Gli interventi previsti per l’incontro del 20 aprile erano mirati ad individuare dei fili “sotto traccia” che sono arrivati fino ad oggi. Nella varietà dei contenuti –che avrebbero meritato più di un incontro solo- è stato emozionante ascoltare parole scaturite sia dallo scambio con “donne del self-help” come Livia Geloso, che hanno creato un ponte con altre più giovani, sia dalla lettura di documenti degli anni ’70.

L’incontro {Self-help riparliamone!} nasce da una triplice esigenza: ricostruzione della storia del self-help in Italia, diffusione di informazioni sulle pratiche che questo termine riassume, confronto con le nuove generazioni.
Il 20 aprile 2013 Archivia ha presentato, nella Sala Simonetta Tosi, il terzo incontro dedicato al tema Corporeità e generazioni.
L’iniziativa, coordinata da Livia Geloso e Pina Caporaso (che non ha potuto essere presente in questa occasione), scaturisce dal gruppo di lavoro che si è formato dopo il secondo incontro del novembre 2012, con l’obiettivo di offrire spunti di riflessione da parte di donne nate negli anni Settanta e Ottanta.

“Intorno a tutto questo e come sfondo –ha detto Livia Geloso nella relazione introduttiva- c’è la questione del rapporto tra pratiche e teorizzazione, tra esperienza e presa di parola…E’ importante, infatti, chiarire subito che l’approccio alla corporeità, in Occidente, può essere sia corporeo –nel senso di cercare di tenere insieme corpo e mente- sia prettamente mentale, ovvero, oggettivante. La distinzione è sottile da cogliere perché siamo immersi/e nella tendenza oggettivante che tratta il corpo come uno strumento di lavoro e di esibizione, e come un oggetto di studio; ed anche perché le sensazioni e le rappresentazioni sono intrecciate tra loro in modo complesso”.

Queste considerazioni toccano una questione che raramente si è cercato di impostare in anni recenti. Ricordo, come eccezione, il XII° Simposio dell’Associazione Internazionale delle Filosofe del 2006, i cui atti sono stati curati da Annarosa Buttarelli e Federica Giardini (Il pensiero dell’esperienza, Castaldi Dalai 2008): il pensiero accademico non ci assiste nella ricerca di parole adeguate a ciò che viviamo profondamente e, d’altra parte, non c’è pensiero affidabile se non riesce a dar voce alla vita vissuta.

Far posto alla voce del corpo, pensarsi nel mondo insieme alle altre, è stata una scommessa dei gruppi di self-help negli anni Settanta: “noi lavoravamo per allargare la nostra coscienza, tenendo uniti il corpo e la mente…con un coinvolgimento personale, politico ed emotivo fortissimo” (Luciana Percovich, {La coscienza nel corpo}, 2005, p. 13). Queste .esperienze tendevano ad eccedere il pensiero ad esse connesso, ma non per questo dovremmo rinunciare oggi a cercarne gli spunti di riflessione e d’ispirazione, prima che se ne perda la memoria.

Gli interventi previsti per l’incontro del 20 aprile erano mirati ad individuare dei fili “sotto traccia” che sono arrivati fino ad oggi. Nella varietà dei contenuti –che avrebbero meritato più di un incontro solo- è stato emozionante ascoltare parole scaturite sia dallo scambio con “donne del self-help” come Livia Geloso, che hanno creato un ponte con altre più giovani, sia dalla lettura di documenti degli anni ’70.

Per esempio, {{Federica Paoli}} (“{Pratiche femministe e presa di parola}”) ha parlato di “materialità” dei documenti come il fascicolo di “Differenze” (n.6-7/1977) che raccoglie gli interventi al Convegno internazionale sulla Salute della donna, organizzato a Roma dal Gruppo Femminista per la Salute della Donna nel giugno 1977.

{{Claudia Bruno}} (“{Mestruazioni e generazioni}”), dopo aver studiato i materiali di DWF sulla sessualità, ha proposto con entusiasmo un lavoro di riappropriazione teorico-pratico, un ritorno al corpo ormai ri-diventato continente sommerso e afasico. Nei gruppi di self-help, l’autonomia e il superamento della passività nei confronti dell’istituzione medica, funzionavano come pratica molto potente, poi occultata in pochi anni anche perché trasmessa principalmente a voce e direttamente a contatto le une con le altre. Insieme ad altre compagne del collettivo romano Diversamente occupate Claudia si è chiesta come le donne vivano, oggi, le mestruazioni, la contraccezione, arrivando alla decisione di fare informazione in rete. Per cominciare, si è procurata una coppetta mestruale, dispositivo degli anni Trenta che vale la pena di recuperare, e ne ha illustrato l’impiego. Un altro campo da aprire all’informazione è quello degli effetti dell’assunzione di ormoni sintetici.

