home_social-justiceI dati del terzo Rapporto dell’Istituto Bertelsmann Stiftung indicano un piccolo miglioramento nel Social Justice Index. Ma nessun Paese dell’Ue è tornato ai livelli precedenti la crisi. Bene i Paesi scandinavi, meno Spagna, Portogallo, Grecia, Italia e Irlanda. L’analisi di Secondo Welfare

situa “La giustizia sociale è leggermente migliorata nella maggior parte degli Stati membri dell’Unione europea. Ma anche se il miglioramento è genuino siamo ancora lontani dai livelli precedenti alla crisi”. È quanto emerge dal terzo Rapporto annuale dell’Istituto Bertelsmann Stiftung curato da Daniel Schraad-Tischler e Christof Schiller che si basa sulla misura del Social Justice Index, un indice composto da 6 dimensioni: prevenzione della povertà, equità dell’istruzione, accesso al mercato del lavoro, coesione sociale e non discriminazione, salute, giustizia intergenerazionale. Dal report, come ha spiegato Elisabetta Cibinel su Secondo Welfare, “emerge una situazione di grave iniquità per i  e le più giovani”.

Il rapporto conferma quanto emerso nel 2015: la maggior parte dei Paesi ha registrato un piccolo miglioramento nell’indice di giustizia sociale, mentre solo 4 Paesi (nelle posizioni più elevate) hanno visto un lievissimo peggioramento rispetto all’anno precedente. “La dimensione che ha influito maggiormente su questo progresso è l’accesso al mercato del lavoro – si legge su Secondo Welfare – In quest’ottica anche Irlanda e Italia (che è al 24esimo posto), Paesi con i valori più bassi dell’indice, secondo i dati del Rapporto paiono aver trovato una strada di riforme e incentivi che sta iniziando a portare segnali incoraggianti nel mercato del lavoro”. In testa alla classifica ci sono i Paesi scandinavi (Svezia, Finlandia e Danimarca), seguiti dalla Repubblica Ceca (salita di una posizione rispetto al 2015) che ha ottimi punteggi in salute e prevenzione della povertà, e da Olanda, Austria e Germania che hanno ottime performance per l’accesso al mercato del lavoro. Nelle posizioni più basse si trovano i Paesi che hanno subito maggiormente gli effetti della crisi – Spagna, Portogallo, Italia, Grecia, Irlanda – insieme a Romania, Bulgaria e Ungheria. “Nonostante il miglioramento generale, quasi nessun Paese dell’Ue è comunque riuscito a tornare ai livelli di benessere e giustizia sociale precedenti la crisi – scrive Secondo Welfare – Solo Repubblica Ceca, Germania, Lussemburgo, Regno Unito e Polonia mostrano un piccolo miglioramento rispetto al 2008. In questi Stati la crisi economica ha influito poco o nulla sull’andamento della giustizia sociale”.

Mercato del lavoro. Dal rapporto emerge l’aumento dei “working poor” che, pur avendo un lavoro a tempo pieno, sono a rischio povertà. A livello europeo la percentuale dei “lavoratori poveri” sul totale di quelli impiegati full time è passata dal 7 per cento del 2009 al 7,8 per cento del 2015. In Italia sono il 9,8 per cento del totale dei lavoratori a tempo pieno. “La Germana, che ha ottimi punteggi nell’accesso al mercato del lavoro e ha visto il suo indice di giustizia sociale salire nonostante la crisi, ha un’alta percentuale di lavoratori poveri (7,1 per cento)”. Inoltre, il mercato è sempre più segmentato: da un lato ci sono i lavoratori precari senza nessuna tutela e dall’altra quelli assunti a tempo indeterminato e protetti contro i principali rischi (malattia, infortunio, disoccupazione, pensionamento).

Giovani in difficoltà. Considerando i dati su bambini e giovani, dal rapporto emerge che in nessuno Stato dell’Ue la situazione è migliorata rispetto al 2008, mentre è decisamente peggiorata in quelli più colpiti dalla crisi. In generale la percentuale di giovani a rischio povertà è passata dal 26,4% al 26,9%, mentre in Spagna, Grecia, Portogallo e Italia è aumentata in modo significativo: era il 29,1% nel 2008, è il 33,8% nel 2015. Al contrario nel caso della popolazione over 65 il rischio di povertà o esclusione si è ridotto. “Questo è principalmente dovuto al fatto che, anche se tra il 2008 e il 2015 le pensioni e i trasferimenti monetari rivolti agli anziani sono diminuiti, questa diminuzione è stata più lenta rispetto a quella dei redditi dei giovani”. I Neet sono il 17,3% dei giovani europei tra 15 e 29 anni, dato in calo rispetto al 2015 (erano il 18%), ma maggiore rispetto al 15% del 2008. Nei Paesi mediterranei i numeri sono molto più alti: i giovani che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione sono il 33,1%. In Spagna e in Grecia quasi la metà della popolazione giovanile è disoccupata, in Italia il 40,3%. (lp)  – 10 gennaio 2017 –

Sulle pagine di Redattore sociale anche un pezzo sulla situazione dei giovani e delle giovani migranti  http://www.redattoresociale.it/