Il femminismo islamico non è un movimento omogeneo e come tale va studiato: secondo Renata Pepicelli le differenze più eclatanti sono tra le femministe islamiche che intendono riformulare l’Islam in modo progressista e le islamiste che invece perseguono la realizzazione di stati islamici o perlomeno influenzati dalla religione. Nel 2008 a Barcellona è stato fondato il Gefri : Circolo di Riflessione e di Ricerca sulla questione della donna nell’Islam a carattere internazionale voluto fortemente dalla marocchina Asma ‘ Lamrabet autrice de {Le Coran et les femmes, une lecture de libèration}.

Il [Gierfi->http://gierfi.wordpress.com/] [sito in spagnolo, inglese e francese] è definito da Lucia Kawthar Rallo, studiosa e convertita all’islam (dal punto di vista musulmano in verità “ritornata”), un movimento che “{intende incoraggiare la donna musulmana a rivendicare il suo diritto a partecipare alla riflessione sulla sua religione e sui valori della società in cui vive, mettere in luce le interpretazioni maschiliste e patriarcali che si sono fatte nel corso della storia dei testi sacri dell’Islam e far valere i diritti che l’Islam ha, attraverso il Corano e l’esempio del Profeta Muhammad, conferito alle donne, al fine di promuovere l’uguaglianza tra i generi, elaborare una nuova concezione della donna e dar vita a una vera e propria riforma di fondo della giurisprudenza islamica. Uno dei punti fondamentali è quello di promuovere un’emancipazione femminile islamica che possa conciliare fede e modernità, senza mai tradire i principi del proprio credo}”. ( [Islam-online->http://www.islam-online.it/2011/03/testimonianza-di-una-femminista-islamica-tra-le-due-rive-del-mediterraneo/] 2011.03)

Contestare quell’analisi storica dei Testi Sacri “{secondo cui l’ineguaglianza tra i sessi e il sistema sociale patriarcale siano inerenti al Corano e alla Sunna; mettere in luce le interpretazioni maschiliste dei Testi Sacri dell’islam e fare valere i diritti che l’Islam conferisce alle donne; scardinare l’idea secondo cui il sapere religioso islamico sarebbe unicamente appannaggio maschile}“, denunciando con determinazione i matrimoni imposti, l’obbedienza incondizionata al marito, le mutilazioni genitali, il ripudio, ecc.

E’ molto interessante che la descrizione del Gefri si trovi su Islam- online letto e seguito dall’Islam dell’emigrazione in Italia.
_ Siamo in presenza di nuove tendenze tra le donne delle moschee in Italia?

Renata Pepicelli dell’Università di Bologna ha scritto un libro che analizza la situazione della consapevolezza femminile delle donne musulmane nei Paesi Arabi: {{ {Femminismo islamico, corano, diritti, riforme} }} (ed.Carocci, 2010.)

_ Nel mondo islamico il femminismo ha oltre un secolo, caratterizzandosi con varie tendenze e movimenti.
_ L’autrice ci avvisa che per femminismo islamico si deve intendere un movimento che si basa su una rilettura del Corano favorevole all’eguaglianza di genere.

La religione interpretata da sguardi di genere annovera anche una solida esperienza nell’ambito cattolico, soprattutto in seguito al Concilio Vaticano II; ma abbastanza fallimentare in verità per la deriva che ha preso la casta sacerdotale rigorosamente maschile e celibataria.
_ Alla base è chiaro il presupposto che ci si deve discostare dal femminismo occidentale laico o religioso (cristiano).

Studiose come Fatima Mernissi e Assia Djebar si sono riferite con entusiasmo alla storia della vita del Profeta, delle sue mogli e delle donne che hanno, via, via ricoperto ruoli importanti. Sostengono un’esegesi non diversa da quella a sua tempo ampiamente amata dalle cattoliche: le interpretazioni dei testi rivelati sono state realizzate da èlite maschili interessate all’umiliazione e sottomissione delle donne.

Tuttavia il femminismo islamico non è un movimento omogeneo e come tale va studiato. Secondo Renata Pepicelli le differenze più eclatanti sono tra le femministe islamiche e le islamiste.
_ Le femministe islamiche intendono riformulare l’Islam in modo progressista, le islamiste invece perseguono la realizzazione di stati islamici o perlomeno influenzati dalla religione.

Il femminismo arabo nasce da sollecitazioni interne quali l’istruzione e la volontà delle donne appartenenti ai ceti medio alti di godere di eguale diritti e fin dall’inizio del Novecento soprattutto le siriane, le egiziane, le libanesi e le palestinesi, hanno tenuto scambi proficui con i movimenti europei.

Comunque, mentre le femministe islamiche pongono al centro dei loro programmi le relazioni di genere, le islamiste insistono nel perseguire un ideale di società basato sulla famiglia “come il principale luogo in cui la donna può vedere affermati e valorizzati i propri diritti “; ridefinendo al massimo i propri ruoli di mogli, madri e sorelle.