Anche la relazione di {{Angela Lamboglia}} e {{Valeria Mercandino}} ha riportato le riflessioni del gruppo [Diversamente occupate->http://www.diversamenteoccupate.blogspot.com] sui numeri di DWF del 2011 dedicati alla sessualità (“{Questo sesso che non è il sesso. Articoli dalla rivista DWF}”). “L’impressione era, e per certi versi rimane, che il discorso sulla sessualità, anche tra donne e tra donne che fanno politica insieme, tenda ad arrestarsi in ambiti ben precisi, attorno a precise istanze politiche –aborto, contraccezione, contraccezione di emergenza ad esempio- ma che poi corpo e sessualità rimangano dei rimossi.

Ci sembra che da questo derivi, da una parte, una profonda solitudine nel vivere le proprie esperienze, dall’altra, un supporto a dinamiche che non vanno in direzione di una maggiore libertà. Intendiamo dire che la libertà sessuale, spesso data per scontata, non coincide necessariamente con la libertà del desiderio”. La precarietà esistenziale non fa che limitare sempre più le esigenze di autodeterminazione, mentre il corpo torna ad essere un rimosso nell’agire politico. L’incontro con Livia e con i gruppo del self-help è stata una tappa fondamentale per questa messa a tema, alla ricerca di un sapere quasi dimenticato.

{{Serena Fiorletta}} (“{Il corpo delle altre, uno sguardo antropologico di genere}”) propone la ricerca di uno sguardo non oggettivizzante rispetto a donne di altre culture. Nei centri di riflessione occidentali “noi parliamo dei nostri corpi, storicamente e culturalmente determinati” ma “essendoci nella nostra quotidianità, ormai da tempo, corpi di donne di altra provenienza, non possiamo dimenticarcene né possiamo non sapere che anch’essi portano con sé elementi che vanno oltre la mera biologia…” . E ignorare, quando ci sono, forze e luoghi di autonomia alle periferie della nostra società attuale, serve solo a perpetuare definizioni di comodo, che raggruppano le altre per categorie omogenee, prive di specificità storica. Ma io credo, a questo proposito, che vere relazioni tra donne- occidentali e non- costituiscano un buon antidoto ai pregiudizi di sapore coloniale.

{{Viola Lomoro}} ({“Corpi che contano}”) rifacendosi a Judy Butler ({Bodies that matter}) ha posto il problema di chi prende la parola come soggetto politico non allineato alla definizione di corpo propria del modello eterosessuale: i trans. Fin dal {Timeo} di Platone il paradigma eterosessuale connota per negazione ciò che per sua natura è materia informe femminile. Ma esistono corpi costruiti artificiosamente, “essere donna” non è necessariamente legato all’avere una vagina, e il giuoco di ruoli travalica la distinzione uomo/donna.

L’argomento trattato da {{Stefania Girelli e Pina Caporaso}} (“{Educazione sessuale, una questione aperta}”), è stato discusso da Stefania, con la ricostruzione dell’esperienza ventennale di un consultorio familiare milanese, che ha elaborato risposte originali –e non assolute, da “salvatori del mondo”- agli interrogativi dell’informare/educare. Considerare i ragazzi come “persone curiose che si fanno domande sulla vita”, aiutandosi persino con il linguaggio della poesia, si è dimostrata una buona strategia per restituire senso all’esperienza umana della sessualità, fin dai primi gradini della scuola.(“E’ andando che si traccia il cammino”).

Il [collettivo Alter Eva di Torino->http://www.altereva.org] ha presentato un documentario sull’educazione alla sessualità, che comprende qualche brutale esempio di “rieducazione” alla eterosessualità, esercitata da un’organizzazione cattolica su giovani di tendenza gay.

Nella discussione finale, {{Paola Capparucci e Francesca Koch}} hanno sottolineato, rispettivamente, le potenzialità di alcune esperienze attuali nei consultori (per esempio, un lavoro di sensibilizzazione delle ostetriche), e il ruolo dell’assemblea dei consultori nei confronti della Regione Lazio.