Lo speciale estivo di inGenere quest’anno è tutto dedicato alle pioniere che hanno portato innovazioni nel campo della sostenibilità ambientale e del contrasto alla violenza di genere. In questo numero: Benedetta Usala, medico veterinario e studiosa del mondo animale fin da piccola, ci parla del sistema di allevamento degli insetti ecosostenibile e basato sull’economia circolare che l’ha portata fin nella Silicon Valley, in California

Foto: Unsplash/ Sarah Dorweiler

Nata a Cagliari nel 1988, e appassionata di natura e mondo animale fin da piccola, Benedetta Usala si è laureata in Medicina Veterinaria a Sassari, con una tesi su un nuovo marker prognostico del tumore mammario del cane, in uno studio comparato con la donna. Dopo la laurea ha intrapreso un lungo e dinamico percorso di esperienze lavorative tra Italia ed estero, frequentando diversi ospedali veterinari e perfezionandosi come ecografista. Affiancando all’amore per il mondo animale la passione per l’alimentazione ha frequentato l’Executive Master in Nutrizione animale e tecnologia del pet food, presso l’UNISVET a Milano, approfondendo il tema della sostenibilità ambientale delle produzioni zootecniche. Avendo particolarmente a cuore l’impatto che l’uomo e le sue attività produttive hanno sull’ambiente, ha intrapreso poi lo studio delle fonti alimentari innovative per gli animali domestici. E ispirandosi al concetto di economia circolare, ha ideato “un sistema razionale di allevamento e lavorazione di insetti, per ottenere una fonte proteica alternativa destinata al settore zootecnico e caratterizzata da un bassissimo impatto ambientale”. Il suo progetto è stato ritenuto il migliore tra i selezionati per il Talent Up 2018, il programma della Regione Sardegna per formare e valorizzare gli imprenditori del futuro, che l’ha portata per un periodo di incubazione nella Silicon Valley, in California. L’abbiamo intervistata

Da dove nasce la tua passione per l’innovazione e come sei arrivata fin qui? 

Più che di una passione si tratta di un bisogno, di un’urgenza. Sono per natura estremamente curiosa e mi pongo continuamente domande sul futuro mio, della comunità, del pianeta. Non mi accontento di risposte ordinarie e sono attratta da soluzioni innovative, che mettano alla prova la capacità dell’uomo di stare al mondo. L’idea dietro al mi progetto, che si chiama AlphaBug, nasce dopo aver letto, nel 2015, il report Fao (Food and agriculture organization delle Nazioni Unite, ndr) a proposito del gigantesco problema di alimentare il mondo del futuro, quando saremo 9 miliardi e avremo globalmente esigenze nutrizionali ancora più elevate di quelle attuali. Nel report, tra le risorse alimentari del passato e del futuro, si parlava delle potenzialità degli insetti e, da medico veterinario, ho subito sposato il concetto e iniziato a fare ricerche sul loro ruolo nella nutrizione degli animali. È uno di quei casi in cui l’uomo non innova tramite un’invenzione, ma riuscendo a dare un grande valore a ciò che la natura già offre.

Quello che hai messo a punto è “un sistema razionale di allevamento di insetti”, ci racconti meglio cosa vuol dire e perché hai scelto l’economia circolare?

In molte parti del mondo gli insetti sono allevati a scopi alimentari, con metodi familiari tradizionali. Il mio è invece un sistema razionale e industriale, il che significa allevare gli insetti in un ambiente “indoor” interamente controllato in termini di temperatura e umidità, con una dieta accuratamente studiata e l’utilizzo di materiali d’allevamento sicuri. L’obiettivo è massimizzare la produzione e garantire la sicurezza del prodotto, esattamente come accade per le altre lavorazioni agroindustriali. Il principio dell’economia circolare a cui mi sono ispirata si basa sui concetti di riutilizzo e valorizzazione degli scarti. Gli insetti sono il simbolo di questo principio poichè sono alimentati con sottoprodotti agricoli di scarso valore, che convertono in nutrienti di alta qualità (proteine e grassi) e non producono a loro volta scarti, in quanto il substrato su cui crescono non va smaltito in alcun modo, ma anzi rappresenta un ottimo fertilizzante agricolo.

