Christopher è un muratore, Immanuel fa l’elettricista, Talitha e Johanna sono domestiche: insieme a migliaia di persone vivono nelle baraccopoli del Sud Africa e fanno parte del movimento Abhalali baseMjondolo. Immanuel ha contribuito a costruire il Mall of Africa, il più grande centro commerciale del continente, ma vive in una baracca a Good Hope, appena fuori Johannesburg. “Costruiamo le vostre case, ma non ne abbiamo nessuna”. Ogni giorno quelli di Abahlali lottano per difendere la terra delle proprie baracche, occupano terre abbandonate e cominciano a tirar su gruppi di case, con almeno una scuola e un centro medico, senza aspettare gli interventi dello Stato o delle amministrazioni comunali. Oltre a sperimentare impensabili forme di autogestione e a rifiutare l’uso della violenza nelle loro proteste, il movimento è noto perché a mettere i corpi in gioco nelle occupazioni, oggetto di continue repressioni, sono per lo più donne. Sono le gogos e le mamas, cioè le nonne e le madri, racconta Vijay Prashad  “che stanno costringendo il Sud Africa a essere un società decente…”. Il mondo dei nessuno non smette di creare speranza.

Foto sulla vita del movimento sudafricano Abahlali baseMjondolo tra occupazioni, assemblee, proteste, incontri di formazioni autogestiti

Articolo di Vijay Prashad* tradotto da Maria Chiara Starace  – Fonte originale: Newsclick, da zcomm.org  per znetitaly.org

— Talitha e Johanna sono domestiche. Guadagnano 150 Rand (1 R equivale a 0,0676 euro, Ndt) al giorno che è il prezzo di un gallone (4,5 litri) di latte, di una libbra di formaggio, di una pagnotta di pane, e di quattro arance. Potrebbero mangiare soltanto per un giorno, ma questo è quanto. Mi sorridono quando chiedo loro come riescono a tirare avanti. Johanna dice: “A fatica”.

Vivono nella baraccopoli di Good Hope, un pezzo di terra trafficato, a Germiston, appena fuori Johannesburg (Sud Africa). Le loro case sono provvisorie e si chiamano baracche in questa parte del mondo. Questi “ricoveri” sono a ridosso l’uno dell’altro. Non hanno alcuna protezione dalla pioggia e non offrono alcuna privacy. La mancanza di impianti igienici significa che i liquami scorrono nelle stradine strette. Significa anche che le malattie sono una preoccupazione costante.

Christopher fa funzionare pesanti macchinari per una società di costruzioni. Guadagna 6.000 R al mese che, però, svaniscono prima che il mese è finito. I soldi per l’affitto (1.200 R), e il denaro per portare suo figlio a scuola (1.850 R), gli portano via metà del suo guadagno. Il resto sparisce quando paga l’acqua e il gas, il cibo e i vestiti. “Di solito bevevo – mi dice Christopher – ma ora non i soldi per questo”.

Immanuel fa l’elettricista. Ha contribuito a costruire il Mall of Africa, il più grande centro commerciale che è stato costruito sul continente, ma non ha una casa. Vive in una baracca a Good Hope. “Costruiamo le vostre case, ma non ne abbiamo nessuna”.

Incontro Talita, Johanna, Christopher e Immanuel su un pezzo di terra arido di proprietà della Witwatersrand Gold Mining Trust. Da lungo tempo questa terra non è stata usata per nulla di produttivo. All’orizzonte c’è il vecchio impianto di lavorazione dell’oro. I lavoratori, però, non portano più fuori l’oro da questa terra. L’oro è quello che ha fatto guadagnare soldi a Johannesburg. La terra ora è vuota.

Al di là della strada c’è l’Insediamento di Buona Speranza (Good Hope). Talita, Johanna, Christopher e Immanuel operano con la “succursale” di Good Hope del movimento Abahlali baseMjondolo (un’espressione in lingua zulu che significa abitanti delle baracche). Si sono incontrati nel corso del 2017 per programmare la loro occupazione della terra abbandonata della Mining Trust.  Prevedono, secondo quanto dice la loro leader Nomnikelo Singenu – che saranno in grado di costruire cinquecento case su questo terreno e anche una scuola e un centro medico. C’è uno stato d’animo di entusiasmo e di tensione.

Lo Stato

Non lontano da dove stiamo parlando, si raduna la polizia. C’era stata il giorno precedente e aveva distrutto i picchetti che demarcavano il terreno per le case. La violenza è il modo di esprimersi della polizia. Hanno raccolto i miseri effetti personali degli occupanti delle baracche e li hanno bruciati in una buca. Oggi, secondo giorno dell’occupazione, la polizia sembra meno furiosa.

