Al centro della prossima discussione a Palinuro (3,4,5 settembre) sarà il tema delle soggettività e di come i soggetti funzionano in alcuni ambiti teorico/politici. A cominciare dal lavoro, questione iperidentitaria nella sinistra e nella tradizione comunista, che si vuole rivisitare fuori dall’ottica lavorista.“Come donna non ho patria, la mia patria è il mondo intero”, scriveva Virginia Woolf, rispondendo idealmente a quegli intellettuali antinazisti che le proponevano di aggregarsi al fronte europeo contro Hitler, un fronte culturalmente e politicamente corretto, ma un fronte di uomini che, come sempre accade, pensavano di rappresentare ‘automaticamente’ le donne.
_ Ebbene, la cultura e la politica occidentali sembrano ancora alle prese con le questioni identitarie. Nel social forum europeo di Londra mi trovai ad ascoltare le proteste indignate dei rappresentanti catalani ‘costretti’ per ragioni di traduzioni a parlare in spagnolo, mentre i rappresentanti dei Baschi lamentavano la non inclusione di un loro rappresentante nella tavola rotonda sui diritti dei popoli.

La questione identitaria è esplosa alla fine del secolo scorso durante le guerre nella ex Yugoslavia. In maniera violenta e sanguinosa, come ricordano bene tutti e tutte coloro che hanno attraversato i confini di quelle regioni martoriate.

Noi abbiamo in Italia il folklore osceno della Lega Nord, ma sicuramente le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia hanno riaperto la riflessione non solo su statalismo e federalismo ma anche sulla nuova questione meridionale, su cui ci sono stati studi non solo socioeconomici ma anche antropologici (si pensi ai libri di Franco Cassano).

Negli ultimi decenni del secolo scorso anche il dibattito femminista si è accostato alle questioni identitarie, anche se in modo del tutto ‘asimmetrico’ rispetto al dibattito “ufficiale”.
_ Nella critica alle posizioni della Libreria di Milano, giudicate ‘essenzialiste’, si è acceso un grande dibattito, sia in ambito femminista afroamericano (Anzaldua ma non solo) con distinzioni etniche e di classe, sia tra le femministe lesbiche (“donne e lesbiche”, De Lauretis, Butler ma non solo) non disposte a farsi schiacciare sulla definizione “donne”, ma – questa è la differenza rispetto alla maggior parte dei gay – non disponibili nemmeno a identificarsi sic et simpliciter con la “comunità” glbt.
_ Per non parlare dei/delle trans e trans gender, che è un capitolo a parte.

Ora, noi pensiamo di mettere al centro della nostra prossima discussione a Palinuro (3,4,5 settembre) il tema delle {{soggettività e di come i soggetti funzionano in alcuni ambiti teorico/politici}}.
_ A cominciare dal {{lavoro}}, questione iperidentitaria nella sinistra e nella tradizione comunista, che vogliamo rivisitare fuori dall’ottica lavorista: oggi siamo precarie e lavoratrici a tempo determinato, ma curatrici a tempo indeterminato in un’ottica familista sostitutiva della libera soggettività individuale; che c’è prima e dopo l’età lavorativa? E perché l’età lavorativa viene sempre letta in senso produttivistico?

{{Parleremo del genere e della sessualità e del loro nesso con la libertà}}.
_ A seguire le identità ‘pesanti’, etniche e nazionali, nazionalistiche, croce e delizia di guerre e persecuzioni, violenze, stupri, scontri tribali, che autorizzano i cosiddetti stati “democratici” a mettere in campo politiche sicuritarie, razziste, respingenti verso i soggetti nomadi e a trasformare il mare Mediterraneo in un mare di sangue.

Per finire citerò una discussione tra Judith Butler e Gayatri Spivak (Butler-Spivak, {{ {Che fine ha fatto lo stato nazione?} }}, Meltemi 2009,pp.59-60) a proposito dell’inno nazionale statunitense. I residenti illegali in dimostrazioni in varie città della California cantarono l’inno degli USA in spagnolo, come l’inno messicano, disattendendo le disposizioni di Bush che volevano l’inno cantato in inglese (o americano?).

Butler si chiede: si tratta di un’appartenenza alla nazione americana vissuta come “uguaglianza” o si tratta del risultato di una annessione? E qui ovviamente Butler non può fare a meno di citare Hannah Arendt e – aggiungo – tutto il dibattito sugli ebrei ‘paria’ o ‘parvenus’, o sulle velate accuse agli ebrei tedeschi di aver assimilato la cultura e la lingua tedesca tanto intensamente da non aver resistito a sufficienza ai nazisti.

Insomma, sarà una bella discussione a cui parteciperanno anche uomini, con un filo conduttore, la critica dei confini identitari, vissuti come appartenenze chiuse, frontiere, muri che includono alcuni per escludere altri.
_ Oggi, forse, anche parlarne può contribuire a creare resistenza.

– {{Per informazioni consultare il sito}: [www.forumdonne.org->http://www.rifondazione.it/forumdonne/?p=800]