Cosa significa per un’impresa optare per un modello di business a basso impatto ambientale, quali sono i vantaggi e per chi?

Integrare la sostenibilità ambientale nella propria cultura aziendale significa non solo adottare una generica immagine green, ma impegnarsi per cambiare significativamente i processi e la routine aziendale affinché il proprio lavoro non abbia dei costi ambientali elevati. Nella pratica significa responsabilizzare al tema tutte le figure lavorative e i fornitori di un’impresa, tramite l’adozione di pratiche sostenibili condivise. L’obiettivo è far diventare il luogo di lavoro un modello di abitudini virtuose, da adottare poi nelle scelte quotidiane del privato. È universalmente riconosciuto infatti che, a fronte di un investimento iniziale maggiore per aderire ai principi eco-friendly, il guadagno sul lungo periodo sia innegabile, non solo in termini economici (risparmio energetico, idrico, maggior valore dei prodotti finiti, ecc.) ma anche sociali. In questo senso colpisce positivamente come siano più le imprese giovani a porsi questi problemi e impegnarsi per fornire soluzioni innovative e sostenibili (ho conosciuto personalmente in Silicon Valley alcune delle start up eco-friendly più originali), nel tentativo di dare un messaggio forte e di cambiamento alle imprese tradizionali e alla politica. Pensare alla traccia che lasciamo dietro di noi, cercando di limitarne l’impatto, è prima di tutto un dovere verso noi stessi e le generazioni future.

Essere donna è stato per te più un ostacolo o più una risorsa nella tua carriera di imprenditrice e innovatrice? In che modo?

Essere donna nel mio caso significa avere delle risorse fondamentali per fare impresa e mi riferisco soprattutto alle doti di sensibilità, empatia e resilienza. Queste caratteristiche sono in realtà utili in qualsiasi ambiente lavorativo, per costruire e mantenere un ecosistema efficiente e inclusivo, benché purtroppo questi aspetti siano ancora profondamente sottovalutati. Nella mia esperienza di medico veterinario ho effettivamente faticato di più per ottenere la stessa credibilità dei colleghi maschi e questa diffidenza è ancora oggi talvolta tangibile. Come giovane imprenditrice, invece, ho vissuto meno la differenza tra generi, anche se credo che l’essere donna mi ponga davanti a degli interrogativi, spesso dilemmi, che limitano le mie scelte, più di quanto si verifichi per un uomo. Mi riferisco ad esempio al rapporto tra la costruzione di un’impresa e di una famiglia al contempo.

Qual è l’insegnamento più grande che ti porti dietro a partire dalla tua esperienza?

Il maggiore insegnamento che mi sento di condividere è l’importanza di non isolarsi, e di condividere le proprie idee, passioni e conoscenze. In un percorso imprenditoriale il rischio più grande è quello di sentirsi a un certo punto soli, determinando così il fallimento o la cattiva realizzazione della propria idea. Creare legami forti e investire sulle altre persone aiuta non solo la nostra idea d’impresa ma anche il nostro benessere come individui, e le due cose vanno assolutamente di pari passo.

Stai già lavorando a nuovi progetti? Cos’hai in programma per il futuro?

Al momento AlphaBug è la mia priorità, e la ricerca che c’è alla base va avanti senza sosta, così come il processo di educazione ed acquisizione dei clienti, senza i quali nessuna idea può dirsi di successo. Allo stesso tempo, assieme ai giovani imprenditori incontrati grazie al progetto Talent Up, mi impegno a mantenere viva la rete che abbiamo creato, nell’ottica di produrre un impatto positivo sulle persone attorno a noi, grazie alle conoscenze e alle esperienze acquisite. Un ecosistema imprenditoriale infatti non si crea dal niente, ma dalla lenta e costante costruzione di un suolo fertile, in cui coesistano idee, condivisione, opportunità e reciproco aiuto.

Benedetta Usala, medico veterinario e studiosa del mondo animale fin da piccola, ha inventato un sistema di allevamento degli insetti ecosostenibile e basato sull’economia circolare che l’ha portata fin nella Silicon Valley, in California