Nelle “de-escalation zone” della Siria, ogni giorno almeno 37 civili sono rimasti uccisi da armi esplosive, a partire dalla seconda metà del 2017. Dall’inizio del 2018 alla metà di febbraio, solo nell’area est di Ghouta, sono state uccise più di 600 persone e oltre 2000 sono state ferite. Nella stessa zona, più di 60 scuole sono state distrutte o danneggiate dai bombardamenti. Ogni due giorni un’ambulanza è stata attaccata e ogni tre giorni un operatore sanitario è rimasto ferito o ucciso. Soltanto a febbraio, 24 strutture sanitarie sono state colpite dai bombardamenti che continuano a imperversare nell’area est di Ghouta, provocando l’interruzione dei servizi per migliaia di persone che avevano bisogno di assistenza medica, tra cui molte donne in gravidanza e casi di grave necessità di interventi chirurgici.

Più di due milioni di persone, di cui la metà sono bambini, continuano a vivere in aree difficilmente raggiungibili o assediate, senza la possibilità di ricevere aiuti umanitari, in cui viene sistematicamente impedito l’accesso ai convogli che portano cibo e medicine. Continua a crescere il numero di bambini malnutriti, mentre i pochi medici rimasti sono costretti ad operare in condizioni difficilissime, riutilizzando bendaggi su più pazienti, perché non è rimasto più nulla.

Questa la denuncia contenuta nel nuovo rapporto “Voci dalle aree del pericolo” di Save the Children, l’Organizzazione internazionale che dal 1919 lotta per salvare la vita dei bambini e garantire loro un futuro, in occasione del settimo anniversario della guerra in Siria.  L’Organizzazione ha voluto denunciare, grazie alle testimonianze raccolte nel lavoro sul campo, quanto sta accadendo realmente nelle cosiddette “de-escalation zone”, in cui non avrebbero dovuto esserci bombardamenti e dove gli aiuti umanitari avrebbero potuto accedere liberamente. Tra queste anche le aree di Idlib e del Ghouta orientale, dove invece negli ultimi mesi si sono moltiplicate violenze e morte.

Il 24 febbraio scorso, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità la Risoluzione 2401 con la quale si chiedeva la fine immediata delle ostilità nell’area del Ghouta est per un periodo di trenta giorni, con l’evacuazione medica dei malati e feriti e l’ingresso dei convogli umanitari. “La risoluzione è stata platealmente ignorata e violata in poche ore: all’unico convoglio umanitario che è potuto accedere all’area sono state sottratte la maggior parte delle forniture mediche prima che potessero essere consegnate e a causa della violenza nelle aree circostanti, il convoglio è dovuto ripartire prima che potessero essere scaricati nove camion pieni di generi alimentari. Non un solo bambino malato è stato evacuato come previsto dalla risoluzione”, spiega Filippo Ungaro, Direttore della Comunicazione e delle Campagne di Save the Children. “Tutte le parti in conflitto continuano a mostrare un quotidiano disprezzo per la vita dei civili e per il diritto internazionale: le bombe continuano a piovere impunemente colpendo case, ospedali, scuole, mercati affollati e persino i campi in cui le persone e soprattutto i bambini hanno cercato rifugio. Le Nazioni Unite hanno confermato l’utilizzo di sostanze chimiche utilizzate come armi in aree popolate. Dopo 2.557 giorni di guerra, questa è ancora la situazione in cui i bambini siriani sono costretti a vivere”.

In occasione del settimo anniversario della guerra in Siria, Save the Children vuole ancora una volta alzare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle terribili condizioni di vita dei bambini intrappolati nel conflitto, attraverso una provocatoria app dal titolo “La guerra non è un gioco” (scaricabile al link www.savethechildren.it/la-guerra-non-e-un-gioco), con cui le persone vengono invitate a chiedersi cosa farebbero se la loro città e la loro casa venissero bombardate e come proteggerebbero i propri figli.

