In un interessante articolo pubblicato da La Repubblica lo scorso 15 gennaio, dal titolo “Il lavoro perduto”, la direttora centrale dell’Istat, Linda Laura Sabbadini, sostiene la tesi che formazione e lavoro sono i due punti chiave del futuro e, dall’osservatorio privilegiato dell’Istituto nazionale di statistica, ci fornisce il quadro preciso dei divari che ci sono tra Nord e Sud, tra lavoro maschile e lavoro femminile.

Stiamo cadendo in un circolo vizioso, dice Sabbadini, e la pandemia non fa che aggravare questioni che vengono da lontano, del resto come è avvenuto in un altro campo, quello della violenza contro le donne. “Chi perde il lavoro e rimane senza per tanto tempo ha più difficoltà a trovarlo…Più tempo si sta fuori dal mercato del lavoro più si risulta indesiderati anche dalle imprese che ricercano personale, e conseguentemente più ci si deprofessionalizza”. Anche con la formazione accade lo stesso: “Se ci si disabitua a studiare è più difficile riprendere a farlo, o perlomeno a farlo nel modo giusto, si perde l’abitudine a stare a tavolino, si perde il metodo e anche la passione allo studio.” E se si studia solo a distanza, precisa la direttora dell’Istat, si perde la dimensione di squadra che c’è anche nello studio.

L’analisi si conclude con un invito: “La prima cosa che dobbiamo capire è che è necessario studiare, studiare, studiare. Formarci. Non stancarci di farlo. Nelle cose che ci piacciono, che ci appassionano. Non si trova lavoro? Continuiamo gli studi. Lavoriamo con il volontariato.”

Serve dunque studiare, e serve la laurea. A proposito dello studio, Sabbadini contesta anche il falso stereotipo che la laurea non serva. La laurea “è stato elemento protettivo per il lavoro durante la crisi precedente” e quindi l’invito “studiare, studiare, studiare….” vale soprattutto per le giovani donne perché, se è vero che in Italia le ragazze studiano e si laureano di più degli uomini, comunque lo fanno meno delle loro coetanee europee.

Linda Laura Sabbadini dice spesso, quando la intervistano, che i dati statistici servono a mostrare la situazione reale per poi fare le politiche che servono, e i dati sul lavoro delle donne, che lei cita nell’articolo, mostrano non una distanza, ma un abisso: in Italia il 60,5% dei 25-34enni lavora, ma il divario tra donne e uomini è di 20 punti: “I giovani maschi hanno un tasso di occupazione del 70,2%. Le giovani del 50,6%.” Come in tutte le statistiche, anche in questo caso il dato, preso così, è ingannevole: “I giovani maschi del Nord lavorano nell’81,3% dei casi, al Sud gli stessi nel 55,6%. Le giovani donne arrivano al 64,3% al Nord e 31,9% al Sud. (P.M.)