Il ruolo della donna sarebbe fondamentalmente (naturalmente) quello di madre e di educatrice nella società che deve avere come base la famiglia (eterosessuale).
_ L’equilibrio tra i generi consisterebbe nella complementarietà dei ruoli, tenendo ben presente la maggiore, naturale, inclinazione degli uomini alla cosa pubblica.

La rivendicazione dell’uguaglianza è limitata alla sfera pubblica. Le islamiste rigettano l’esegesi delle femministe volta a mostrare, anche attraverso il Corano, gli Hadith e la Summa, di essere sullo stesso piano degli uomini. Uomini e donne perché biologicamente diversi, non sono uguali rispetto ai ruoli.

In Marocco le islamiste si sono mostrate contrarie alla riforma del diritto di famiglia (mudawwana) rispetto all’abolizione della poligamia, perché diritto degli uomini voluto da Allah.
_ Mentre alcune femministe si mostrano almeno dubbiose circa l’assoluta condanna dell’omossessualità, i gruppi islamisti continuano a considerarla contro natura.

Il velo: le femministe islamiche non lo ritengono obbligatorio, mentre le islamiste lo indossano considerandolo però piuttosto un segno della sottomissione a dio.
_ Nei Paesi dell’emigrazione come si riflettano queste posizioni? Le donne emigrate dai Paesi di religione islamica si possono suddividere a pressapoco tra quelle che sono culturalmente attive, e quelle che passivamente vivono all’interno delle famiglie e delle comunità allargate secondo l’impostazione sono frutto dell’attivismo maschile delle moschee.

Le moschee in Italia in genere fanno parte dell’UCOII (Unione delle Comunità e Organizzazioni islamiche in Italia) e sono attive anche nell’organizzare attività culturali come lo studio dell’arabo per la lettura del Corano, o nella cura di siti online, ecc.
_ La linea maggioritaria sia degli uomini sia delle donne culturalmente attivi, è dunque quella delle islamiste.

Ai primi di gennaio 2011 in un blog appare un articolo: “[La posizione della donna: nell’Islam e nell’Occidente!->http://islamsostiene.blogspot.com/2011/01/la-posizione-della-donna-nellislam-e.html]”.

L’articolo descrive la posizione della donna nel mondo ebraico-biblico, in epoca romana e nel cristianesimo per passare all’epoca moderna e stigmatizzare la “liberazione” delle donne tramite il lavoro fuori di casa che le costringe a tenersi in precario e stressante equilibrio , trascurando il compito dell’educazione dei figli e della trasmissione dei valori .
_ È quindi invocata la positività della “divisione dei compiti all’interno della famiglia “ lasciando all’uomo i lavori “pesanti” come quelli retribuiti fuori di casa.

In “Amat Allah (il blog-biblioteca di Umm Usama) nel 2010 appare un articolo intitolato: [Al-Haya’ (la timidezza, il pudore)->http://ummusama.wordpress.com/2010/10/29/al-haya%E2%80%99-la-timidezza-il-pudore/].

L’articolo, firmato da Zahra Abdul-Haseeb ribadisce che “{le sorelle che vivono nelle società occidentali devono farsi carico in speciale modo della modestia, della vergogna, del pudore, dell’onore e persino della timidezza per custodire la castità.
_ Sono gli ordini di Allah che pretende che le donne si tengano nascoste “da tutti gli uomini illeciti per loro (cioè che non sia per loro ‘mahram’) e di occultare in loro presenza i loro ornamenti (la loro bellezza). (…) Queste credenti possiedono haya’ ,perché si vergognano di uscire mostrandosi in pubblico e commettendo questo grave peccato di lasciare che tutti possano ammirare la loro bellezza . In queste società ci sono tante donne (musulmane) che dichiarano di provare haya’, ma il fatto che esse non vestono l’hijab dimostra il contrario. La dichiarazione secondo cui la donna della società di oggi non debba coprirsi è ovviamente una miscredenza. (…) L’hayà della donna deriva dalla sua modestia, dalla sua timidezza e dal suo timore di Allah, dunque come potrebbe possedere hayà , e al contempo camminare in pubblico senza velo?}”.

Il seguito dell’articolo insiste sulla modestia come base per la conservazione dell’onore per “tutelare la morale di qualsiasi società”.
_ Dunque, la morale di una società dipende dal corpo delle donne che deve essere celato alla vista degli uomini non parenti.

In un sito di discussione gli interventi sul tema delle donne calcano la mano proprio sui ruoli sessuali presunti naturali.
_ Fabri Ibra Khan scrive (2011) scrive che la donna deve essere protetta e il marito o un parente mahran hanno il dovere di accompagnarla nei viaggi di oltre 77 kilometri.
_ Un marito musulmano “{non può considerarsi un buon marito se sua moglie è costretta a pulire cessi o fare lavori umilianti per aiutarlo}.”