Il terrore quotidiano dei bombardamenti

I bombardamenti fanno ormai parte della vita quotidiana di migliaia di bambini siriani. L’utilizzo diffuso di armi esplosive nelle aree popolate da civili ha provocato un gravissimo bilancio di vittime e i bambini sono i più a rischio, a causa delle conseguenze fisiche più gravi che le ferite provocate da queste armi possono avere sui più piccoli. Le vittime civili di armi esplosive in tutto il paese sono aumentate del 45% dopo l’annuncio delle zone di de-escalation, con oltre 37 civili al giorno uccisi nella seconda metà del 2017, il tasso più alto negli ultimi quattro anni. Il 2018 sta andando ancora peggio, con più di 600 persone uccise in due settimane nella sola area del Ghouta orientale. Qui la distruzione provocata dai bombardamenti è ora ancora più grave che al culmine della crisi di Aleppo: nel quartiere di Ein Terma, dove vivono ancora 18.500 persone, le immagini satellitari più recenti hanno mostrato che il 71% degli edifici sono stati distrutti o danneggiati ancor prima della recente intensificazione delle violenze. A Zamalka, il 59% dell’area è stata distrutta o danneggiata e non esiste rete idrica o elettrica da almeno due anni. Le famiglie più povere, che vivono in case e baracche mal costruite, sono le più vulnerabili alla distruzione dei bombardamenti, che hanno fatto crollare i soffitti delle loro case, causando morti e feriti.

Migliaia di famiglie stanno passano la maggior parte dei loro giorni e notti a nascondersi. Ad Arbin, una città nel Ghouta orientale, ci sono 1.400 famiglie che vivono in una rete di 75 scantinati e rifugi sotterranei, più della metà senza acqua, servizi igienici o sistemi di ventilazione, che rendono i bambini vulnerabili alla diffusione di malattie. Secondo le testimonianze riportate dagli operatori sanitari, qui “molte famiglie vivono come se fossero agli arresti domiciliari in piccoli scantinati umidi con scarsa illuminazione, come fossero in una tomba”. In questi 75 rifugi ci sono 100 pazienti diabetici, 110 pazienti con gravi problemi di pressione sanguigna, 20 pazienti asmatici. Situazioni simili sono state segnalate in altre città. “Prima dell’inizio della guerra, qui i bambini vedevano gli aerei volare nel cielo e sognavano di prenderne uno per viaggiare. Ora invece per loro è diventata una fobia. Quando vedono un aereo pensano che li ucciderà. E ci sono i razzi-elefanti, li chiamano così perché emettono un suono simile a quello di un elefante. Quando gli insegnanti a scuola chiedono ai bambini di disegnare qualcosa, alcuni di loro disegnano elefanti volanti che cadono a terra e distruggono ogni cosa”, racconta un papà che vive nel Ghouta est.

Gli sfollati interni

Ad oggi in tutta la Siria ci sono 6 milioni di sfollati interni. In tutta la Siria, nell’ultimo trimestre del 2017 più di un milione di persone sono fuggite dalle loro case, con un aumento del 60% dall’annuncio delle creazione delle zone di de-escalation. Una forte crescita dei combattimenti nella zona di Idlib, nel nord-ovest della Siria, ha costretto oltre 385.000 persone a lasciare le proprie case da metà dicembre 2017: si tratta di uno dei più grandi movimenti di persone negli ultimi anni, con oltre 3.500 bambini sfollati ogni giorno in questa regione. Le famiglie si sono rifugiate ovunque possono – quelle che possono permetterselo affittano case a prezzi altissimi, mentre le altre cercano rifugio in edifici danneggiati dalle bombe o sono bloccate nei campi senza servizi di base, dove vivono fino a 11 persone affollate in un’unica tenda. Le violente tempeste invernali hanno distrutto molte delle tende e trasformato i campi in pantani di fango. Il personale medico e gli operatori umanitari testimoniano di molti casi di bambini affetti da polmonite per aver dovuto dormire all’aperto, sul ciglio della strada, mentre fuggivano.

“Quando cominciano i bombardamenti, le persone prendono i loro bambini e scappano verso le campagne, passando tra gli alberi o nascondendosi nelle caverne per non essere prese di mira dagli aerei che di solito colpiscono la stessa zona quattro o cinque volte a distanza di pochi minuti l’una dall’altra,” spiega un padre di Idlib.

Sfollamenti di massa si stanno verificando anche in altre aree del paese dove si è intensificata l’azione militare: circa 30.000 persone sono fuggite delle loro case ad Afrin, da gennaio 2018, e molte altre sono ancora sfollate e vivono in condizioni precarie dopo la fuga dalle offensive dello scorso anno intorno a Raqqa e Deir-ez-zour.

