Non è certo una caratteristica esclusiva del Risorgimento, ma la presenza femminile sulle barricate per la libertà e l’unificazione nazionale merita la nostra attenzione per molti motivi .
Partiamo dall’esempio di Luigia Battistotti Sassi, la cui notorietà è tutta legata agli episodi che ne fecero una protagonista delle Cinque giornate a Milano.{{Il 18 marzo del ’48}} strappò di mano le pistole ad un soldato austriaco e con queste indusse altri cinque ad arrendersi; pare anche fosse attiva nell’organizzazione della prima barricata antiaustriaca, a borgo S. Croce.

Nata a Stradella, {{Luigia Battistotti (1824-1876?)}} si era trasferita a Milano per il matrimonio con l’artigiano Salsi (o Sassi); e qui allo scoppiare dell’insurrezione colse le opportunità offerte dalla situazione rivoluzionaria per oltrepassare i confini socialmente assegnati al suo sesso e per indossare abiti maschili, coi quali continuò a partecipare ad alcune operazioni armate, tra cui l’assalto ad un deposito di munizioni sul Naviglio. Il Governo provvisorio la volle poi in prima fila per il “Te Deum” di ringraziamento e qualche giorno dopo decise di assegnarle una pensione annua come eroina delle barricate, mentre in città si vendeva il suo ritratto per le strade.

La rappresentazione che ne fu data, tuttavia, cozzava contro tanta libertà ed “eterodossia”, se si pensa che la dipingeva con il fucile in pugno ma in abiti femminili, quasi la partecipazione anche armata delle donne agli eventi rivoluzionari del Risorgimento fosse, nel complesso, socialmente {{meno disdicevole dell’uso degli abiti maschili}}. Uso che sembra, invece, aver accomunato in quegli anni sia note esponenti dell’aristocrazia, come{{ la principessa di Belgioioso}}, sia donne di estrazione popolare come appunto la Battistotti o {{Colomba Antonietti}}, morta nella difesa della repubblica romana del ’49 in uniforme di bersagliere. O ancora la palermitana {{Teresa Testa di lana}}, capraia, che vestita da uomo -con pistola e pugnale alla cintura e sciabola ad armacollo- partecipa alle azioni delle squadre popolari e poi non si rassegna al disarmo per la creazione della Guardia nazionale.

La partecipazione delle donne ai moti insurrezionali è un chiaro segno della {{radicalità delle attese popolari di cambiamento }}che si registrò in vari momenti del nostro Risorgimento. Come mostra, ad esempio, la storia, quella di {{Giuseppa Calcagno}}: nata – secondo alcune fonti- nel 1826 a Barcellona (Me), fino all’insurrezione Giuseppa non godette di grande considerazione, soprattutto per la relazione che intratteneva con un certo Vanni, un ragazzo molto più giovane di lei; ma durante la rivolta a Catania nel maggio 1860 riuscì ad impossessarsi di un cannone e lo manovrò con sangue freddo e abilità tali da meritarsi il soprannome di {{“Peppa la cannoniera” }}; dopo essersi così distinta nel moto popolare catanese venne nominata vivandiera della Guardia nazionale, ma per partecipare alla presa di Siracusa Peppa decise di assumere definitivamente gli abiti maschili. Fu premiata con una medaglia d’argento al valore militare e quindi il Comune di Catania le assegnò una pensione per i servigi resi alla causa della liberazione dai Borboni; una pensione accompagnata da questa significativa motivazione: “Poche sono le pagine dell’Istoria in simili casi che le donne si abbiano combattuto per la Patria con tanto coraggio e migliore degli uomini” . Dopo i fasti rivoluzionari Giuseppa continuò a vivere secondo la nuova libertà e il nuovo ruolo assunto, “nei bivacchi e nelle caserme”, come dicono le fonti.

Più o meno esplicitamente, {{l’uso femminile delle armi nelle stagioni rivoluzionarie del ’48 e poi del ’60 }}segnala senza dubbio anche una {{domanda di indipendenza e “risorgimento delle donne”. }}A partire dal ’48, infatti, attraverso il nodo della presenza femminile nella guardia civica anche in Italia viene posta la questione dei diritti delle donne e della loro partecipazione alla sfera pubblica. In particolare durante l’esperimento repubblicano a Venezia, mentre la città andava organizzando la sua guardia civica, venne formalizzata la richiesta di usare le armi e addirittura di costituire un battaglione femminile. E va detto che {{il poter imbracciare le armi a sostegno di una guerra nazionale }}-dalla Rivoluzione francese in poi- era considerato segno d’appartenenza nazionale; anche a livello simbolico costituiva la più forte espressione della {{propria inclusione nel corpo della cittadinanza.}} Per questo le richieste femminili di partecipare alla guardia civica o di costituire guardie femminili mostrano, più di altri fenomeni, {{il nesso che nel corso del Risorgimento si stabilì tra identità civile e politica e identità nazionale e tra queste e domanda di cittadinanza piena anche per le donne}}. Non a caso il tema della cittadinanza politica delle donne fu posto esplicitamente all’attenzione dei governi provvisori e delle forze in campo nelle città insorte da alcuni gruppi, circoli e -soprattutto- giornali femminili, dal veneziano “Circolo delle donne” alla “Tribuna delle donne” di Palermo.

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immagine da} http://www.url.it/donnestoria/testi/trame/lbattistotti.htm