Rispettiamo la scelta delle donne che operano all’interno di partiti e sindacati, ma riteniamo che bisognerebbe perlomeno mantenere una propria autonomia di pensiero e azione soprattutto quando ci si confronta con altre esperienze che hanno una pratica
politica diversa. Vorremmo esprimere perplessità e disagio per come è stata organizzata e convocata dalla Rete delle donne di Bologna la manifestazione dell’8 marzo in questa città.
_ Una decisione che non ha coinvolto tante donne, femministe e lesbiche attive non
solo sul territorio ma anche nel percorso che dalla grande manifestazione nazionale
del 24 novembre a Roma ha condotto alla due giorni di Flat del 23 e 24 febbraio. E
che in questo percorso si riconoscono.

In questa decisione si esprime una “rete delle donne” che non collega realmente le diverse esperienze né vive del confronto dei differenti punti di vista femministi, ma privilegia il dialogo istituzionale, in particolare con quella giunta Cofferati – si vedano ad esempio le “Lettere alla giunta Cofferati” nel blog della Rete – che ha fatto di Bologna un laboratorio della repressione e della deriva securitaria, dalla caccia ai “lavavetri” allo sgombero di centri sociali e campi nomadi rasi al suolo
dalle ruspe.

Rispettiamo la scelta delle donne che operano all’interno di partiti e sindacati, ma riteniamo che bisognerebbe perlomeno mantenere una propria autonomia di pensiero e azione soprattutto quando ci si confronta con altre esperienze che hanno una pratica
politica diversa.

In questo caso {{è mancata invece la volontà di costruire un percorso realmente collettivo}} ed aperto ad altri punti di vista, soprattutto a quelli che esprimono la propria volontà di “autodeterminazione” anche attraverso il rifiuto della delega e la critica della politica.

In mancanza di un effettivo momento assembleare e di un fattivo dialogo tra diverse realtà e punti di vista, la convocazione di questa manifestazione è avvenuta in modo opaco ed escludente.

{{Il documento della Rete delle donne}} ne è lo specchio: appiattisce e riduce i contenuti espressi nella relazione finale di Flat – schiacciando tutto sul tema dominante dell’aborto e della contraccezione –, e riflette il dibattito romano solamente nello slogan unitario lanciato dall’assemblea conclusiva di femministe e lesbiche del 23 e 24 febbraio: “Tra la festa, il rito e il silenzio noi scegliamo la lotta!”.

Ma questo slogan viene svilito dalla contemporanea presenza (nel documento, così come in manifesti, volantini e banner) di uno slogan – L’otto da cent’anni – che ricalca e rinvia esplicitamente a quello adoperato dalla Cgil per lanciare questo 8 marzo come “centenario” (sull’infondatezza e strumentalità del “centenario” rinviamo
qui).

In questo modo si elude (e si prende distanza) da quello che nella relazione finale dell’assemblea romana – frutto del confronto appassionato tra femministe e lesbiche provenienti da tutta Italia – era uno dei punti fondamentali: “Esprimiamo un forte e chiaro no alle strumentalizzazioni ai fini elettorali dell’8 marzo da parte di cgil,
cisl e uil, organizzazioni che sostengono politiche familiste e di controllo sui corpi e a cui non deleghiamo l’espressione del nostro pensiero e delle nostre pratiche politiche”.

Il documento della Rete delle donne invita infine a partecipare “al corteo di sabato 8 marzo e alle iniziative che seguiranno in Piazza Maggiore”, senza spiegare in che cosa consistano tali iniziative, chi le abbia decise, quale sia il senso di dividere le partecipanti tra organizzatrici e fruitrici.

Stando così le cose, come non comprendere il senso di estraneità e di avvilimento di molte compagne che hanno infine deciso di disertare questa manifestazione, partecipando magari a manifestazioni in altre città?

Siamo consapevoli delle violente disimmetrie di potere che investono le donne penalizzandole sul piano sociale, politico ed economico (dalle discriminazioni sul lavoro al femminicidio).
_ Così come siamo consapevoli delle diverse forme di
discriminazione che le donne subiscono a seconda della loro scelta o identità sessuale, della consistenza o inconsistenza del loro conto in banca, del possesso o meno di un permesso di soggiorno, se lavorano in casa o in strada … Questa consapevolezza ci rivela l’importanza di una lotta comune e unitaria ma ci impone anche di rompere dei silenzi.

Ci chiediamo: di chi è questo 8 marzo?

Insomma, speriamo che capiate il nostro smarrimento e, insieme, la voglia di cambiare questi modi stantii di organizzare la “lotta” dall’alto.

– {Dalla mailing list sommosse@inventati.it}