Bambini ridotti alla fame

Due anni fa il Segretario generale delle Nazioni Unite aveva affermato che l’uso della fame come arma nel conflitto in Siria equivaleva a un crimine di guerra, eppure dopo due anni questa tattica si è persino intensificata. Le parti in conflitto hanno ripetutamente negato aiuti di fondamentale importanza come cibo e medicine ai bambini e alle loro famiglie. Più di due milioni di persone che vivono in aree assediate o difficilmente raggiungibili non hanno ricevuto alcun convoglio di aiuti umanitari nel 2017 e solo il 27,3% delle richieste di convogli sono state approvate per intero dal governo siriano. Almeno 125 richieste sono state respinte. E anche nelle aree che hanno ricevuto assistenza, molte hanno ricevuto un solo convoglio di aiuti essenziali nel corso dell’intero anno.

Nel Ghouta orientale i tassi di malnutrizione infantile ora sono i più alti mai registrati durante il conflitto in Siria, quasi sei volte più alti di un anno fa. Almeno un bambino su quattro è malnutrito e più di un terzo dei bambini ha una crescita rachitica. Prima che le lezioni fossero sospese a causa dell’insicurezza, gli insegnanti hanno riferito a Save the Children di episodi quotidiani di bambini svenuti dalla fame nel bel mezzo delle lezioni.

L’area del Ghouta orientale è a meno di cinque miglia dal centro di Damasco, dove vi sono magazzini pieni di cibo. Eppure l’assedio significa che il cibo è così scarso che il pane costa il 1600% in più, un pacco di farina da un chilo o un sacco di sale è 20 volte più costoso, prezzi inaccessibili per la gran parte delle famiglie. Molti bambini mangiano solo un pasto al giorno, spesso una dieta a base di riso e lenticchie fornita da organizzazioni umanitarie locali, ma sono tanti i bambini che non hanno neppure quello e le cui famiglie sono costrette a far mangiare i propri figli a turno, un giorno uno e un giorno l’altro. “Vediamo la felicità e la gioia sui volti dei bambini quando ricevono solo un biscotto.

Anche se la situazione di crisi alimentare nei bambini è al culmine nel Ghouta orientale assediata, sono stati segnalati anche tassi di denutrizione tra i bambini in fuga dai combattimenti di Idlib. Nel gennaio 2018, più di un terzo dei bambini sfollati mostrava infatti segni di anemia e il 6,5% delle donne sfollate o in allattamento era malnutrito.

Emergenza medica

Tra luglio 2017 e gennaio 2018, ci sono stati almeno 92 attacchi verificati sui servizi sanitari in tutta la Siria, tra cui ospedali, ambulatori e ambulanzequasi uno ogni due giorni – in violazione del diritto umanitario internazionale. Almeno 77 operatori sanitari sono stati uccisi o feriti. Più del 60% di questi attacchi si sono verificati nei governatorati della Siria nord-occidentale di Idlib, Hama e Aleppo. Questi attacchi hanno interrotto i servizi presso strutture che altrimenti avrebbero effettuato oltre 80.000 prestazioni e oltre 2.100 interventi chirurgici importanti. Nei tre mesi immediatamente successivi all’annuncio della creazione delle de-escalation zone, sono stati interrotti dagli attacchi servizi ospedalieri che avrebbero fornito assistenza a più di 1.000 donne in procinto di partorire.

Nel Ghouta orientale, in soli cinque giorni a febbraio sono stati segnalati attacchi a 14 ospedali, 3 centri sanitari e 2 ambulanze, mentre vengono regolarmente negati i permessi di evacuazione a più di 120 bambini che hanno bisogno di urgenti trattamenti salva-vita e vengono così condannati a morte dall’assedio. Non un solo bambino malato è stato evacuato da quando è stata adottata la risoluzione ONU 2401.

