Il caso del ragazzo sedicenne che poco prima delle vacanze pasquali si è ammazzato perché non reggeva più di essere preso in giro in quanto presunto gay, ha occupato le cronache e i commenti di tutti i quotidiani per alcuni giorni. Ho anche letto questo un titolo in un quotidiano di sinistra: “l’omofobia ha ucciso un sedicenne”. Ma è proprio così? O c’è altro?Mi pare che ci sia piuttosto la tendenza a procedere sempre per opposti, semplificando la realtà.
_ Che il giovane, figlio di una filippina e di un italiano, bravissimo a scuola, si dichiarasse gay non ci è dato di saperlo e poco importa. La sua classe invece era composta di 17 femmine e quattro maschi. Nessun cronista, mi pare, ci ha spiegato se il ripetuto sfottò: “sei un gay” , trovasse alleate le femmine con i maschi.

Tutti i giornali invece hanno descritto il ragazzo come molto fine, gentile, chiuso fragile e studioso. Troppo gentile e sensibile per un vero maschio-macho? E’ qui il punto. Forse possiamo anche fare un esercizio di fantasia dato che nessun giornale si è preso la briga di indagare in questa direzione e verificare se era anche: disponile, generoso, capace di ascolto empatico e magari poco aggressivo. Insomma, tutte quelle caratteristiche che siano ritenute come naturalmente femminili .

Insomma, forse facevano difetto in lui le qualità maschili del guerriero e del capo, del conquistatore di donne e territori o del potere tout court, mentre già eccelleva in quelle per così dire domestiche, del privato e dell’interiori?
_ Ma perché i coetanei colleghi/e gli gridavano che era un gay come a marchiarlo di una diversità identitaria infamante e insopportabile, in più così emarginandolo dal gruppo?

Perché per un maschio in formazione, le cosiddette qualità femminili sono, proiettivamente (soprattutto per gli adolescenti maschi), molto inquietanti in quanto adombrano un possibile esito definitivo dell’identità di genere assai fragile sul versante della inevitabile lotta per l’affermazione narcisistica.

Le donne sono ancora largamente escluse dal potere pubblico, faticano molto di più nelle carriere, anzi restano spesso in fondo alle piramidi sociali e per essere accolte begnigamente nelle comunità e nelle reti parentali, devono dimostrare comunque un’alta propensione all’accudimento di figli, vecchi e handicappati.

Basterebbe ascoltare attentamente il linguaggio comune per rendersi conto dell’educazione che viene ancora impartita nelle buone famiglie italiane. Di una bambina molto attiva si dice che “è un po’ un maschiaccio”, di un ragazzino mite si dice che è “un po’ effeminato”. E se leggiamo o ascoltiamo certi intellettuali – o psicologi – il linguaggio si fa più raffinato ma nella sostanza non muta: nel tizio “emerge la polarità maschile …, nella tizia o paziente) c’è un eccesso di animus…mentre in lui si nota troppa anima…”

Nei giovani adolescenti di ambo i sessi i corpi che cambiano si sa sono fonte di grande incertezza, pertanto gli imput che giungano dagli adulti vengano ripresi e fatti propri con modalità anche violente, ma pur sempre difensive dell’io in formazione. Insomma, la responsabilità di questa atroce vicenda va ascritta a questa società italiana ancora legata a indomite culture patriarcali.