La mancata neutralizzazione linguistica, in italiano, fa preferire in questa lingua l’uso dell’espressione inglese che realizza, invece, un migliore effetto di mascheramento. Ma è anteponendo a “sex workers” l’articolo plurale maschile che l’utilizzo produce il massimo di oscuramento, in un bisogno quasi parossistico di celare la reale identità sessuale di queste “lavoratrici del sesso”. Durante la prima rivoluzione industriale i filatoi e le manifatture tessili impiegavano quasi esclusivamente mano d’opera femminile e infantile. _ Le ragioni di questa preferenza erano gl’innegabili vantaggi di una mano d’opera a basso costo e alto controllo.
_ La legge recepiva infatti il dettato biblico del Levitico ove la determinazione di valore della persona viene costruita in base al sesso (Leviticus, 27).

L’insalubrità degli ambienti di lavoro, il degrado fisico e morale iscritto nei corpi hanno meritato la penna di celebri autori da Dickens ({Hard Times}) alla Gaskell (Mary Burton, {a Tale of Manchester Life}), a Crane ({Maggie: a Girl of the Streets}) fino, ai giorni nostri, Catherine Dunne ({Another Kind of Life}).

Le lavoratrici di quegli opifici venivano denominate, genericamente, “{ {{workers}} }”. La neutralizzazione operata magicamente dal termine linguistico consentiva di occultare alla percezione immediata la fastidiosa nozione di genere e di età che caratterizzava i corpi assoggettati allo sfruttamento con cui si arricchiva la nascente borghesia industriale.

“Workers”, mancando di specifiche di genere, poteva evocare nell’immaginario collettivo saldi muscoli e braccia maschie, facendo salva l’ingiunzione divina che assegna al maschio il sudore della produzione e alla femmina quello della riproduzione. (Genesis, 3).
_ E da quella ingiunzione preservata nella neutralizzazione linguistica si potevano sdoganare gli argomenti che costruivano sulla mistica del diritto naturale l’esclusione delle donne dai diritti di cittadinanza. (Robert Filmer, {Patriarcha}; Jean Jacques Rousseau, {Discours sur l’inegalité}).

Secondo dati resi noti dal Dipartimento di Stato Americano nel 2005, l’80% delle persone trafficate a scopo di sfruttamento sessuale sono donne. Di queste, il 50% hanno meno di 18 anni o sono bambine.
_ Esse sono tutte “sex workers”, operaie del sesso.

La mancata neutralizzazione linguistica, in italiano, fa preferire in questa lingua l’uso dell’espressione inglese che realizza, invece, un migliore effetto di mascheramento.
_ Ma è anteponendo a “sex workers” l’articolo plurale maschile che l’utilizzo produce il massimo di oscuramento, in un bisogno quasi parossistico di celare la reale identità sessuale di queste “lavoratrici del sesso”.

Il senso di una tale eclatante forzatura è presto detto. Con “{i sex workers}” non è automatico immaginare a quale genere appartengano i corpi messi in vendita a uso e consumo de “i” compratori, questi si, fattivamente e indiscutibilmente maschi.

Da un lato si osserva il tentativo di nobilitare la prostituzione denominandola “lavoro”.
_ Ma qui l’effetto è davvero sorprendente.
_ Se la prostituzione è “lavoro”, “servizi alla persona”, se ne deve concludere che quel 50% di cui sopra è “lavoro” minorile.
_ Ma il lavoro minorile non è bandito dalla legge nei paesi occidentali, condannato come sfruttamento e quindi, assolutamente illegale?

E’ evidente che gli oscuramenti linguistici se da un lato mascherano, dall’altro aprono crepe difficilmente riparabili. Il nascondimento non impedisce all’illecito di percolare.
_ E quel che percolano, a volte, è inaudita violenza.

La sineddoche avverbiale utilizzata dal conduttore del programma di insuccesso, “Ora ci tocca anche sgarbi”, quando afferma la sua indifferenza circa il “dove” il nostro primo ministro introduca il suo pene essendo invece interessato al “dove” egli introduca il proprio, appare, a prima vista, un semplice espediente linguistico atto a determinare un effetto di “straniamento”.
_ A ben vedere, però, quell’avverbio così poco marcato percola uno spregio irriguardoso che scarica nell’atto di parola un intento delittuoso.

L’oltraggio metonimico agisce infatti nella distruzione della sua umanità, la cancellazione del termine della polarità relazionale. Non più persona e neppure cosa, l’altra/o della relazione è ridotta/o a pura avverbialità locativa.