di Gisella Modica

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Damasco, Aleppo, Homs, Hama, Palmira, Al Raqqa. Sono città della Siria. Non esistono più. O sono gravemente danneggiate. Quel poco che rimane, ridotto in macerie, è oscurato dal fumo nero dei copertoni che impesta l’aria, bruciati dagli abitanti, molti sono bambini, soprattutto in vicinanza di ospedali, scuole, mercati nel tentativo di diminuire la visibilità agli aerei da guerra e non farli bombardare. Una No Fly Zone fatta in casa, in solitudine, come si legge sul blog Siria Libano del 5 agosto 2016.

In macerie, oscurate dal fumo delle bombe sganciate dall’alto, sono anche molte città della Palestina.

Leggere le poesie e gli incipit di romanzi; evocare luoghi un tempo mitici attraverso la letteratura di viaggio possono essere un modo per continuare a farli vivere.

Come le composizioni digitali dell’artista siriano Tammam Azzam che sovrappone immagini di opere d’arte sulle (foto di) facciate di palazzi distrutti.

Noi lo faremo attraverso i versi e brani tratti da romanzi di autrici siriane, libanesi, irakene, palestinesi, scritti prima e dopo la devastazione; e attraverso le lettere spedite durante un viaggio intrapreso in Siria tra il 1927 e il ‘28 da Freya Stark, un’esploratrice inglese, nelle quali descrive alcuni dei luoghi oggi scomparsi.

Un atto di resistenza.

Come le poesie scelte per questo primo incontro dove ritorna spesso il tema dell’importanza della parola. La necessità di una parola libera come strumento di consapevolezza del sé, di libertà, di emancipazione contro l’imposizione del silenzio che dimentica e cancella tutto. La possibilità di realizzare attraverso la parola i propri sogni, ma anche di parlare del proprio corpo, dell’erotismo. Una parola “incollata al corpo”, e insieme combattiva, rivoluzionaria. Resistente.

Nazik al-Mala’ika (Baghdad, 23 agosto 1922Il Cairo, 20 giugno 2007)

Perché abbiamo paura delle parole
quando sono state mani dal palmo rosa
delicate quando ci accarezzano gentilmente le gote
e calici di vino rincuorante
sorseggiato, un’estate, da labbra assetate?

Perché abbiamo paura delle parole
quando tra di loro vi sono parole simili a campane invisibili
la cui eco preannuncia nelle nostre vite agitate
la venuta di un’epoca di alba incantata
intrisa d’amore e di vita?

Ci siamo assuefatti al silenzio
Ci siamo paralizzati, temendo che il segreto possa dividere le nostre labbra.
Abbiamo pensato che nelle parole giaceva un folletto invisibile
rannicchiato, nascosto dalle lettere dalle orecchie del tempo.
Abbiamo incatenato le lettere assetate
vietando loro di diffondere la notte per noi
come un cuscino, gocciolante di musica, sogni
e caldi calici.

Perché abbiamo paura delle parole?
Tra di loro ne esistono di incredibile dolcezza
le cui lettere hanno estratto il tepore della speranza da due labbra,
e altre che, esultando di gioia
si sono fatte strada tra la felicità momentanea di due occhi
inebriati.
Parole, poesia, teneramente
hanno accarezzato le nostre gote, suoni
che, assopiti nella loro eco, colorano una frusciante
segreta passione, un desiderio segreto.

Perché abbiamo paura delle parole?
Se una volta le loro spine ci hanno ferito
hanno anche avvolto le loro braccia attorno al nostro collo
e diffuso il loro dolce profumo sui nostri desideri.
Se le loro lettere ci hanno trafitto
e il loro viso si è voltato stizzito
ci hanno anche lasciato un liuto in mano
e domani ci inonderanno di vita.
Su, versaci due calici di parole.

Domani ci costruiremo un nido di sogno di parole
in alto, con l’edera che discende dalle sue lettere.
Nutriremo i suoi germogli con la poesia
e innaffieremo i suoi fiori con le parole.
Costruiremo un terrazzo per la timida rosa
con colonne fatte di parole
e una stanza fresca inondata di ombra,
protetta da parole.