In “Sul braccio di Orione” martedì 22 febbraio 2010 si legge un articolo “[Le virtù dell’Hijab->http://sulbracciodiorione.blogspot.com/2010/02/postato-da-khadija80-e-ehm.html]” postato da Khadija80.
_ Il pensiero è esplicitamente secondo il pensiero delle islamiste, infatti si scrive che l’Hijab “{è un atto di obbedienza ad Allah e al suo profeta (pbsl), Allah dice nel Corano: ‘Quando Allah e il Suo inviato ha decretato qualcosa, non è bene che il credente o la credente scelgano a modo loro. Chi disobbedisce ad Allah e al Suo inviato palesemente si travia (S33:36). Ma “ Quando la causa dell’attrazione si conclude, la limitazione è rimossa, come nel caso delle donne anziane che possono perdere ogni funzione dell’attrazione.}” .

Si può, sempre in Internet, leggere in un saggio a firma di Sherif Abdel Azim Ph. Queens University Kingston, Ontario,Cananda, intitolato “[Le donne nell’Islam e le donne nella tradizione giudeo-cristiana mito & realtà->http://www.islamhouse.com/p/191529]”.
{L’accento è posto sul pudore come essenziale per proteggere le donne dalle molestie: “Quindi, l’unico scopo del velare nell’Islam è protezione. Il velo islamico, diverso dal velo della tradizione cristiana, non è un segno dell’autorità dell’’uomo sulla donna, né un segno di sottomissione della donna (al marito).
_ Il velo islamico, diverso dal velo della tradizione ebraica, non è un segno di lusso e di distinzione da alcune donne sposate alle nobili. Il velo islamico è soltanto un segno di pudore allo scopo di proteggere le donne, tutte le donne.}

In un recente [articolo->http://www.verona-in.it/js/index.php?option=com_flexicontent&view=items&cid=38:articoli&id=298:donne-musulmane-a-verona-qperche-abbiamo-riscoperto-il-veloq&Itemid=53] due giornaliste italiane pubblicano diversi pareri di donne musulmane:
“(…) Patrizia Khadija Dal Monte, veneta convertita all’Islam, responsabile Ucoii per le Pari Opportunità, il velo lo porta da 17 anni {perché fa parte dell’Islam}, spiega: {Le musulmane lo vivono come un precetto religioso, non come un’imposizione del maschio. La religione islamica si applica allo spirito e al corpo, non c’è separazione. L’uomo non deve indossare la seta e l’oro, la donna deve indossare il velo. È un obbligo morale}.

Faridah Emanuela Peruzzi, veronese convertita all’Islam Responsabile Affari Giuridici Coreis (comunità Religiosa Islamica) invece si copre con il velo{ solamente durante i momenti in cui è necessario farlo e cioè durante le preghiere. La copertura del capo, sia nell’uomo che nella donna, manifesta la predisposizione all’ascolto e al raccoglimento, il velo quindi esprime lo stato di consacrazione che la donna assume per comunicare con Dio. Al di fuori di questi momenti, l’uso non è obbligatorio e io cerco di attenermi a ciò che è prescritto come necessario}.

Afida, marocchina sposata con un connazionale e madre di due bambine vive in Italia da 15 anni e il velo non lo ha mai indossato, anche se confessa che il marito sarebbe contento se lei lo facesse. {Non porto il velo, non avrebbe senso è una cosa che non sento – dice – ci sono delle amiche che come me non lo hanno mai portato, ma da qualche tempo hanno iniziato a farlo, è un modo di rivendicare la loro appartenenza culturale, non mi sembra che abbia molto a che fare con i principi religiosi}.

Zahya, egiziana, porta il velo perché per lei {vuole dire sicurezza, protezione. Una barriera tra lei e il male, uno strumento morale per discostarsi dagli atti immorali. È il simbolo della differenza tra me e le donne occidentali delle quali non condivido i valori.}

Il velo diventa un simbolo di distacco da un sistema di valori in cui i musulmani non si riconoscono.

Concetto ribadito anche da Patrizia Khadija Dal Monte {Per me la libertà non è fare quello che mi pare, vestirmi come mi pare. Fare il bene è la libertà, la religione dà la libertà. La libertà è vivere nella verità di Dio, non seguire le mode superficiali. Io velata, sono più libera di una velina}.

Evitando di aderire esplicitamente alle islamiste (degli stati islamici) le comunità dell’emigrazione in Occidente, sembrano perseguire strategie che comportano dei distinguo per consolidare o preservare l’identità culturale e religiosa delle origini.
_ Spesso l’attacco è all’Occidente che ha perso i valori fondati (anche) sul pudore delle donne, sul ruolo ancestrale, oblativo al servizio della famiglia.

Limitando, appunto, l’eguaglianza in ambiti precisi, come scrive la convertita Lucia Aurelia Kawthar Rallo ( “[Tesimonianze di una femminista islamica tra le due rive del Mediterraneo->http://www.islam-online.it/2011/03/testimonianza-di-una-femminista-islamica-tra-le-due-rive-del-mediterraneo/] che pur dicendosi femminista islamica precisa che occorre : “…promuovere un’emancipazione femminile islamica (…) senza mai tradire i principi del proprio credo, per creare una ‘via intermemdia’ affrancata sia da una modernità senza senso, sia da un tradizionalismo bigotto e rigoroso.”.