I pochi medici e operatori sanitari rimasti lottano contro il tempo cercando di eseguire interventi chirurgici senza elettricità o attrezzature di base. Gli antibiotici per i bambini sono raramente disponibili e guanti chirurgici, garze e bende devono essere riutilizzati su più pazienti, e in queste condizioni si muore anche per malattie facilmente prevenibili come il diabete e l’ipertensione. Salah*, 16 anni, è rimasto ferito in un bombardamento a Douma nel Ghouta orientale durante un tentativo di fuga, in cui sono morti la nonna, la zia e un cugino. Il suo midollo spinale è stato danneggiato e le sue gambe sono ora paralizzate. “Per operare Salah ci siamo dovuti arrangiare e lo abbiamo anestetizzato con un ago scaduto da tre anni. Qui non ci sono sedativi e non è possibile eseguire un intervento chirurgico su un bambino senza anestesia. Quando ha subito l’intervento ha avuto bisogno di una sutura medica, ma sono sette anni che a Ghouta non entrano questo tipo di forniture mediche e quindi dobbiamo riutilizzarle più volte, disinfettandole e passandole da un paziente all’altro. Sono passati due anni da quando un rifornimento di siero è entrato nel Ghouta orientale”, racconta un operatore sanitario.

Educazione sotto attacco

Circa il 43% delle scuole in Siria non funziona più. Nel Ghouta orientale, in particolare, più di 60 scuole sono state colpite dai bombardamenti nei primi due mesi del 2018, almeno 18 sono state completamente rase al suolo e più di 57.000 alunni hanno dovuto interrompere o abbandonare la scuola. Le scuole nel nord-ovest della Siria e nel Ghouta orientale si aprono e chiudono su base giornaliera a seconda della situazione di sicurezza e anche quando le scuole aprono, le lezioni sono tenute con insegnanti e allievi costantemente al limite, che trascorrono il tempo ascoltando con terrore il suono degli aerei e dei missili sopra la loro testa. Uno degli attacchi più gravi è avvenuto quando i proiettili hanno colpito il parco giochi di una scuola a Jisreen, nel Ghouta orientale, dove si trovavano 400 ragazzi e proprio mentre i bambini terminavano le lezioni di metà mattina. Cinque alunni tra gli otto e gli undici anni sono stati uccisi e almeno altri 26 sono rimasti feriti, tra cui un ragazzo a cui hanno dovuto amputare entrambi i piedi.

I continui attacchi alle scuole in questi 7 anni di guerra hanno gravemente colpito il sistema educativo interrompendo l’apprendimento di un’intera generazione di bambini, come testimonia una valutazione di Save the Children condotta su 1.178 alunni (558 ragazzi, 620 ragazze) di età compresa tra i 5-11 anni nella Siria nord-occidentale. I risultati hanno mostrato come i livello di conoscenza e di istruzione dei bambini siriani si stia abbassando: più di un terzo degli studenti di età compresa tra 9 e 11 anni ha mostrato capacità di lettura araba inferiori a quelle che ci si aspetterebbe di solito da un bambino di 5 o 6 anni. Il 7% non riusciva nemmeno a riconoscere le lettere di base. Quasi il 50% dei bambini di età compresa tra 9 e 11 anni non è stato in grado di risolvere problemi di matematica che normalmente sarebbero stati insegnati ai bambini di 5-6 anni e alcuni bambini che non erano nemmeno in grado di riconoscere i numeri.

“I bambini della Siria sono stati traditi dal mondo per troppo tempo. Quasi tre milioni di bambini sono nati e cresciuti senza conoscere altro che la guerra. Nonostante le recenti promesse di un cessate il fuoco, i bambini vengono ancora bombardati nelle loro case, a scuola o negli ospedali. Le famiglie si nascondono negli scantinati e da mesi non hanno accesso a cibo e aiuti sanitari, che vengono invece usati come un’arma di guerra, e le atroci violenze sui civili si susseguono anche nei luoghi che dovrebbero essere sicuri per loro, e nelle cosiddette de-escalation zone. Chiediamo la cessazione immediata de i combattimenti per consentire alle organizzazioni umanitarie come Save the Children di fornire aiuti salvavita alle centinaia di migliaia di bambini intrappolati nel Ghouta orientale e in altre aree duramente colpite dal conflitto”, conclude Filippo Ungaro. “La comunità internazionale non può tollerare oltre e lasciare che una generazione di bambini soffra in questo modo. Deve usare la propria influenza per garantire un immediato cessate il fuoco e costringere le parti in conflitto a negoziare la fine duratura di una guerra che ha distrutto così tante vite”.