L’appello del mondo curdo, rappresentato dalla KCDK-E è quello di scendere in piazza subito. Afrin, dall’inizio del conflitto in Siria, è stata una zona relativamente tranquilla. Per questo la popolazione è aumentata da 500.000 persone a 800.000 persone con centinaia di migliaia di IDPs (internal displaced people). Anche a causa di questo, le religioni, etnie e lingue presenti sono molteplici.

Gli attacchi, che continuano dal 20 di gennaio, hanno colpito infrastrutture: solo fino al 20 gennaio si contavano 31 scuole danneggiate, e ad oggi le testimonianze dalla città spiegano che, essendo stati colpiti l’acquedotto e la linea elettrica, si trovano senza acqua e senza elettricità. Ci sono documenti dell’ospedale di Afrin che descrivono i sintomi di alcuni pazienti, in particolare soffocamento, irritazione alla pelle e agli occhi, dovuti con ogni probabilità ad armi chimiche (gas al cloro).  Sono stati bombardati siti archeologici, per cancellare le testimonianze di una cultura matricentrica antica di migliaia di anni. Tra il 20 gennaio e il 23 febbraio, si contano 421 vittime, tra morti e feriti (78 bambini, 68 donne e 275 uomini), mentre all’8 marzo il conto dei civili uccisi dal conflitto è arrivato a 22711 (32 bambini, 167 uomini e 28 donne). Questo, prima dell’inizio dell’ultima escalation. In questa mappa12 interattiva, gli avvenimenti in tempo (quasi) reale.

Mentre a questo link potete trovare un’analisi generale della situazione, qui c’è una spiegazione di come gli attacchi ad Afrin siano attacchi specifici alla rivoluzione delle donne: ciò che lo Stato turco tenta di distruggere attaccando Afrin è il sistema organizzativo democratico che si sta costruendo, per questo è un attacco alle donne, per questo è un attacco all’autogrstione dei popoli, per questo è un attacco a tutte noi. Oltre che da un punto di vista ideologico, le donne vengono colpite anche dal punto di vista fisico: si pensi a Barin Kobane, il cui corpo è stato mutilato e filmato dall’esercito turco dopo averla uccisa. È in questo contesto che la resistenza di combattenti come Avesta Xabur diventa fondamentale. Per questo in questo recente appello sono in particolare le donne di Afrin a chiedere alla comunità internazionale di rompere il silenzio, per questo sono ad esempio le “mamme”, le signore, a prendere le armi. È per questo anche che dal cantone di Cizre sono arrivate più di 1200 donne in solidarietà, partite il 5 marzo e dall’8 marzo presenti nella città di Afrin. Ad Afrin non si combatte solo una guerra in difesa dell’autodeterminazione della confederazione del nord della Siria, ma per l’autodeterminazione dei popoli nel mondo. È per questo che la solidarietà arriva anche, per esempio, dal congresso nazionale indigeno20 del Chiapas.

Al tempo stesso, in questi giorni, c’è un appello della KJK per l’unità delle donne contro il sistema patriarcale, e sta nascendo Jin TV, la televisione delle donne. Questi attacchi non riusciranno a fermare la lotta globale delle donne!

Gli appelli da parte del movimento delle donne si sono susseguiti durante tutto il periodo dei bombardamenti. Dilar Derik faceva un analisi per cui difendere Afrin significava difendere l’umanità, Asiya Abdullah co-presidente del movimento per la società democratica (TEV-DEM) invitava l’opinione pubblica a non distogliere lo sguardo; per l’8 marzo si è ribadito che difendere Afrin significa difendere la rivoluzione delle donne, e come sia necessario rafforzare la nostra autodifesa contro ogni tipo di fascismo. Anche in Italia in questo tempo si sono mosse le donne, per esempio con uno spezzone alla manifestazione del 17 febbraio, e attivandosi per la campagna #WomenRiseUpForAfrin. Quello che si chiede, oggi ancora di più, è di scendere in piazza, di fare pressione per la cessazione degli attacchi, o almeno una no fly zone su Afrin. Usiamo ogni mezzo utile per fermare l’aggressione turca su Afrin!

Sa da un lato i legami tra lo Stato di Turchia e ISIS erano da tempo conosciuti, dall’altro quello che sta succedendo testimonia ancora una volta che dal punto di vista ideologico e pratico, gruppi come Al Nusra, ISIS, e lo Stato di Turchia non siano poi così distanti. Eppure, la Turchia non è da noi affatto slegata: usa anche armi di fabbricazione italiana, in particolare di Leonardo (già Finmeccanica) e Fincantieri; la Turchia è membro NATO, e con la NATO si addestra anche in Italia; la Turchia sta fermando i migranti30 scomodi per l’Europa (e riceve soldi dall’Europa, per tenerci lontano questi migranti). Non a caso, Erdogan è benvenuto dalle alte cariche dello Stato italiano, e della Chiesa cattolica a Roma.

Nelle principali città d’Europa le proteste si sono già fatte sentire da ieri. Dalla Germania, dove la gente scende in piazza sfidando i recenti divieti di mostrare simboli curdi; Parigi; nell’aeroporto di Amsterdam; Basilea e Austria. Ieri a Catania flash mob di donne Per Afrin, oggi a Torino un presidio e nei prossimi giorni in altre città (tra cui Bologna e Roma). Tra chi combatte ad Afrin ci sono anche diversi internazionalisti, tra cui alcuni italiani, da uno di loro è arrivato questo appello.

Nel frattempo, nonostante questo significhi una rottura della tregua chiesta dall’ONU, essa resta in silenzio.  Scendiamo in piazza, facciamo pressione in difesa del confederalismo democratico, dell’autogestione dei popoli! Ieri Kobane, oggi Afrin!