C’è una seconda violenza che le donne violentate spesso subiscono: quella di sentirsi in colpa, e provare vergogna per ciò che è accaduto. Colpevoli per qualcosa che non hanno fatto, ma che al contrario altri hanno fatto contro di loro.
Provare vergogna, perché essere vittime di violenza può, in parte, essere responsabilità delle vittime stesse. Lo sa bene chi opera per aiutare la ricostruzione di un vissuto accettabile nell’esistenza delle donne stuprate, percosse e abusate, nel corpo come nella psiche. Sembra incredibile, ma mentre a chi è stata inflitta un’altra ingiustizia (per esempio un’aggressione, un furto, un affronto per questioni legate alla propria religione, o al colore della pelle) non si chiede di fare i conti con il senso di colpa generato dall’ipotesi di essere in qualche modo il fattore scatenante dell’ingiustizia subìta, per le donne violate invece è così: in fondo è colpa tua.

Te la sei cercata. Sei certa di aver fatto di tutto per evitarlo? Non sarà che c’è qualcosa in te che scatena la violenza? Se non fossi uscita a quell’ora, se avessi indossato un altro abito, se avessi tenuto la bocca chiusa, se non avessi bevuto, se: due lettere potenti per minare la forza e la legittimità di chi, da vittima di un abuso, rischia di diventare complice, o comunque di essere in parte responsabile.

In Italia la messa in scena di questa mentalità diffusa fu resa manifesta grazie al documentario {Processo per stupro}. Diretto da {{Loredana Rotondo }} andò in onda nel 1979 e fu trasmesso dalla Rai: l’idea di filmare un processo per violenza nacque in seguito ad un convegno contro la violenza sulle donne organizzato nel 1978 alla Casa delle donne di via del Governo vecchio di Roma. Emerse che ovunque nel mondo, quando aveva luogo un processo per stupro, la vittima si trasformava in imputata.

{{Tina Lagostena Bassi,}} che nel processo difendeva le donne violentate, sottolineò come il documentario fosse stato sconvolgente per gli spettatori perché rendeva visibile che gli avvocati difensori degli accusati di stupro potevano essere altrettanto violenti nei confronti delle donne: insistendo sui dettagli della violenza, e sulla vita privata della parte lesa, puntavano a screditarne la credibilità, trasformandola in imputata. L’atteggiamento mentale che emergeva in aula era che una donna ‘di buoni costumi’ non poteva essere violentata; che se c’era stata una violenza questa doveva evidentemente essere stata provocata da un atteggiamento sconveniente da parte della donna; che se non c’era una dimostrazione di avvenuta violenza fisica o di ribellione la vittima doveva essere consenziente. Nel dibattimento{{ il ‘disonore’}} si sposta gradualmente dal presunto aggressore alla presunta vittima, tanto che nella sua arringa, Lagostena Bassi sentì la necessità di ricordare che lei non era a difesa della parte lesa, ma {{accusatrice degli imputati}}.

A distanza di oltre trent’anni è ora di dire, anche pubblicamente, {{basta}}. E, se possibile, è ora che lo dicano forte e chiaro le stesse donne che hanno subìto violenza. Lo propongono le femministe di XXD, rivista di varia donnità e il Centro Studi e Documentazione Pensiero Femminile di Torino: facciamo della giornata del 25 novembre 2013 un’occasione per dire forte e chiaro che chi subisce violenza non ha colpe, e che non si deve vergognare.

{{La proposta di pratica collettiva,}} presa a prestito da quella adottata per denunciare culture omofobe e da quella dell’autodenuncia di aborto (in Italia prima della legge 194 si andava in galera se si diceva di aver interrotto la gravidanza) è quella del {coming out}: {{dire in pubblico una verità scomoda}}. In questo caso che chi è vittima non può essere violentata una seconda volta, cercando di attribuirle delle colpe che non ha. Nessuna colpa, nessuna vergogna si chiama infatti la proposta per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne del 25 novembre: {{il primo coming out italiano delle donne che hanno subito violenza. }}

“{{Noi donne che abbiamo subito violenza }} spesso ci sentiamo in colpa e ci vergogniamo, diventando così vittime di una nuova, meschina e a volte peggiore violenza, che ci paralizza, ci rende inermi e nasconde la nostra forza”, scrivono le proponenti. “Anche quando è ‘finita’ a volte continuiamo a sentire la vergogna della nostra esperienza ed è faticoso parlarne. Temiamo che dicendolo alle altre e agli altri verremo giudicate e saremo considerate delle perdenti, ‘sporche’, inadeguate. Come se parlarne danneggiasse la nostra dignità per colpa di chi senza alcun senso della dignità ha commesso contro di noi un crimine.Non tocca a noi vergognarci, tutto questo deve finire. In questa giornata vogliamo dire a chi è causa del nostro silenzio e del nostro isolamento che non abbiamo più paura e non siamo sole.{{ Il 25 novembre saliamo sui palchi nelle piazze}} e scandendo forte insieme ‘nessuna colpa – nessuna vergogna’ testimoniamo la nostra esperienza o con un solo gesto o con alcune parole o con una breve storia. Togliamogli la meschina e violenta arma della colpa, con orgoglio gridiamo che siamo sopravvissute alla violenza!”

Chi vuole portare la propria testimonianza e/o partecipare all’organizzazione della giornata, e organizzare l’evento in altre città può contattare il Centro Studi Pensiero Femminile scrivendo a info@pensierofemminile.org
_ Sul blog di XXD, www.xxdonne.net saranno pubblicati la lista delle associazioni, enti e persone che vorranno aderire alla manifestazione aggiornandola ogni quindici giorni, da ottobre fino al 25 novembre.