Mi avvicino al funzionario capo della polizia. Ha scritta in faccia la preoccupazione. Gli chiedo che cosa prova a usare la forza per espellere proprio i sudafricani più poveri da una terra che non si sta usando. “È colpa del governo precedente”, mi ha detto. Gli ho chiesto a quale governo si riferiva. “Il governo dell’apartheid“, mi ha detto senza fare una pausa. L’apartheid è finita nel 1994. Da allora è cresciuta la fame di terra. L’accordo negoziato che ha posto fine all’apartheid non ha fornito nessun risarcimento proprio ai poveri il cui lavoro rimane essenziale per il Sudafrica, ma le cui vite sono trattate come se fossero irrilevanti.

Improvvisamente, il poliziotto ha detto che la gente deve obbedire alla legge. Gli ho chiesto perché le autorità erano così svelte a espellere i poveri da questa terra, mentre erano così indulgenti riguardo alla corruzione ad alto livello delle grosse aziende. Ha sorriso. Che cosa c’è da dire? È chiaro a tutti noi che il sistema è profondamente ingiusto. Oggi non è una giornata per usare i gas lacrimogeni e portare fuori i manganelli.

Gas e manganelli arrivano nei giorni seguenti. Viene usata altra violenza contro gli abitanti delle baracche, gli alloggi  provvisori vengono distrutti e la gente viene maltrattata. Il sesto giorno dell’occupazione, la polizia è entrata nell’insediamento di Buona Speranza. Erano venuti a dare una lezione agli abitanti “abusivi”. La polizia ha lanciato gas lacrimogeni e ha sparato pallottole di gomma. Sono facili da distribuire. E più difficile dare una casa alla gente.

Soli nella lotta

L’insediamento sul terreno della miniera d’oro abbandonata si chiama Zikode Extension Land Occupation. Si chiama così per S’Bu Zikode, il presidente della Abahlali baseMjondolo. Pochi mesi fa ho incontrato Zikode a Durban (Sud Africa) nell’ufficio del movimento Abahlali. È un uomo riguardoso, una persona che in genere non accetterebbe che un terreno occupato venga chiamato con il suo nome. È, però, molto amato tra gli abitanti delle baracche che lodano la sua modestia e il suo coraggio.

Quando abbiamo parlato, Zikode mi ha detto che gli abitanti delle baracche sono da soli nella loro lotta. Nessun altro gruppo è comparso ad appoggiarli. A parte pochi giornalisti di New Frame, una pubblicazione sul web che inizierà presto, non c’era nessun altro se non i membri del movimento Abahlali e la polizia. Un poliziotto e noi, cioè i giornalisti, che ci preparavamo ad andare via. Questo non avrebbe lasciato nessun testimone della violenza che certamente sarebbe seguita.

Quando è esplosa la violenza il 17 maggio, la polizia ha arrestato una persona e ha costretto il resto degli attivisti del movimento Abahlali a darsi alla macchia. Nomnikelo, la locale leader del movimento Abahlali dice che non è stata in grado di “dare spiegazioni per tutti o di tenere un incontro”. La maggior parte dei leader del movimento Abahlali in questi insediamenti sono donne come Nomnikelo. Sono in prima linea nella lotta per la terra e per la dignità. Queste sono le Gogos e le Mamas, cioè le nonne e le madri che hanno messo i loro corpi sulla linea. Sono quelle che stanno costringendo il Sud Africa a essere un società decente.

Una giovane donna, Sona, mi parla della sua vita mentre stiamo in piedi sulla terra vuota della Zikode Extension Land Occupation. Sona mi racconta che i suoi tre figli sono nell’insediamento di Buona Speranza. Spera che stiano bene. Sta lottando per loro. I poliziotti intanto si spostano proprio verso di noi. Sona li guarda. Ha appena cominciato a cantare una canzone, che dice alla polizia di andarsene. “Non volevamo provocarli – dice – Lottano contro di noi. Noi non lottiamo contro di loro. Lottiamo per la terra”.

Quando hanno iniziato la loro occupazione, i leader locali del movimento Abahlali hanno rilasciato una dichiarazione con un messaggio lirico. “Continuiamo a opporci – hanno scritto – Non ci sposteremo. Resteremo su questa terra”. Queste sono parole di grande potenza. Uno dei poliziotti mi dice che gli estranei hanno istigato chi vive in queste baracche. Ha ragione. C’è un estraneo qui, ma non è uno di noi. L’unico estraneo nella Zikode Extension Land  Occupation è quella che continua a dare luce a chi abita nelle baracche: è la speranza.

*Storico indiano, docente al Trinity college di Hartford, negli Stati Uniti, è autore di numerosi libri tra cui Storia del Terzo mondo (Rubettino)