sulla cura e riservato alle ragazzine e che, prima della media unificata come materia si chiamava “Economia domestica”.

Nei paesi dell’Europa settentrionale bambini e bambine apprendono a cambiare i pannolini sul bambolotto snodabile. Imparano a preparare il latte e a dare il biberon. E insieme, maschi e femmine a intervenire sul piccolo guasto dell’impianto elettrico di casa.

“ Trasformare il maschile” , anche attraverso pratiche di cura nei vari ambiti delle “relazioni d’aiuto” , sembra imitare il femminismo che si occupò anche dell’ambito pedagogico. {{“Il laboratorio psicopedagogico delle differenze” di Brescia }} (documentazione presso gli archivi femministi della Fondazione E.Badaracco) rispondeva al bisogno di agire nella scuola con un’ottica di genere; sia rispetto ai contenuti culturali, sia rispetto alla didattica. Il laboratorio si avvaleva, soprattutto, da una parte della Pedagogia Istituzionale rielaborata dal prof.{{A.Canevaro}}, e dall’altra della psicoterapia della Gestalt per vivere “il partire da sé” secondo l’intuizione della “pratica dell’inconscio “ (L{{ea Melandri}}).

Una fantasia, una metafora. Un gruppo di uomini e donne bianche nell’Africa coloniale della fine ottocento, decide di incontrarsi per riflettere (partendo da sé) sulla loro condizione di conquistatori e dominanti di popoli così diversi, a cominciare dal colore della pelle.

Sono consapevoli dei loro privilegi e della credenza che i bianchi appartengono a una razza superiore e, per esempio non devono svolgere lavori “servili “, mentre i negri sono ritenuti incapaci di governare la cosa pubblica. Progettano di mettere in atto esperienze, anche con i nativi, di condivisione e superamento degli stereotipi, dei comportamenti e degli pseudo valori introiettati.

{{Gli uomini di buona volontà }} di Maschile Plurale non assomigliano al gruppo del racconto? Mutuare dal movimento femminista pratiche e intuizioni è un riconoscimento maschile lodevole e giusto, ma non risulta in una certa misura mistificatorio?Perché l’interessante e affascinante operazione esperienziale nell’ambito della cura, e il tentativo di praticare il superamento degli stereotipi sessisti da parte del sesso che ancora detiene il potere nella cultura e nell’ambito politico, suona come una sorta di San Vincenzo.

Il potere del cambiamento passa anche (soprattutto) {{attraverso la politica}} e “in politica”, nei posti chiave, si sono gli uomini a stragrande maggioranza. Per esempio, occorrerebbe cambiare il programma di Educazione Tecnica. Si dovrebbe anche evitare la pubblicità televisiva che presenta le donne come le uniche interlocutrici dei venditori (uomini) di detersivi entro le mura domestiche. Si dovrebbe limitare la presenza invasiva del calcio nei media. Si dovrebbe poter discutere e criticare apertamente il ruolo marginale delle donne nella Chiesa Cattolica, studiandone i riflessi sulla formazione delle identità di genere dei bambini e delle bambine.

{Trasformare il Maschile. Nella cura nell’educazione nelle relazioni.}
_ a cura di {{Salvatore Deiana – Massimo Michele Greco}}
_ Assisi, Cittadella Editrice, 2012, 16 Euro