«Striscia» nata come programma di satira, che voleva in qualche modo “sbeffeggiare” i TG nazionali, troppo spesso lontani dalla notizia e vicini ai poteri, ha paradossalmente svolto per anni attività di informazione: denunciando sprechi di denaro pubblico, segnalando imbrogli e raggiri, denunciando truffe ai danni di ignari cittadini. Insomma, in uno “strano Paese.. quale l’Italia”, troppo spesso sono programmi comico-satirici quali “Striscia” o “Le Iene” a svolgere una funzione sociale, a fare inchieste e a “sollevare polveroni” e non chi il «quarto potere» dovrebbe rappresentare.
Insomma, il Tg satirico nato nel 1988 con {{il grido di battaglia di Antonio Ricci}} {{“tenteremo l’impossibile: battere la comicità di Bruno Vespa!”,}} di strada ne ha fatta.

Bersagli preferiti sono divenuti personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport, della politica e della finanza italiana, molto spesso messi alla gogna,

In fondo, {{secondo la Corte di Cassazione (Sentenza n. 9246/2006)}} {{compito della satira è castigare ridendo mores}} e infatti la satira è soprattutto l’arte di sbeffeggiare usi, costumi, abitudini e credi locali, in cui però coloro che del vivere sotto i riflettori hanno fatto una professione, inevitabilmente sono più bersagliati. E a questo principio il telegiornale satirico è stato sempre fedele.

Probabilmente la stessa volontà di sbeffeggiamento è stata alla base della scelta di Antonio Ricci di introdurre le veline, in fondo il loro nome ha un’origine ben precisa che è attestato fin dalla primissima puntata di «Striscia la notizia», voler {{prendere in giro le vere veline, e cioè i famosi dispacci del Ministero della Cultura Popolare}}, tramite i quali il regime fascista diramava agli organi di stampa e di informazione le notizie da rendere note (o meno) all’opinione pubblica. Presumibilmente nell’intenzione degli autori un modo sicuramente efficace quanto non comune di far presente al pubblico l’inviolabile diritto alla libertà di informazione, anche al di fuori dei canali ufficiali.

Ma {{il termine veline è oggi addirittura entrato nei vocabolari italiani}} per indicare non solo le due vallette (una bionda e una bruna) che affiancano i conduttori, ma tutte quelle ragazzine che senza particolari meriti artistici o professionali sono entrati dalla porta principale del mondo dello spettacolo. E le normali ragazzine, quelle della “porta accanto” per intenderci, sognano di diventare “veline”, di sgambattere su un bancone, di fare “stacchetti” semi-svestite, alla faccia delle lotte femministe ed emancipazionista delle loro mamme e nonne.

Ma l’altra sera guardando, dopo lungo tempo, la trasmissione ho provato angoscia, oddio nooooo!!!! Cristian Cocco, il famoso Aio’!!! dalla Sardegna, anziché avere a seguito i suoi compagni d’avventura, i Tenorenis, era accompagnato da {{tre vallette dal nome provocatorio “Pari opportunità”}}, ma non bastavano le veline!!!

Antonio Ricci questa volta ha preso davvero una cantonata!
Insomma alle veline è bastato poco, con la loro carriera professionale e la vita privata, ad originare il tragi-comico fenomeno degenerativo del velinismo e {{ora “Striscia” cosa fa? Ci riprova e propone cosa? Le pari opportunità?}}
Ma un altro nome non potevano proprio trovarlo?

Come diceva Ralph Waldo Emerson {{«La parola è potere: parla per persuadere, per convertire, o per costringere».}} I nomi, così come le parole non cadono dal cielo, sono lo strumento con cui indichiamo dei concetti, diamo voce a dei pensieri. Di quote rosa si parla tanto in Italia come all’estero per promuovere principi di equità sessuale, per riequilibrare una situazione di forte squilibrio tra i generi, vigente negli ambienti lavorativi ed istituzionali.

In Italia siamo ben lungi dalla parità rappresentativa. Manca una vera legge sulle quote rosa, una legge che ci ponga ai livelli di paesi come Norvegia, Svezia e gli altri Paesi nordici, per cui {{forse è un po’ troppo presto per cominciare a sbeffeggiare un principio giuridico di cui necessitiamo urgentemente}}.

E come dicono gli amici di striscia: «È sempre bello cominciare in una certa… manieeera!» e «Mica bau bau micio micio».
Per il momento è tutto, Aio’!!!