C’è un rapporto di sorellanza tra due donne che non si sono mai conosciute e che mai si conosceranno almeno in questa vita.
Una era pakistana, l’altra era italiana, una portava il velo, l’altra no, ambedue avevano figlie ed ambedue sono morte.Quello che accomuna queste due donne è il genere del loro assassino: queste due donne sono state assassinate da due uomini. Uno pakistano, e l’altro italiano, uno descritto come una brava persona, l’altro no, uno di cultura islamica. l’altro cristiano; inoltre, le accomuna il motivo per cui sono state assassinate: la difesa delle loro figlie.

Una ha difeso la figlia dal proprio marito che non accettava il rifiuto della ragazza di sottostare ad un matrimonio combinato.
_ L’altra aveva denunciato l’uomo che aveva abusato della figlia e che per questo era stato condannato in primo grado a quindici anni di reclusione.

Ho ascoltato e letto molti commenti su questi due omicidi apparentemente così lontani tra loro ma che hanno, ai miei occhi, il solito filo conduttore che è vero in Italia, in Pakistan e in tutto il resto del mondo: molti uomini pretendono di esercitare sulle donne un potere assoluto; un potere che non ammette repliche o resistenze.
_ Se si replica o si resiste c’è un’unica soluzione: la violenza.

C’è chi parla di cultura diversa, chi di religioni diverse, ma a parer mio, sfugge il fatto che, cambiando le condizioni dei singoli episodi, c’è un elemento che rimane costante nei diversi luoghi del mondo e nelle diverse culture del mondo: la presenza di un uomo violento.

La grandezza di queste due donne, sta proprio nell’aver reagito con la stessa fermezza pur vivendo situazioni completamente diverse l’una dall’altra.
_ Per entrambe però era chiaro un concetto, non si può subire violenza supinamente bisogna ribellarsi.

E’ in nome di questa sorellanza che apprezzo l’intenzione del Ministro delle Pari Opportunità di chiedere di essere ammessa parte civile nel processo che si farà nei riguardi del marito pakistano, augurandomi un simile comportamento anche nei confronti degli altri uomini violenti, italiani o no, cristiani o no, nella convinzione che non sia un problema culturale o religioso, ma di sopraffazione pura e semplice di un genere, quello maschile, sull’altro, quello femminile.