Abbiamo dedicato la nostra vita come una preghiera
chi pregheremo… se non le parole?

A’isha Arna’ut (Nata a Damasco nel 1946, vive a Parigi)

Cercai l’assenza di parola
in tua presenza
La trovai
ma non trovai
nome da darle.

Finsi la tua assenza
per trovarle nome

Il nome del vento è vento
il nome dell’amore è amore
il mio nome sono io
Questo sentimento ha sostanza
ma una notte lo feci ubriacare
Gli cercai nelle tasche
trovai un pezzetto di carta.
Per leggerlo accesi la luce
e si bruciò.

[]

Diranno che imito i poeti
Ma in verità, nemmeno per sogno, non ho intenzioni preconcette

Perché ho letto libri che son rimasti chiusi
Ho dormito nelle ore di luce
in sale d’aspetto

Ho scribacchiato qualcosa con l’ultima punta di matita

Passarono giudizio
Cancellò tutto per rettificare
In seguito dissero
non imitò
nessuno
Non scrisse
affatto

[]

Inarcai il corpo
come il porcospino davanti al cane che abbaia
La sete di ali migranti
mi accarezzano le curve
trascendono il tocco della pelle
bucando i pori
Pensai
Domani diverrò uccello
Domani
E la metamorfosi
era già qui.

[]

Mi vidi indietro
balzai in avanti
Come un ranocchio

continuai a saltellare tutta notte
Mentre infine
ero incollata al suolo
mi chiedevo cosa ne fosse stato
delle mie ali
Domani le aggiusto

pensai
e mi addormentai

In sogno
mi vidi

porcospino
ranocchio
blatta.

[]

Lui era un uccello senza ali

Si mise la camicia, prese l’ombrello
senza fare parola
Neppure io parlai

Dopo che se ne fu andato
mi misi davanti allo specchio
Mi squarciai la lingua
per vedere se vi fossero intrappolate parole
ma non vidi che muscoli e vene

Mi rammendai la lingua
e scoppiai a ridere
-il riso non è parola.
Poi mandai in frantumi lo specchio

Da allora
frantumo specchi invano

cercandone uno che non rispecchi più

Uno specchio

Che mandi in frantumi me

Maram al-Masri (nata a Latakia, 2 agosto 1962. Vive a Parigi).

Sono la ladra di caramelle,
davanti alla tua bottega,
le mie dita sono diventate appiccicose,
e non sono riuscita
a mettermene una sola
in bocca.

[]

M’infiamma il desiderio
e brillano i miei occhi.
Sistemo la morale nel primo cassetto che trovo,
mi muto in demonio,
e bendo gli occhi dei miei angeli
per un bacio.

[]

Sono spaventata
come una gazzella davanti agli occhi della tua fame
Amami in silenzio
e lasciami interrogarmi.

[]

Le donne come me
non sanno parlare
La parola le rimane di traverso in gola
come una lisca
che preferiscono inghiottire.
Le donne come me
sanno soltanto piangere
a lacrime restie
che improvvisamente
rompono e sgorgano
come una vena tagliata
Le donne come me
sopportano gli schiaffi
senza osare renderli
Tremano di rabbia
e la reprimono.
Come leoni in gabbia,
le donne come me
sognano
di libertà…

[]

Che
meraviglioso delitto
ho commesso?

Ho goduto
di un corpo
che mi ha donato
un fiume inebriante
e una ribellione di vita.

Che dispiacere
per ogni parola d’amore
che voleva dichiararsi
e che fu seppellita viva
Che dolore
in gola.

Tutte le poesie sono state estratte dal volume Non ho peccato abbastanza. Antologia di poetesse arabe contemporanee, a cura di Valentina Colombo, Mondadori Editore e dal sito El Ghibli, poeti siriani, Anno 8, Numero 35, March 2012.

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