L’indignazione, la denuncia, le manifestazioni e qualunque iniziativa a favore della pace sono destinate a cadere nel nulla se continuiamo a rifiutiarci di individuare nella parzialità dell’esperienza maschile l’origine di un sistema di pensiero nemico della vita e dei viventi.“Ancora uccisioni ‘a fin di bene’, ancora terrore, ancora spoliazioni della terra in nome della nazione, del capo, della causa, del dio. E ancora preghiere. Le guerre continueranno; non cesseranno e non cambieranno. I morti cadranno come sempre. Ma almeno saremo in grado di immaginare e dunque di capire… non tutto, ma abbastanza da non cadere nelle illusioni deliranti della speranza, dell’amore, della pace e della ragione”. Così {{James Hillman}} conclude sconsolatamente il suo saggio dal significativo titolo{ Un terribile amore per la guerra }[[ {{James Hillman}} – {Un terribile amore per la guerra} – Adelphi Edizioni – Milano 2005]], scritto apposta per comprendere la guerra allo scopo di farla cessare e permettere alla vita di continuare.

In realtà ciò che il filosofo dimostra con le sue argomentazioni è l’impossibilità per il pensiero unico dominante di realizzare tale nobile fine. Se infatti, come afferma, la guerra “non è un prodotto della ragione”, se “è azione non riflessione”, bisogna convenire che il favore accordatole dagli uomini evidenzia il mancato sviluppo di una ragione degna di questo nome.

La cosa è tanto più inquietante se, come scrivo nel mio saggio {La razionalità femminile unico antidoto alla guerra}[[{{Angela Giuffrida}} – {La razionalità femminile unico antidoto alla guerra} – Bonaccorso editore – Verona 2011 www.bonaccorsoeditore.it]] , il maschio umano, “incline ad opporre i dati della conoscenza isolati dal loro contesto, impronta tutte le relazioni all’antagonismo. Divenuto regola di vita il conflitto non produce solo la guerra guerreggiata. Guerra è infatti l’oppressione e la brutalità esercitate dalla metà maschile della specie sull’altra metà; guerra è l’economia che affama la stragrande maggioranza della popolazione mondiale a favore di privilegiati gruppi ristretti; guerra è la predazione e l’inquinamento della natura che ci alimenta; guerra è la politica del dominio in tutti i suoi meschini aspetti; guerra alla vita tout court è il disprezzo per i corpi biologici”.

{{Emmanuel Levinas }} conferma in pieno le superiori affermazioni quando nel suo libro {Totalità e infinito }[[ {{Emmanuel Levinas}} – {Totalità e infinito} – Jaca Book – Milano 1980 ]] sostiene che la guerra informa tutte “le nostre idee di universo, di religione, di etica; il tipo di pensiero alla base della logica aristotelica degli opposti, delle antinomie kantiane, della selezione naturale di Darwin, della lotta di classe marxiana e perfino della freudiana rimozione dell’Es da parte dell’Io e del Super-io”.

Dunque il problema non è la guerra, la quale non esiste per la stragrande maggioranza delle specie viventi, ma{{ l’assetto cognitivo che con i suoi perversi meccanismi riduce il reale in pezzi fra loro opposti, rendendolo incoerente ed illeggibile.}} E’ così che anche l’organismo vivente nella sua autonomia, unitarietà e concretezza svanisce, lacerato schizofrenicamente in un improbabile soggetto spirituale – ragione, anima o spirito – ed in un corpo ridotto a cosa, semplice mezzo per realizzare la supremazia di individui impotenti. Cancellati i viventi a causa dell’approccio analitico, la scena è occupata dalla distruzione e dalla morte che imperano incontrastate in tutte le società androcentriche, impermeabili alle intenzioni ed agli sforzi più sinceri e generosi.

L’indignazione, la denuncia, le manifestazioni e qualunque iniziativa a favore della pace sono destinate a cadere nel nulla se continuiamo a rifiutiarci di individuare nella parzialità dell’esperienza maschile l’origine di un sistema di pensiero nemico della vita e dei viventi. Poiché, ci piaccia o meno, siamo viventi e come tali il nostro fine è vivere non inseguire la morte, ci conviene riconoscere che sono {{le donne, autrici della vita della specie e responsabili della sua sopravvivenza, ad aver maturato un tipo di razionalità funzionale al suo sostenimento e alla sua evoluzione.}} “Finora sono riuscite a contrastare l’irragionevole distruttività maschile, ingegnandosi a coadiuvare la vita nella sua attività connettiva. Ma ora la dilatazione dei mezzi sempre più sofisticati e corrosivi che gli uomini usano per allontanare l’umanità dalle proprie radici vitali, mentre guida l’intero sistema dei viventi verso una sicura estinzione, nullifica l’azione delle donne condotta in silenzio nel privato o, comunque, marginalmente nel pubblico. Occorre perciò che il loro stile di pensiero inclusivo, connettivo e aperto, venga riconosciuto universalmente come il solo capace di accogliere e gestire al meglio un reale complesso e in continuo divenire”[[ {La razionalità femminile } op. cit.]] .

{articolo pubblicato su “la nonviolenza in cammino”
}